martedì 28 febbraio 2017

Quaresima 2017 - Anno A - La Parola è un dono. L'altro è un dono

 
Ricordati uomo che sei polvere e in polvere ritornerai”

Carissimi amici, che seguite tutte le settimane i miei volenterosi commenti alla Parola che la liturgia ci suggerisce, vi arrrivi questo mio messaggio per il tempo liturgico che oggi primo marzo 2017 incomincia: tempo di quaresima.
Troverete il messaggio di Papa Francesco per questo periodo di quaresima, tempo tanto ricco per la conversione, quanto per l'attesa della nostra salvezza di Gesù, la Pasqua di Gesù.
Da parte mia ho deciso di meditare ogni giorno una frase, un pensiero del messaggio di Papa Francesco: meditare, guardarmi dentro nel cuore , nei pensieri, nelle azioni, nell'amore al prossimo: rivedere la mia vita , il mio peccato non per piangere ma per rallegrarmi di essere stato sempre perdonato. Godere anche in questo periodo della misericordia divina, gioire consapevole che se un discepolo non sa gioire,non sarà mai un buon discepolo, discepolo continuatore della missione evangelizzatrice di Gesù.

Per tutta la quaresima non invierò commenti alla letture della liturgia della Parola, lasciando ad ognuno, vogliamo dire compito?, di regolarsi e di prepararsi al meglio per festeggiare, passati i quaranta giorni di quaresima, la risurrezione di Gesù fonte della nostra fede e speranza, frutto della sua incarnazione, passione e morte per amore dell'uomo.

BUONA QUARESIMA!


MESSAGGIO Di PAPA FRANCESCO PER LA QUARESIMA 2017


La Parola è un dono. L’altro è un dono

Cari fratelli e sorelle,
la Quaresima è un nuovo inizio, una strada che conduce verso una meta sicura: la Pasqua di
Risurrezione, la vittoria di Cristo sulla morte. E sempre questo tempo ci rivolge un forte invito alla conversione: il cristiano è chiamato a tornare a Dio «con tutto il cuore» (Gl 2,12), per non accontentarsi di una vita mediocre, ma crescere nell’amicizia con il Signore. Gesù è l’amico fedele che non ci abbandona mai, perché, anche quando pecchiamo, attende con pazienza il nostro ritorno a Lui e, con questa attesa, manifesta la sua volontà di perdono (cfr Omelia nella S. Messa, 8 gennaio 2016).

La Quaresima è il momento favorevole per intensificare la vita dello spirito attraverso i santi mezzi che la Chiesa ci offre: il digiuno, la preghiera e l’elemosina. Alla base di tutto c’è la Parola di Dio, che in questo tempo siamo invitati ad ascoltare e meditare con maggiore assiduità. In particolare, qui vorrei soffermarmi sulla parabola dell’uomo ricco e del povero Lazzaro (cfr Lc 16,19-31).
Lasciamoci ispirare da questa pagina così significativa, che ci offre la chiave per comprendere come agire per raggiungere la vera felicità e la vita eterna, esortandoci ad una sincera conversione.
1. L’altro è un dono
La parabola comincia presentando i due personaggi principali, ma è il povero che viene descritto in maniera più dettagliata: egli si trova in una condizione disperata e non ha la forza di risollevarsi, giace alla porta del ricco e mangia le briciole che cadono dalla sua tavola, ha piaghe in tutto il corpo e i cani vengono a leccarle (cfr vv. 20-21).

Il quadro dunque è cupo, e l’uomo degradato e umiliato. La scena risulta ancora più drammatica se si considera che il povero si chiama Lazzaro: un nome carico di promesse, che alla lettera significa «Dio aiuta». Perciò questo personaggio non è anonimo, ha tratti ben precisi e si presenta come un individuo a cui associare una storia personale.

Mentre per il ricco egli è come invisibile, per noi diventa noto e quasi familiare, diventa
un volto; e, come tale, un dono, una ricchezza inestimabile, un essere voluto, amato, ricordato da Dio, anche se la sua concreta condizione è quella di un rifiuto umano (cfr Omelia nella S. Messa, 8 gennaio 2016).

Lazzaro ci insegna che l’altro è un dono. La giusta relazione con le persone consiste nel
riconoscerne con gratitudine il valore. Anche il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita. Il primo invito che ci fa questa parabola è quello di aprire la porta del nostro cuore all’altro, perché ogni persona è un dono, sia il nostro vicino sia il povero sconosciuto.

La Quaresima è un tempo propizio per aprire la porta ad ogni bisognoso e riconoscere in lui o in lei il volto di Cristo. Ognuno di noi ne incontra sul proprio cammino. Ogni vita che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto, amore.

La Parola di Dio ci aiuta ad aprire gli occhi per accogliere la vita e amarla, soprattutto quando è debole. Ma per poter fare questo è necessario prendere sul serio anche quanto il Vangelo ci rivela a proposito dell’uomo ricco.

