venerdì 30 novembre 2018

Percorrere il cammino del figlio maggiore

LA SINDROME DEL FIGLIO MAGGIORE
Ovvero una visione farisaica del Cristianesimo


Un mio carissimo amico mi ha fatto partecipe di un suo lavoro, la pubblicazione di un libro che commenta a modo suo la parabola evangelica del Figliol prodigo, parabola che tutti noi conosciamo, abbiamo sentito commentare in chiesa o riflettuto personalmente e che forse abbiamo sottovalutato l'agire del fratellomaggiore e osannato a ragion veduta il Padre misericordioso che fa festa per il figlio ritrovato.
Ma quessto “osanna” ha cambiato la nostra vita? Come avremmo agito noi, o come agiamo in certe simili occasioni?
Questi interrrogativi mi hanno spinto a pubblicare questa ricensione in questo blog “sceltadivita”: oggi, più che mai, ci vuole un cambiamento radicale.

Con questo scritto, sono parole dell'autore, lungi dal pormi come colui che indica “la verità”, intendo, molto più modestamente, condividere l’esito di un mio personale percorso fatto di dubbi, inquietudini e interrogativi suscitati dall’aver recepito le espressioni di Papa Francesco quali “Chiesa in uscita” o “Chiesa ospedale da campo”, parole che mi hanno indotto a pormi in discussione in prima persona e che mi hanno aiutato a trovare, alla fine di questo percorso, quella che sento essere l’unica via per vincere questa sfida e guarire da questa sindrome: affrontare lo sguardo amorevole del Padre misericordioso e lasciarsi amare e abbracciare”.

Perdonare il “fratello” che sbaglia, questa è la sfida che oggi siamo chiamati ad affrontare: un leitmotiv che ci accompagna fin dagli albori del tempo e che oggi è sentito ancora di più a causa di un sempre più accentuato individualismo. Traendo spunto dalla parabola del Padre misericordioso, ho provato ad evidenziare quanto sia attuale questa sfida e quanto sia difficile accettare l’invito ad entrare a far festa (Lc 15, 28) quando riteniamo che il fratello prodigo ha sbagliato. La grande misericordia di Dio, che abbraccia tutta l’umanità, per usare l’espressione di Papa Francesco, è vista come una bella teoria; quando ci è tuttavia chiesto di metterla in pratica, tanti ostacoli pseudo-religiosi, sia inconsci che logici, si interpongono tra noi e la decisione.

Con questo scritto, continua l'autore, lungi dal pormi come colui che indica “la verità”, intendo, molto più modestamente, condividere l’esito di un mio personale percorso fatto di dubbi, inquietudini e interrogativi suscitati dall’aver recepito le espressioni di Papa Francesco quali “Chiesa in uscita” o “Chiesa ospedale da campo”, parole che mi hanno indotto a pormi in discussione in prima persona e che mi hanno aiutato a trovare, alla fine di questo percorso, quella che sento essere l’unica via per vincere questa sfida e guarire da questa sindrome: affrontare lo sguardo amorevole del Padre misericordioso e lasciarsi amare e abbracciare. Ma non solo.

Ho cercato di percorrere il cammino del figlio maggiore, provato a vivere le sue emozioni, i suoi dubbi, la sua rabbia davanti al sentimento di abbandono, sia di un fratello che di un padre, nel momento che questi si lancia verso il figlio prodigo e dimentica in un attimo tutte le sofferenze arrecategli e...con tutta l’ipocrisia che posso usare, devo dire che probabilmente di primo acchito mi sarei comportato come lui, mi sarebbero venuti i dubbi, mi sarei arrabbiato, mi avrebbe assalito la delusione!”

Uno sguardo alla storia della chiesa, al punto di vista del magistero degli ultimi tre papi e della psicologia della vita religiosa del cristianesimo nell'ambito familiare e sociale completano le riflessioni e il pensiero attraverso la ricerca e lo studio dell'autore che non è uno psicologo, né un teologo o sociologo. Uno sguardo pratico alla vita del cristianesimo in generale denota ipocrisia e una visione farisaica del nostro essere religioso.

