Pasqua 2015 con don Tonino Bello
“Non c'è morte che tenga, non c'è tomba che
chiuda, non c'è macigno sepolcrale che non rotoli via”.
Cari amici,
come vorrei che il mio augurio, invece che giungervi con le formule consumate del vocabolario di circostanza, vi arrivasse con una stretta di mano, con uno sguardo profondo, con un sorriso senza parole!
Come vorrei togliervi dall'anima, quasi dall'imboccatura di un sepolcro, il macigno che ostruisce la vostra libertà, che non dà spiragli alla vostra letizia, che blocca la vostra pace!
come vorrei che il mio augurio, invece che giungervi con le formule consumate del vocabolario di circostanza, vi arrivasse con una stretta di mano, con uno sguardo profondo, con un sorriso senza parole!
Come vorrei togliervi dall'anima, quasi dall'imboccatura di un sepolcro, il macigno che ostruisce la vostra libertà, che non dà spiragli alla vostra letizia, che blocca la vostra pace!
Posso dirvi però una parola. Sillabandola con lentezza
per farvi capire di quanto amore intendo caricarla: "coraggio"!
La Risurrezione di Gesù Cristo, nostro indistruttibile amore, è il paradigma dei nostri destini. La Risurrezione. Non la distruzione. Non la catastrofe. Non l'olocausto planetario. Non la fine. Non il precipitare nel nulla.
Coraggio, fratelli che siete avviliti, stanchi,
sottomessi ai potenti che abusano di voi.
Coraggio, disoccupati.
Coraggio, giovani senza prospettive, amici che la vita ha costretto ad accorciare sogni a lungo cullati.
Coraggio, gente solitaria, turba dolente e senza volto.
Coraggio, fratelli che il peccato ha intristito, che la debolezza ha infangato, che la povertà morale ha avvilito.
Coraggio, disoccupati.
Coraggio, giovani senza prospettive, amici che la vita ha costretto ad accorciare sogni a lungo cullati.
Coraggio, gente solitaria, turba dolente e senza volto.
Coraggio, fratelli che il peccato ha intristito, che la debolezza ha infangato, che la povertà morale ha avvilito.
Il Signore è Risorto proprio per dirvi che, di fronte a
chi decide di "amare", non c'è morte che tenga, non c'è tomba che
chiuda, non c'è macigno sepolcrale che non rotoli via.
Auguri. La luce e la speranza allarghino le feritoie della vostra prigione.
Vostro,
don Tonino, vescovo
don Tonino, vescovo
Quando Gesù apparve ai discepoli la sera di Pasqua
"mostrò loro le mani e i piedi".
Io non so se nell'ultima cena, dopo che Gesù ebbe
ripreso le vesti, qualcuno dei dodici si sia alzato da tavola e con la brocca,
il catino e l'asciugatoio si sia diretto a lavare i piedi del maestro.
Probabilmente no. C'è da supporre comunque che dopo la sua morte ripensando a
quella sera, i discepoli non abbiano fatto altro che rimproverarsi l'incapacità
di ricambiare la tenerezza del Signore.
Possibile mai, si saranno detti, che non ci è venuto in
mente di strappargli dalle mani quei simboli del servizio, e di ripetere sui
suoi piedi ciò che egli ha fatto con ciascuno di noi? Dovette essere così forte
il disappunto della Chiesa nascente per quella occasione perduta, che, quando
Gesù apparve alle donne il mattino della risurrezione, esse non seppero fare di
meglio che lanciarsi su quei piedi e abbracciarli. "Avvicinatesi, gli
cinsero i piedi e lo adorarono". Ce lo riferisce Matteo, nell'ultimo
capitolo del suo Vangelo. Gli cinsero i piedi. Non gli baciarono le mani o gli
strinsero il collo. No.
Gli cinsero i piedi! Erano già bagnati di rugiada.
Glieli asciugarono, allora con l'erba del prato e glieli scaldarono col tepore
dei loro mantelli. Quasi per risarcire il maestro, sia pure a scoppio
ritardato, di una attenzione che la notte del tradimento gli era stata negata.
Gli cinsero i piedi. Fortunatamente avevano portato con sé profumi per ungere
il corpo di Gesù. Forse ne ruppero le ampolle di alabastro e in un rapimento di
felicità riversarono sulle caviglie del Signore gli olii aromatici che furono
subito assorbiti da quei fori: profondi e misteriosi, come due pozzi di luce.
Gli cinsero i piedi. Finalmente! Verrebbe voglia di
dire. Ma chi sa in quel ritardo ci doveva essere anche tanto pudore. Forse la
chiesa nascente rappresentata dalle due Marie prima di cadergli davanti nel
gesto dell'adorazione aveva voluto aspettare di proposito che Gesù riprendesse
davvero le vesti. Non quelle che aveva momentaneamente deposto prima della
lavanda. Ma quelle veramente inconsutili del suo corpo glorioso.
Carissimi fratelli,
oggi voglio dirvi che la Pasqua è
tutta qui. Nell'abbracciamento di quei piedi. Essi devono divenire non solo il
punto di incontro per le nostre estasi d'amore verso il Signore, ma anche la
cifra interpretativa di ogni servizio reso alla gente, e la fonte del coraggio
per tutti i nostri impegni di solidarietà con la storia del mondo.
Non c'è da illudersi. Senza questa dimensione adorante,
espressa dal gruppo marmoreo di donne protese dinanzi al risorto, saremo capaci
di organizzare solo girandole appariscenti di sussulti pastorali. Se non
afferriamo i piedi di Gesù, lavare i piedi ai marocchini, o agli sfrattati, o
ai tossici, non basta.
Non basta neppure lavarsi i piedi a vicenda, tra
compagni di fede. Se la preghiera non ci farà contemplare speranze ultramondane
attraverso quei fori lasciati dai chiodi, battersi per la giustizia, lottare
per la pace e schierarsi con gli oppressi, può rimanere solo un'estenuante
retorica. Se, caduti in ginocchio, non interpelleremo quei piedi sugli
orientamenti ultimi per il nostro cammino, giocarsi il tempo libero nel
volontariato rischia di diventare ricerca sterile di sé e motivo di vanagloria.
Se l'adorazione dinnanzi all'ostensorio luminoso di quelle stigmate non ci farà
scavalcare le frontiere delle semplici liberazioni terrene, impegnarsi per le
promozione dei poveri potrà sfiorare perfino il pericolo dell'esercizio di potere.
Non basta avere le mani bucate. Ci vogliono anche i piedi forati. E' per questo
che quando Gesù apparve ai discepoli la sera di Pasqua "mostrò loro le
mani e i piedi".
E poi, quasi per sottolineare con la simbologia di quei
due moduli complementari che senza l'uno o l'altro, ogni annuncio di
risurrezione rimarrà sempre mortificato, aggiunse: "Guardate le mie mani e
i miei piedi: sono proprio io".
Mani e piedi, con tanto di marchio! Ecco le coordinate
essenziali per ricostruire la carta d'identità del risorto. Mani bucate.
Richiamo a quella inesauribile carità verso i fratelli, che si fa donazione a
fondo perduto. Piedi forati.
Appello esigente a quell'amore verso il Signore, che ci
fa scorgere il senso ultimo delle cose attraverso le ferite della sua carne
trasfigurata.
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