2. Il peccato ci acceca
 La parabola è impietosa nell’evidenziare le contraddizioni in cui si trova il ricco (cfr v. 19). Questo personaggio, al contrario del povero Lazzaro, non ha un nome, è qualificato solo come “ricco”. La sua opulenza si manifesta negli abiti che indossa, di un lusso esagerato. La porpora infatti era molto pregiata, più dell’argento e dell’oro, e per questo era riservato alle divinità (cfr Ger 10,9) e ai re (cfr Gdc 8,26). Il bisso era un lino speciale che contribuiva a dare al portamento un carattere quasi sacro.

Dunque la ricchezza di quest’uomo è eccessiva, anche perché esibita ogni giorno, in modo abitudinario: «Ogni giorno si dava a lauti banchetti» (v. 19). In lui si intravede drammaticamente la corruzione del peccato, che si realizza in tre momenti successivi: l’amore per il denaro, la vanità e la superbia (cfr Omelia nella S. Messa, 20 settembre 2013).
Dice l’apostolo Paolo che «l’avidità del denaro è la radice di tutti i mali» (1 Tm 6,10). Essa è il principale motivo della corruzione e fonte di invidie, litigi e sospetti. Il denaro può arrivare a dominarci, così da diventare un idolo tirannico (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 55).
Invece di essere uno strumento al nostro servizio per compiere il bene ed esercitare la solidarietà con gli altri, il denaro può asservire noi e il mondo intero ad una logica egoistica che non lascia spazio all’amore e ostacola la pace.

La parabola ci mostra poi che la cupidigia del ricco lo rende vanitoso. La sua personalità si
realizza nelle apparenze, nel far vedere agli altri ciò che lui può permettersi. Ma l’apparenza
maschera il vuoto interiore. La sua vita è prigioniera dell’esteriorità, della dimensione più
superficiale ed effimera dell’esistenza (cfr ibid., 62).

Il gradino più basso di questo degrado morale è la superbia. L’uomo ricco si veste come se fosse un re, simula il portamento di un dio, dimenticando di essere semplicemente un mortale. Per l’uomo corrotto dall’amore per le ricchezze non esiste altro che il proprio io, e per questo le persone che lo circondano non entrano nel suo sguardo.

Il frutto dell’attaccamento al denaro è dunque una sorta di cecità: il ricco non vede il povero affamato, piagato e prostrato nella sua umiliazione.
Guardando questo personaggio, si comprende perché il Vangelo sia così netto nel condannare l’amore per il denaro: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro,
oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza» (Mt 6,24).

  1. La Parola è un dono
    Il Vangelo del ricco e del povero Lazzaro ci aiuta a prepararci bene alla Pasqua che si avvicina. La liturgia del Mercoledì delle Ceneri ci invita a vivere un’esperienza simile a quella che fa il ricco in maniera molto drammatica. Il sacerdote, imponendo le ceneri sul capo, ripete le parole: «Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai». Il ricco e il povero, infatti, muoiono entrambi e la parte principale della parabola si svolge nell’aldilà. I due personaggi scoprono improvvisamente che «non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla possiamo portare via» (1 Tm 6,7).

Anche il nostro sguardo si apre all’aldilà, dove il ricco ha un lungo dialogo con Abramo, che
chiama «padre» (Lc 16,24.27), dimostrando di far parte del popolo di Dio. Questo particolare rende la sua vita ancora più contraddittoria, perché finora non si era detto nulla della sua relazione con Dio. In effetti, nella sua vita non c’era posto per Dio, l’unico suo dio essendo lui stesso.

Solo tra i tormenti dell’aldilà il ricco riconosce Lazzaro e vorrebbe che il povero alleviasse le sue sofferenze con un po’ di acqua. I gesti richiesti a Lazzaro sono simili a quelli che avrebbe potuto fare il ricco e che non ha mai compiuto. Abramo, tuttavia, gli spiega: «Nella vita tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti» (v. 25). Nell’aldilà si ristabilisce una certa equità e i mali della vita vengono bilanciati dal bene.

La parabola si protrae e così presenta un messaggio per tutti i cristiani. Infatti il ricco, che ha dei fratelli ancora in vita, chiede ad Abramo di mandare Lazzaro da loro per ammonirli; ma Abramo risponde: «Hanno Mosè e i profeti; ascoltino loro» (v. 29). E di fronte all’obiezione del ricco, aggiunge: «Se non ascoltano Mosè e i profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti» (v. 31).

In questo modo emerge il vero problema del ricco: la radice dei suoi mali è il non prestare ascolto alla Parola di Dio; questo lo ha portato a non amare più Dio e quindi a disprezzare il prossimo. La Parola di Dio è una forza viva, capace di suscitare la conversione nel cuore degli uomini e di orientare nuovamente la persona a Dio. Chiudere il cuore al dono di Dio che parla ha come conseguenza il chiudere il cuore al dono del fratello.

Cari fratelli e sorelle,

la Quaresima è il tempo favorevole per rinnovarsi nell’incontro con Cristo vivo nella sua Parola, nei Sacramenti e nel prossimo. Il Signore – che nei quaranta giorni trascorsi nel deserto ha vinto gli inganni del Tentatore – ci indica il cammino da seguire. Lo Spirito Santo ci guidi a compiere un vero cammino di conversione, per riscoprire il dono della Parola di Dio, essere purificati dal peccato che ci acceca e servire Cristo presente nei fratelli bisognosi.