E' un libro scorrevole da leggere, degno di riflessione spirituale che può fare del bene alla nostra anima.

Per chi volesse appprofondire il libro si puo ordinare su internet nella versione cartacea o spendendo meno, anche in versione e Book.

Cercare su internet col titolo La sindrome del figlio maggiore di


mercoledì 28 novembre 2018

"Perché sono nato, dice Dio":

 Natale: un semplice modo di fare gli auguri...


Da una riflessione di don Luciano:

Una delle difficoltà che incontriamo è quella di trovare delle idee da scrivere negli auguri. Vi scrivo qui sotto una preghiera di Lambert Noben: potrete usarla per intero in una email o qualche frase di essa in un biglietto di auguri o in un sms. Si intitola

"Perché sono nato, dice Dio":

Sono nato nudo, dice Dio
perché tu sappia spogliarti di te stesso.
Sono nato povero,
perché tu possa considerarmi l'unica ricchezza.

Sono nato in una stalla
perché tu impari a santificare ogni ambiente.
Sono nato debole, dice Dio
perché tu non abbia mai paura di me.

Sono nato per amore
perché tu non dubiti mai del mio amore.
Sono nato di notte
perché tu creda che posso illuminare qualsiasi realtà.

Sono nato persona, dice Dio
perché tu non abbia mai a vergognarti di essere te stesso.
Sono nato uomo
perché tu possa essere "dio".

Sono nato perseguitato
perché tu sappia accettare le difficoltà.
Sono nato nella semplicità
perché tu smetta di essere complicato.

Sono nato nella tua vita, dice Dio
per portare tutti alla casa del Padre.


Un Santo Natale a tutti voi. Che Dio vi benedica!

don Luciano




martedì 13 novembre 2018

nostro Padre - quello nei Cieli - sta cercando di attirare la tua attenzione o la mia, per dirci: "E' il tempo delle coccole"



INCONTRI CON LA PAROLA


Il tempo delle coccole, catechesi di don Luciano, missionario in Kenia
(Marco 3, 14)



Ormai ci sono abituato, mi capita quasi ogni giorno al Calabrian Shelter, la casa-famiglia dove ci sono le nostre bambine. Dunque, qui c'è don Luciano che sta parlando con la "housemother", la signora che vive con le bambine. La conversazione è intensa: ci sono problemi da risolvere, spese da fare, documenti per il tribunale dei minori da preparare, eccetera. Ecco che arriva Virginia, la più piccola delle nostre bambine, chiedendo un po' di attenzione dal suo papà - che sarei io. E io dico: "Aspetta un attimo Virginia, che devo finire questo discorso" Le catechesi di don Luciano. Lei aspetta solo un pochetto, poi mi chiama - e riceve la stessa risposta. Allora, dopo un niente, si aggrappa alla mia gamba e incomincia la scalata per venirmi in braccio. Bè, se è così non mi resta che assecondarla. Poi mi mette le braccia intorno al collo e si stringe forte a me, come per dire: "E' il tempo delle coccole!" E io lì che mi sciolgo, no, mi spalmo sul pavimento.
Mi chiedo quanto volte nostro Padre - quello nei Cieli - sta cercando di attirare la tua attenzione o la mia, per dirci: "E' il tempo delle coccole". Il tempo della tenerezza reciproca - ma ci trova sempre molto occupati.
C'è un brano della Bibbia dove Gesù ci indica che lavoro deve fare chi vuole essere Suo discepolo - e io spero che tu voglia assumerti quel lavoro, se vuoi appartenerGli davvero. Descrivendo la chiamata di Gesù ai Suoi primi discepoli, l'evangelista Marco scrive: «Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni» (Marco 3,14-15).