Incoraggio tutti i fedeli ad esprimere questo rinnovamento spirituale anche partecipando alle Campagne di Quaresima che molti organismi ecclesiali, in diverse parti del mondo, promuovono per far crescere la cultura dell’incontro nell’unica famiglia umana.

Preghiamo gli uni per gli altri affinché, partecipi della vittoria di Cristo, sappiamo aprire le nostre porte al debole e al povero. Allora potremo vivere e testimoniare in pienezza la gioia della Pasqua.

Dal Vaticano, 18 ottobre 2016
Festa di San Luca Evangelista
Francesco

domenica 26 febbraio 2017

«Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato».


Il popolo alza il suo grido perché si sente abbandonato da Dio


Ottava domenica del T.O – AnnoA- 26 febbraio 2017


Ad una settimana di distanza dall'inizio della Quaresima, la Parola ci invita a fidarci di Dio, a meditare chi è Dio per noi e noi chi siamo per Dio, cosa fa Dio per noi e noi cosa facciamo per Dio. La prima lettura vediamo il popolo eletto lamentarsi perchè le vicende del tempo lo hanno portato ad una siuazione di sofferenza, il popolo alza il suo grido perché si sente abbandonato da Dio.

La seconda lettura segue immediatamente il brano di domenica scorsa, in cui si parlava della saggezza e della stoltezza secondo Dio, degli eletti. In questa dimensione devono essere accolti i leaders della comunità, servi del Signore, amministratori e non padroni consapevoli che la comunità ha il diritto e il dovere di esprimere il proprio parere sull'operato dei ministri e amministratori ( pareri non giudizi) e questi non possono arrogarsi il diritto di agire in modo arbitrario e di «comportarsi da padroni»: vivere insomma nella reciproca fiducia.

Paolo poi fa la propria autodifesa: egli era stato criticato da quelli che si vantavano di essere cristiani illuminati e maturi. Ci interrogheremo alla presenza di Dio su chi siamo noi, come ci giudichiamo.
Della fiducia parla anche il Vangelo. Gesù pone la scelta tra due modi di vivere, indica la possibilità di scegliere tra due padroni: Dio o la ricchezza, le cose celesti o quelle umane, lo spirito o il mondo. Gesù ci vuole liberi di scegliere e consapevoli di che cosa è importante e cosa non lo è.

Dal libro del Profeta Isaia49,14-15



Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato».
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.

Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato”. È il lamento con cui inizia la lettura di oggi ed è l'espressione della dolorosa esperienza di chiunque, caduto nell'abisso del peccato, avvolto da sofferenza, rifiutato dai propri simili,sia convinto che anche il Signore lo rifiuti.
Questi pensieri sorgono quando vengono proiettati in Dio i nostri criteri di giudizio e
le nostre meschinità. Compare allora il Dio suscettibile, permaloso e persino vendicativo.
Questa deformazione del suo volto è la più subdola delle astuzie diaboliche e il Signore si premura di cancellarla.Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?

Lamentarsi è umano ma anche lo dovrebbe essere l'accettazione del male provvisorio o duraturo, umana la fiducia di abbandonarsi alla volontà divina che si fa presente nella nostra vita quando le vicende umane sembrano prendere il sopravvento e ci sconvolgono. Anche Gesù, ricordate, fece questa esperienza sulla croce: “mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato? “, e subito dopo nell'istante della sua morte, ci racconta l'evangelista Marco “Gesù ,dando un forte grido, spirò”. E' il grido della speranza, della fede, della fiducia nonostante la realtà dell'abbandono vissuto.
 
Dalla prima lettera di Paolo apostolo ai Corinti 4,1-5



Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele. A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore! Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode”.

Il brano di oggi conclude la lunga trattazione di questo argomento, iniziata con il severo monito: «Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati?» (1Cor 1,13).
Paolo impiega il plurale, parla dei discepoli che annunciano il Vangelo.

Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio”. Con due termini espressivi ne definisce il ruolo: sono servi cioè inservienti che liberamente hanno accettato di svolgere un incarico; sono dei subordinati, dei dipendenti a servizio di un Signore, Cristo; sono degli amministratori non dei padroni, hanno in mano beni che appartengono a Dio, a loro sono stati solo affidati affinché li facciano fruttare.

Agli amministratori si richiede solo la fedeltà. Chi annuncia il vangelo del Maestro, deve avere un'unica preoccupazione: trasmettere il messaggiog senza aggiungere e nulla togliere. Il padrone non gli chiederà se è riuscito a convincere molte persone, ma domanderà soltanto se ha annunciato il vangelo secondo verità, senza cedere agli opportunismi, senza scendere a compromessi, senza rispetti umani.