Nota bene: Gesù ha certo del lavoro da darci da fare. Ma questo è del tutto secondario. L'attività più importante di chi vuole essere Suo discepolo ci coglie in qualche modo di sorpresa: «Ne costituì Dodici che stessero con lui». Mi immagino la scena dei primi 12 discepoli che si presentano baldanzosi da Gesù, rimboccandosi le maniche: "Molto bene. Eccomi qua, Signore, pronto al lavoro. Cosa c'è da fare: andare in missione? Convertire peccatori? Guarigioni? Miracoli?" E Lui che risponde: "Stai qui con Me. Spendi tempo con Me". Perché è questo che importa a Gesù più di qualunque
altra cosa - non le cose che fai per Lui, ma il tuo amore; non il tuo affaccendarsi dispersivo, ma l'intimità con Lui. Che, in fin dei conti, è quello che Gesù ha ripetuto a Marta quando sua sorella Maria stava seduta ai piedi di Gesù ad ascoltarLo mentre Marta si stressava per servirLo. Le ha detto: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è
scelta la parte migliore, che non le sarà tolta» (Luca 10,41-42).

Una buona parte di noi è bravissima a fare le cose secondarie del discepolo - ossia fare cose per Gesù - invece che fare la cosa più importante richiesta al discepolo - stare con Gesù. Si invertono le priorità, e allora rischiamo il fallimento. Come la mia piccola figlia Virginia, Gesù è interessato, al di sopra di ogni altra cosa, in un tempo di tenerezza tra te e Lui. Mettendo da parte l'agenda, spegnendo il cellulare, accantonando tutto il resto - solo godendo dell'amore che si ha l'uno per l'altro.
Quando era qui sulla terra, Gesù ha detto ad alcune persone che amava: «Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!» (Matteo 23,37). Mi chiedo quante volte Gesù ha detto di te e di me: "Quante volte ho desiderato che noi due stessimo insieme - ma tu non hai voluto!". Gesù è morto per abbattere quel muro che ci rendeva impossibile stare con Lui. Quindi dà la massima importanza a quella relazione che Gli è costata così tanto.
Forse sei stato molto impegnato, sei così stanco - magari per servirLo - che non hai un briciolo di tempo per la tenerezza con Lui. E' arrivato il momento di ristabilire le priorità. Ogni nuovo giorno, il tuo Signore ti chiama per nome e ti dice: "E' il tempo delle coccole". E' il tempo della preghiera, dello Spirito - lascia da parte tutto il resto per stare con Gesù!
Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto

don Luciano, missionario in Kenia


martedì 6 novembre 2018

Salviamo l'umorismo sale della quotidianità



COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
IL SALVATAGGIO
La barca del mondo naviga in acque agitate come mai. Ha bisogno di sostegno per evitare il naufragio. Ad offrire tale sostegno mira la nostra proposta mensile.

8. Salviamo l'umorismo

Avere il senso dell'umorismo significa possedere la chiave dell'allegria. E della santità.
L'originalità di don Bosco fu d'aver dato un valore pedagogico alla gioia, al buon umore; cioè d'aver non soltanto accettato, ma anche condiviso come educatore, quell'allegria aperta e gioiosa del giovane. Fu la pedagogia della “gioia”, in termini moderni della “serenità” liberatoria quindi dalla nevrosi e stimolatrice di creatività, in quanto infondeva speranza, voglia di lavorare, di studiare, di vivere e di convivere. L'allegria non serve infatti soltanto alla distensione psichica del soggetto, ma è anche uno stimolo creativo ai suoi valori interiori e a un positivo comportamento sociale. San Domenico Savio, che a quattordici anni l'aveva ben capito, diceva: «Qui da noi la santità consiste nello stare molto allegri, per essere come il Signore. Il demonio teme le persone contente. Sappi che noi qui identifichiamo la santità con la grande allegria, perché siamo come il Signore. Il demonio ha paura della gente allegra». 