Nella seconda parte del brano (vv. 3-5) Paolo risponde alle critiche che i corinzi gli muovono.
Assicura che non è per niente preoccupato dei giudizi pronunciati su di lui, siano
essi di approvazione o di condanna. Non è ai corinzi che deve rendere conto del proprio operato, ma a Dio. Non si fida nemmeno del giudizio della sua coscienza, anche se, onestamente, riconosce che non gli rimprovera nulla. Tiene presente questo giudizio, ma non lo considera definitivo, attende quello del Signore che verrà pronunciato al termine della dura «giornata di lavoro».

Le parole dell'Apostolo non sono un invito a ignorare il giudizio che una comunità
pronuncia su chi svolge un ministero. Ma non va dimenticato che, solo alla fine, quando
Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode”.

Dal Vangelo secondo Matteo 6,24-34




Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.
Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?». Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

Come si può adattare questa pagina di Vangelo alla nostra vita? Non bisogna che la leggiamo come un invito al disimpegno: Gesù infatti non vuole che siamo poveri o diseredati, ma ci vuole liberi di scegliere e consapevoli di che cosa è importante e cosa non lo è.
Le immagini con cui è presentata la premura di Dio nei confronti delle sue creature
sono deliziose: «Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate?
Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro»

Sembra che Gesù voglia proporre una vita spensierata staccata dalla realtà.
Non è così. Gesù non suggerisce il disimpegno, l'ozio, il disinteresse o la rassegnazio
ne, propone un rapporto nuovo con i beni: non l'accaparramento, ma la condivisione fondata sulla fiducia nella provvidenza di Dio.
Gesù non condanna la programmazione, la previdenza ma la preoccupazione per il domani,l'ansia che fa perdere la gioia di vivere e porta inevitabilmente ad accumulare e a trasformare in idoli i beni di questo mondo.
Gesù suggerisce il suo rimedio a questa malattia: sollevare lo sguardo verso l'alto, verso il Padre che sta nei cieli. Questo non significa rimanere con le mani in mano, ma affrontare la realtà con cuore nuovo.

Alle parole di Gesù fa eco l'apostolo Paolo nella Lettera agli ebrei: “La vostra condotta sia senza avarizia, accontentatevi di quello che avete, perché
Dio stesso ha detto: Non ti lascerò e non ti abbandonerò mai” (Eb 13,5).
Anche di fronte alle difficoltà più gravi, Gesù invita a mantenere la pace interiore perché la vita dell'uomo è nelle mani di Dio che non abbandona i suoi figli, li accompagna in ogni istante, benedice i loro sforzi e il loro impegno.


....Come i gigli dei prati e gli uccelli del cielo....

Bisogna abbandonare il passato alla misericordia di Dio,
il presente alla nostra fedeltà
e il futuro alla divina Provvidenza.
(Francesco di Sales)




venerdì 17 febbraio 2017

La santità non è una questione personale...ma di tutta una Comunità.



La giustizia del discepolo è amore per Dio e per il prossimo

Domenica settima del T.O.-Anno A- 19 febbraio 2017



Gesù continua a pungolarci, quasi a divertirsi, a metterci sempre davanti i suoi paradossi che ci costringono a dover "scegliere", a chiederci di rinunciare per avere, di morire per vivere, di dare per ricevere. La prima lettura , in sintonia con le altre ci chiede di essere santi perché Lui il Signore è santo. L'apostolo Paolo
da una parte ci dice che tutto è nostro per poi ribadire che "...voi siete di Cristo e Cristo è di Dio"; e infine Matteo che dà forza e un senso a tutti quei "se", che pesano come macigni sul nostro modo di vivere rivoluzionando il concetto di prossimo. Dalle tre letture capiamo che Gesù ci vuole perfetti come il Padre nostro che è nei cieli. Quel “come” mi mette in crisi: non sa Gesù che siamo uomini deboli, fragili? No, non può volere questo, è uno stimolo nel percorso deò discepolo, vuole una rivoluzione che potremmo chiamare conversione giornaliera.


Dal libro del Levitico 19,1-2.17-18

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”.
Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore.



Il primo richiamo alla santità ci arriva dalla prima lettura, Dio ci parla per mezzo di Mosè: vuole fare sapere al suo Popolo che Lui è il Signore, e vuole che tutto il popolo, tutta la comunità siano santi e detta anche le condizioni.
Cerco di immaginare cosa ne pensava allora il popolo eletto: forse che Lui è perfetto perché è Dio; provi Lui a venire qui e vivere come un uomo spogliandosi delle sue prerogative divine...e poi ne parliamo.

Noi che abbiamo conosciuto il suo Inviato forse la pensiamo diversamente, che sì è duro, difficile, che noi siamo coscienti di non essere perfetti, ma, più o meno consapevolmente, sappiamo di appartenere, non per merito, né per nascita, al Corpo di Cristo, a colui che ci ha salvati e amati da sempre, ci ricorderà l'apostolo Paolo.

Gesù ci chiede "fantasia" relazionale, non regole ingessate per rispondere come a un prontuario di fronte ai casi della vita...perché è in quel "come" che ci si gioca la nostra capacità di rispondere a quella persona che forse siamo convinti di conoscere da una vita.
In poche parole, Gesù ci chiede un salto di "qualità" della nostra vita cristiana, che però è strettamente e coerentemente legata alla vita sociale, lavorativa che svolgiamo quotidianamente.

E quandanche riuscissimo a vivere una vita di santità umana, dobbiamo ricordarci che essa non sarebbe la risultanza dello sforzo del singolo, ma di tutta una Comunità, nelle figure dei genitori, dei catechisti, dei sacerdoti, di tutti coloro che formano una comunità vuoi familiare, parrocchiale, sociale. Ognuno per la sua parte, collabora perché io, tu come singoli, vivessimo una santità quotidiana, quale espressione tangibile dell'amore e della misericordia di Dio.

La santità non è una questione personale...ma di tutta una Comunità.



Dalla prima lettera ai Cor 3,16-23

Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.
Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia. E ancora: Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani.
Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.




Leggendo questo brano mi sembra di sentire Paolo parlare con forza, con energia rivolgendosi ai “perfetti” di Corinto: non è un rimprovero, enuncia una verità teologica alla comunità : Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” Santo è Dio, santo è il suo tempio cioè la comunità a cui si rivolge.In forza della loro fede ormai i Corinti (e con loro tutti i credenti) sono diventati tempio di Dio, presenza di Lui, grazie allo Spirito Santo che abita in loro.
Paolo ricorda che questo edificio di cui sta parlando è la Chiesa, per cui anche la comunità di Corinto (voi siete tempio di Dio). C'è una responsabilità, quella di custodire lo Spirito che abita nella comunità, mantenere salda la casa.
E tornando alle discussione delle domeniche precedenti ricorda che il tempio di Dio si può distruggere anche attraverso le divisioni all'interno della comunità.
Dopo aver dato le indicazioni teologiche Paolo passa alle esortazioni rivolte ai fedeli individualmente. Facendo leva sull'ambizione dei Corinti di essere sapienti, li esorta a dimostrare una vera sapienza, quella che viene da Dio, ma che agli occhi del mondo si presenta come una stoltezza. La sapienza di Dio è aderire alla croce di Cristo, alla fede e al suo approfondimento. L'Apostolo non intende svalutare o disprezzare gli sforzi e le capacità della ragione umana; egli mette in guardia dai deliri di onnipotenza e dalle pretese insensate di chi è convinto che tutto possa essere ridotto al razionale e che si possa fare a meno della luce di Dio. Paolo termina con l'esortazione a non confidare nella sapienza umana. Grazie alla fede in Gesù Cristo tutto è a portata del credente, anche le cose più nascoste che l'uomo cerca di conoscere e conquistare con la propria ragione.

Dal vangelo secondo Matteo 5, 38-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «38Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. 39Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, 40e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. 42Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
43Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. 44Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»



Siamo alla fine del capitolo quinto: Gesù parla di vendetta, perdono, amore. L'evangelista Matteo, come abbiamo visto, non vuole indicarci delle leggi precise da mutare, quanto piuttosto un modo diverso di leggere la Scrittura e di scoprire la volontà di Dio, un modo diverso di intendere la morale, basata sull'amore. Gesù si contrappone agli scribi come i profeti che l'hanno preceduto che si sforzavano di recuperare il centro della volontà di Dio. Gesù recupera le leggi di Mosè dando il primato alla carità, e al perdono. L'unico modo per interrompere il ciclo diabolico offesa-violenza è il perdono.
Se alla violenza si reagisce con un'altra violenza, non solo non viene eliminata la prima ingiustizia, ma se ne aggiunge un'altra. Questo circolo può essere spezzato solo con un gesto originale, assolutamente nuovo: il perdono. Tutto il resto è vecchio, è qualcosa di già visto, di ripetuto senza sosta fin dagli inizi dell'umanità.
Tutto deve essere letto alla luce di questo nuovo cambiamento, e tutto deve essere valutato in base ad esso. In questo senso l’affermazione più importante la troviamo al v. 48: “Siate perfetti come il Padre vostro celeste”. Non è una perfezione qualsiasi, ma la perfezione della carità e del perdono: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori”. Ecco una prima ragione per cui si può chiamare “superiore” la giustizia del discepolo: la giustizia del discepolo avvicina alla santità che Dio ci chiede.
Gesù invita a mostrarsi suoi figli, chiede ai discepoli di lasciar trasparire nei loro comportamenti l'indole del Padre celeste: «egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti». La distinzione fra malvagi e buoni e la lotta contro gli uomini, portata avanti in nome di Dio, sono bestemmie!
Il credente è tenuto ad amare in modo disinteressato, senza calcoli opportunstici, come faceva il popolo ebreo chiuso in se stesso, il saluto va rivolto a chiunque e non solo agli amici.
I rapporti interpersonali dei discepoli devono essere improntati ad un nuovo stile di vita, in modo da esprimere l'avvento del Regno, inauguaato con la venuta e il ministero di Gesù.
La religiosità che Gesù esige dai suoi discepoli si distingue dal giuridismo faisaico perché consiste esenzialmente nell'imitazione della perfezione di Dio, manifestata dalla sua bontà sconfinata, persino verso i peccatori che lo rifiutano






venerdì 10 febbraio 2017

Non sono venuto ad abolire , ma a dare pieno compimento: Gesù spiega le beatitudini.