 
Il lato buffo Il senso dell'umorismo, infatti, è la capacità di vedere il lato buffo delle cose anche in situazioni tristi e spiacevoli.
Un imbianchino cade dal secondo piano, restando incolume. Una signora caritatevole gli offre un bicchiere d'acqua. L'imbianchino osserva il bicchiere, poi domanda: «Mi scusi, da che piano bisogna cadere per avere un bicchiere di cognac?».
L'umorismo è il sale della quotidianità. Se togli il senso del comico, togli il sale della vita, le bollicine dell'esistenza.
Un giorno il professor Cagnotto entra in classe e vede scritto sulla lavagna: “Cagnotto asino!”.
Senza scomporsi, domanda: «Chi è che ha scritto il suo nome accanto al mio?»
Tutta la classe ride e la tensione si scioglie!
Una volta un impiegato della ditta specializzata negli impianti d'aria condizionata continuava a dire che si trattava di “Un prodotto della civiltà”. Dopo un po', per liberarsi dall'importuno, il proprietario della villa disse: “Ma io non voglio prendermi una polmonite civile!”.

Il segreto della simpatia

L'umorismo è segno di maturità. La prima volta che si ride di una battuta a proprie spese, si può dire d'essere diventati adulti, notano tutti gli psicologi a qualsiasi scuola appartengano.
L'umorismo fa simpatici, non fa sprizzare gioia attorno a sé chi, ad esempio, aggiorna in modo scherzoso i vecchi proverbi? Qualche esempio:
Chi dorme non piglia la curva”. “Il mondo è fatto a scale. Chi è furbo prende l'ascensore”. “Si dice il peccato, ma non il deputato”. “Chi tardi arriva, mal parcheggia”. “L'occasione fa l'uomo... ministro”. “Chi fa da sé fa per tre... e crea quattro disoccupati”.
Battute, battutine scaccia-sbadigli. Questo fa l'umorismo.


L'umorismo è una forza. Lo sosteneva Sigmund Freud: «L'umorismo è il più potente mezzo di difesa. Permette un risparmio di energia psichica. Con una battuta di spirito blocchiamo l'irrompere di emozioni spiacevoli».
Non può essere che così. L'umorismo, infatti, sdrammatizza tutto.


Sdrammatizza le cose più banali
: «Mi sono spaccato il pipistrello della mano sinistra!» scherzava Totò. Sdrammatizza la morale: «Dopo il peccato di Adamo non si riesce più a far un peccato originale!»


Sdrammatizza il matrimonio. Un tale va a confessarsi: «Padre sono sposato». «Ma questo non è peccato!», risponde il confessore. Il penitente: «Me ne pento lo stesso!».


Sdrammatizza gli imprevisti. Quando il futuro papa Giovanni XXIII fece l'ingresso come patriarca a Venezia, un colombo gli lasciò cadere dall'alto un poco pulito ricordo. Gelo tra gli astanti. Il porporato sdrammatizzò: «Per fortuna le mucche non volano!».


Sdrammatizza anche la religione. Un turista osserva il parco macchine del Vaticano e, scuotendo la testa, dice alla guida: «E pensare che tutto è cominciato da un asinello!».


Sdrammatizza persino la morte: «Peccato che per andare in Paradiso, bisogna salire su un carro funebre!»


Che cosa si vuole di più? Una cosa sola: scongiurare il buon Dio perché ai cinque sensi che già ci ha regalato aggiunga, subito subito, il senso dell'umorismo. Senza di esso saremmo terribilmente più poveri e infelici.
Insomma, salvare l'umorismo non è un optional. È un dovere!


Un giorno Charles Schulz, il famoso disegnatore statunitense, autore di Linus e del cane Snoopy ha confidato: “Se mi fosse possibile fare un regalo alla prossima generazione, darei ad ogni individuo la capacità di ridere di se stesso”.




Il termometro della famiglia

Per sapere se la nostra famiglia va bene basta la risposta ad una sola domanda: «Ci divertiamo ancora insieme?».

DAMMI LA VOGLIA DI RIDERE
Scusami l'impertinenza,
ma stasera ho voglia di dirTi
come i bambini piccoli
sulle ginocchia del fratello maggiore:
Fammi ridere!”.
Sì, è la mia preghiera inattesa:
Signore, fammi ridere!
Perché, a mia volta, io possa
far ridere i miei fratelli:
Ne hanno tanto bisogno!

(Michel Quoist)