Se tu vuoi, puoi osservare i comandamenti; l'essere fedele dipende dalla tua buona volontà”


Sesta domenica del T.O. -Anno A-12 febbraio 2017

Le letture di oggi, diverse tra loro, portano un insegnamento: la Sapienza, che non è dei dominatori di questo mondo.
Siracide, prima lettura, ci ricorda che Dio ci ha creati liberi: "Ho messo davanti a te la vita e la morte. Come tu sceglierai così avverrà”.

L'apostolo Paolo che, come abbiamo visto, aveva esaltato la sapienza umana, ora parla di coscienza, di una sapienza che non è di questo mondo, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria.

Infine nel vangelo Gesù parla di una morale della coscienza che sostituisce la morale della legge: “fu detto, ma io vi dico”. La parola “coscienza” nella Scrittura indica il cuore, il centro dell'essere umano, dello spirito umano, della sua capacità di intendere e di volere. “Se tu vuoi, puoi osservare i comandamenti; l'essere fedele dipende dalla tua buona volontà”.(Sir)

Nel Vangelo che ascolteremo si parla di una morale della coscienza, che sostituisce la morale della legge: "fu detto, ma io vi dico". Gesù allude alla morale dei farisei, che Egli condanna perché riguarda un comportamento esterno, una morale esteriore che non sempre corrispondeva a una spontaneità interiore.
La parola "coscienza" nella Scrittura indica il "cuore", il centro dell'essere, il punto di unificazione delle molte facoltà dello spirito umano.l'intendere e volere.
“Se tu vuoi, puoi osservare i comandamenti; l'essere fedele dipende dalla tua buona volontà”.(Sir)
La morale del Vangelo è la morale del cuore. E' ciò che viene dal di dentro che contamina l'uomo, non ciò che viene dal di fuori.
Se osserviamo le leggi senza che nemmeno una scintilla di amore si alzi dal nostro profondo, questo non arriva dal centro del nostro essere, è una morale esteriore. La morale evangelica è rivolta soprattutto al pricipale precetto dell'amore, che riguarda il prossimo e in particolare il prossimo che per qualche motivo ce l'ha con noi. Il vero tempio è l'uomo vivente, il vero culto a Dio è l'amore per il prossimo bisognoso.



Dal libro di Siracide 15,15-20

Se tu vuoi, puoi osservare i comandamenti; l'essere fedele dipende dalla tua buona volontà.
Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano.
Davanti agli uomini stanno la vita e la morte: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.
Grande infatti è la sapienza del Signore; forte e potente, egli vede ogni cosa.
I suoi occhi sono su coloro che lo temono, egli conosce ogni opera degli uomini.
A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare.

Siracide, ci ricorda che Dio ci ha creati liberi: "Ho messo davanti a te la vita e la morte. Come tu sceglierai così avverrà."
In questo testo si ribadisce che di fronte al bene o al male."al fuoco o all'acqua, alla vita o alla morte" l'uomo è chiamato a scegliere responsabilmente. Pertanto, egli non dica: "Mi son ribellato, per colpa del Signore...Egli mi ha sviato...; perché non ha bisogno di un peccatore!"
In tutto il brano,c'è sempre una terza presenza: Dio, che non si impone, ma che è interessato all'uomo e alle scelte positive che egli fa.”I suoi occhi sono su coloro che lo temono, egli conosce ogni opera degli uomini”.
Siracide indicava ai suoi alunni il cammino della vita, insegnva la Torah, la sapienza di Dio.

Dalla prima lettera ai Corinti: 2, 6-10

Tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo l'ha conosciuta; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma, come sta scritto:
Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì,
né mai entrarono in cuore di uomo,
Dio le ha preparate per coloro che lo amano.
Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.




Paolo parla di perfetti, di sapienza, di mistero: torna per un attimo al vocabolario filosofico greco che piaceva anche ai Corinzi. Recupera la categoria della sapienza, trattando della vera sapienza quella che si inserisce all'interno dell'agire di Dio.La fede dei Corinzi era nata non grazie alla sapienza, ma era scaturita dalla croce di Cristo, grazie alla potenza dello Spirito Santo, che avevano potuto agire grazie alla povertà di Paolo.

La vera sapienza è stata svelata ai veri perfetti: Perfetti si definivano i membri di un gruppo di credenti che affermavano di possedere una conoscenza superiore agli altri, conoscenza elargita loro da un dono particolare di Dio. L'apostolo va oltre: La vera sapienza è stata svelata ai veri perfetti, cioè a quanti hanno lasciato agire in sé lo Spirito Santo (e tra di loro Paolo mette anche se stesso).
La sapienza è ignorata dai potenti che altrimenti“non avrebbero crocifisso il Signore della gloria”.
La sapienza di Dio, è nel mistero, è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria, scrive ancora l'apostolo Paolo. Essa appartiene a Dio, è contenuta nel suo disegno eterno, elaborato prima della creazione del mondo e che aveva come obiettivo la glorificazione di tutti gli esseri umani, cioè la loro partecipazione alla gloria di Dio.

La sapienza di Dio era nascosta, ma qualcuno l'ha potuta conoscere. Tra chi non l'ha conosciuta vi sono i dominatori di questo mondo, cioè coloro che furono responsabili della morte di Gesù. Non è che sia stato negato loro di conoscere la sapienza. Piuttosto con la loro durezza di cuore non hanno voluto aprirsi alla Sapienza e a riconoscere che Gesù era davvero il Signore della gloria.
Paolo e i veri perfetti si sono messi in ascolto e lo Spirito Santo ha rivelato loro tutto quello che dovevano conoscere della vera sapienza di Dio. Non c'era messaggero migliore dello Spirito Santo, poiché Egli conosce meglio di chiunque altro le profondità di Dio, ciò che di più intimo e nascosto è nel cuore del nostro Creatore

Dal vangelo secondo Matteo 5,17-37


La Legge e il suo compimento
17Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. 18In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. 19Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. 20Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Collera e riconciliazione
21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: «Stupido», dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: «Pazzo», sarà destinato al fuoco della Geènna.
23Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
25Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo!

Adulterio e fedeltà
27Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. 28Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
29Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
31Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto del ripudio». 32Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all'adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.

Sì, sì; no, no
33Avete anche inteso che fu detto agli antichi: «Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti». 34Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, 35né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. 36Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. 37Sia invece il vostro parlare: «Sì, sì», «No, no»; il di più viene dal Maligno.


Essendo opera di Dio, la Toràh non può essere né smentita né contraddetta. «La
Scrittura non può essere annullata» - ha dichiarato Gesù (Gv 10,35) - perché Dio non può
avere ripensamenti o rinnegare quanto ha detto in passato o apportarvi correzioni. Il
cammino da lui tracciato dall'Antico Testamento ha validità perenne.
Nella prima frase del vangelo di oggi Gesù ribadisce questa verità: Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento.

Se Gesù sente il bisogno di chiarire la sua posizione, significa che qualcuno ha avuto
l'impressione che egli, con il suo comportamento e con le sue parole, stesse demolendo le
convinzioni, le attese e le speranze di Israele, basate sui testi sacri.
Gesù era rispettoso delle leggi e delle istituzioni del suo popolo, ma le interpretava in
modo originale; il suo punto di riferimento non era la lettera del precetto, ma il bene
dell'uomo.
Tuttavia, più che la sua mancata osservanza delle prescrizioni dei rabbini, ciò che creava sconcerto era il suo messaggio, la nuova Toràh che aveva proclamato sul monte, una Toràh che sconvolgeva i principi e i valori su cui era fondata l'istituzione religiosa e civile d’Israele: le beatitudini.
Sono queste beatitudini la nuova proposta, la nuova giustizia che porta a compimento,
conduce alla perfezione quella antica, quella che gli scribi e i farisei, bisogna
riconoscerlo praticavano in modo esemplare.

Nella seconda parte del vangelo (vv. 20-37) vengono presentati quattro esempi del
balzo in avanti, richiesto a tutti coloro che vogliono entrare nel regno dei cieli. Si tratta
di quattro disposizioni che si ritrovano nell'Antico Testamento e che non vengono
smentite, ma spiegate in modo originale: Giustizia, Collera e riconciliazione, Adulterio e fedeltà, Sì, sì; no, no.Gli esempi che porta sono sei, ma il vangelo di oggi ne riprende soltanto quattro, gli altri due ci verranno proposti domenica prossima


A questo punto vi invito a rileggere e riflettere sui quattro punti. Il mio commento vi annoierebbe, sarebbe troppo lungo, ma sono sicuro che capirete perfettamente ciò che vuole dire Gesù ad ognuno. Mi raccomando: invocate sempre, accostandovi alla Parola, di invocare lo Spirito Santo.

"Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio

domenica 5 febbraio 2017

La comunità cristiana d’oggi rischia di nascondere sotto pesanti schermi la luce di Cristo?


Il cristiano insipido a null'altro serve...

QUINTA DOMENICA DEL T.O. - ANNO A – 5 febbraio 2017


Il brano del vangelo di questa domenica presuppone le beatitudini annunciate domenica scorsa.
Dopo averle enunciate Gesù si rivolge ai suoi discepoli: sono loro in prima persona le persone scelte ad essere beati, e non solo. A loro spetta annunciare le beatitudini, calarsi nella realtà degli uomini e dare testimonianza del loro discepolato, fare le veci di Gesù che non sempre rimarrà con loro.

Le tre letture di questa domenica ci portano a dare uno sguardo alla nostra coscienza di discepoli di Gesù, al nostro modo di dialogare con Dio, di pregare, di annunciare e testimoniare il Vangelo, a chiederci se effettivamente siamo in linea con quanto Gesù ci ha detto e lasciato.

La prima lettura ricorda al popolo ebreo, e a noi oggi, ciò che Dio gradisce; la seconda l'apostolo Paolo ai Corinzi dopo aver rimproverato i Corinti di essere divisi tra di loro, li esorta a non cercare la sapienza della parola, l'argomentare, la ricerca filosofica che erano proprie del popolo greco: in Grecia Paolo aveva fallito la sua missione per aver cercato di parlare di Cristo utilizzando parole di sapienza (At 17,16-34).
Nel brano del Vangelo Gesù indica i suoi discepoli come sale della terra e luce del mondo.
La funzione dei discepoli è illustrata dalle metafore casalinghe del sale in quanto condimento e dell’unica lampada che illuminava la casa di una sola stanza del contadino palestinese.
Ricordo che da questo capitolo fino al settimo compreso l'evangelista Matteo ci presenterà le azioni e il pensiero di Gesù da applicare come discepoli beati.



Is 58,7-10
Non consiste forse (il digiuno) nel dividere il pane con l'affamato,
nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,senza trascurare i tuoi parenti?
Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà.
Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!».
Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio,
se aprirai il tuo cuore all'affamato, se sazierai l'afflitto di cuore,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio”.

Al popolo ebraico preoccupato della pratica esteriore ed irreprensibile del culto, indaffarato a ricostruire il tempio distrutto, Dio ricorda che, più dello splendore del culto, gli è gradito l’ospitare i senza tetto, il dividere il pane con l’affamato... «Allora sì la tua luce sorgerà come l’aurora». Non basta pregare e digiunare.
La lettura di oggi va collocata nel contesto di uno di questi momenti di digiuno. Siamo nel V secolo a. C., il tempo del post-esilio. Il popolo è tornato da Babilonia, ma le promesse fatte dai profeti tardano a realizzarsi. Invece della sospirata comunità pacifica si è instaurata una società dominata da arrivisti e profittatori. Ovunque ci sono violenze, angherie, discordie. Per convincere Dio a intervenire e porre rimedio alla situazione, si indice un digiuno nazionale, rigoroso, severo.
Ci si chiede: perché digiunare se il Signore non ascolta ed è come se non ci fossimo sottoposti a mortificazioni e rinunce? (Is 58.3).
La lettura di oggi dà una risposta a questo interrogativo. La colpa del mancato cambiamento - spiega il profeta - non è del Signore, ma del modo errato di praticare il digiuno, ridotto a una sterile autopunizione, a una dolorosa penitenza. Questo digiuno non ottiene alcun risultato perché sottopone, sì, il corpo a privazioni, ma non cambia il cuore.
L’astinenza dal cibo conta poco, se non è per nutrire l’affamato. La preghiera e il digiuno devono essere uniti all’azione, alla condivisione fraterna, placare il cuore dell'afflitto «per far brillare fra le tenebre la luce». Torna questa parola “LUCE” che il discepolo deve far brillare per illuminare chi vive nelle tenebre, nella povertà, chi è oppresso.

1 Cor 2,1-5


Anch'io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l'eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.

Le parole di Paolo hanno bisogno di una introduzione per poterne capire il senso teologico e pastorale. Paolo quando si trovò in Grecia era convinto di dover usare un linguaggio e un metodo come i sapienti greci.Fu un completo fallimento! ( Vi invito a leggere Atti 17,16-32). Da allora egli stesso aveva capito sulla sua pelle che non poteva utilizzare questo metodo. Recatosi a Corinto cambia completamente registro e
contrappone alla sapienza della parola la follia della croce. Anch'io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l'eccellenza della parola o della sapienza”.

Presentatosi nella sua debolezza, con umiltà, povero e malato, l'annuncio del Vangelo brillò in tutta la forza dello Spirito, senza nessuna sapienza che lo offuscasse: Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”.



Predicare è annunciare Gesù: da parte la sapienza umana, da parte l'orgoglio, da parte la nostra persona, la nostra voce dovrà essere quella dello Spirito, potenza di Dio. AContrariamente saremmo campane stonate che non piacciono a nessuno, sale senza sapore, luce nascosta sotto il moggio (vangelo).


Mt 5,13-16
Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.

Gesù parla ai suoi discepoli direttamente, pronuncia e spiega due frasi: Voi siete il sale della terra, Voi siete la luce del mondo. Nella spiegazione, le due immagini vengono riferite alle “opere buone” dei discepoli. Vivendo secondo l’insegnamento di Gesù, gli uomini manifesteranno la bontà del “loro Padre che è nei cieli”.
Ma avverte che il sale insipido «a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini». Si parla di luce nascosta «sotto il moggio». E’ un invito a saggiare la qualità del nostro sale di cristiani d’oggi, e a vedere con quali paralumi abbiamo nascosto la luce del vangelo.
La parabola del sale è raccontata subito dopo le «beatitudini». Il cristiano è sale se accoglie integralmente le proposte del Maestro, senza aggiunte, senza modifiche, senza i «ma», i «se» e i «però» con cui si tenta di ammorbidirle, di renderle meno esigenti, più praticabili.


  La comunità cristiana d’oggi rischia di nascondere sotto pesanti schermi la luce di Cristo?