giovedì 29 luglio 2010
LETTERA AI GIOVANI - C'è una strada preparata per ciascuno
lunedì 26 luglio 2010
Ricordi il giorno della tua prima comunione?
Un’altra carmelitana scalza ricorda così il giorno della sua prima Comunione (11 settembre 1910): "Fu un giorno bello anche per la natura: il sole spandeva i suoi raggi ricolmando la mia anima di felicità e di ringraziamenti al Creatore... Quello che passò nell’anima mia verso Gesù non è cosa che si possa descrivere. Gli chiesi mille volte di prendermi e sentii per la prima volta la sua voce. Gli chiesi grazie per tutti... Gesù, dopo quel primo abbraccio, non mi lasciò più e mi prese per Sé" (Teresa di Los Andes).
Queste due testimonianze ci permettono di riflettere sul dono eucaristico che riceviamo nel giorno della prima Comunione. Cosa ne hanno fatto queste due donne (Teresa di Lisieux e Teresa di Los Andes) di quel primordiale abbraccio tra la creatura e il Creatore? Lo hanno rinnovato con amore e gratitudine, non hanno permesso che quel giorno – così solenne per la vita di ogni cristiano – diventasse l’ultimo!
Quando eravamo piccoli (in età di catechismo) le cose che riguardavano Dio ci erano familiari. Conoscevamo il significato della parola Sacramento, sapevamo a memoria i Comandamenti della legge di Dio e potevamo facilmente commentarli. Eravamo addirittura in grado di spiegare – con la semplicità caratterizzante del bambino – la misteriosa unità tra Gesù e il nostro cuore, che si realizzava nel giorno della nostra prima comunione. E con quale fierezza, la domenica successiva, ci presentavamo davanti al sacerdote per ricevere la nostra seconda Eucaristia, come a voler dire a tutti: “adesso anche io sono parte di questo grande mistero”!
Quando poi si diventa grandi, talvolta, si viene a creare un terribile vuoto interiore nella nostra vita. Diventi più grande, inizi a responsabilizzarti, fai le prime scelte; studi, conosci e comprendi dal punto di vista sociale e umano,
Forse sono discorsi da bambini, ma se i bambini sono coloro che sono capaci di mostrarci lo stupore e la gioia di appartenere a Cristo… allora vale la penna ritornare ad essere un po’ bambini!!!
Michelangelo Nasca da Pastorale&Spiritualità
martedì 20 luglio 2010
Un futuro da progettare, costruire: una scvelta di vita
venerdì 16 luglio 2010
Il volontariato internazionale cristiano: un fenomeno dinamico
giovedì 15 luglio 2010
Rimanere nell’Amore: scelta di vita
Chiamati all’amore, innestati nello scambio di amore delle Persone della Trinità santa, veniamo alla luce appartenenti già a Dio, già scelti da Lui, già acquistati a caro prezzo, già amati, profondamente amati!
“Rimanete!”. Verbo che torna più volte nel Vangelo di Giovanni ed in particolar modo nella similitudine della vite (Gv 15, 1-8), dove forma il cuore del messaggio che ci è dato.
Proviamo, per un attimo a girare questo prisma, proviamo, attraverso la lente dell’Amore da cui siamo amati, a leggere e comprendere quello che sta al cuore delle Parole di Gesù.
Innanzitutto, facciamo un passo indietro. Lasciamo dietro le spalle il nostro orgoglio e mettiamoci in ascolto del Padre che ci ama e del Figlio, nostro Fratello, che ci tiene per mano. Riascoltiamo in questo atteggiamento interiore le Parole che scuotono il nostro orgoglio: “Rimanete in me, perché senza di me non potete far nulla!”. Ecco: Dio Padre conosce il mondo nel quale viviamo e il male che vi serpeggia. Conosce le battaglie che ingaggiamo ogni giorno in famiglia, in comunità, nel lavoro, nella nostra vita relazionale, nella nostra stessa carne. Egli sa di che cosa siamo plasmati, conosce le nostre impotenze e le nostre fragilità, comprende i nostri limiti. Scrive a riguardo san Giovanni nella sua prima Lettera: “Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1 Gv 3,20). Proprio per questo ci dice: “Rimanete in Me!”.
In una breve escursione in montagna, quando il sentiero da largo e piano diventa stretto e ripido, la mamma, ben conoscendo le fragili gambine del proprio figlioletto, lo esorta a non allontanarsi da lei, ad afferrare la sua mano ed a tenerla ben stretta, per arrivare incolumi alla meta. Ed insieme vanno, tra richiami e rimproveri, con la certezza che quella è la strategia giusta per camminare sicuri. Nessuno pensa che quella mamma voglia umiliare il proprio bimbo, o che voglia con la sua forza soffocarlo, impedendogli in tal modo di crescere. C’è, al contrario tanta tenerezza, tanto amore nel cuore di quella mamma! Dio, in Cristo Gesù, si comporta esattamente così con noi! Perché allora rifiutare di essere aiutati, restando non solo accanto a Lui, ma restando in Lui?
Mettiamo la nostra mano in quella di Gesù, nostro Fratello, e lasciamoci condurre da Lui.
Ma cosa significa in concreto rimanere in Lui? Semplicemente questo: far sì che Gesù diventi lo spazio vitale della nostra esistenza, del nostro agire, del nostro vivere.
Questo spazio, offertoci gratuitamente, è lo spazio dell’Amore da cui siamo amati. In altri termini Gesù vuol dirci: lasciatevi amare.
Questo è il punto cruciale. Il nostro egocentrismo vuole essere padrone di tutto, anche dell’amore. Vuole gestire tutto ciò che riguarda la vita. Proprio per questo vuole più amare che essere amato!
Nell’amare c’è sempre la nostra soggettività e quindi la gioia o meglio la soddisfazione che “io” gestisco l’amore come a me piace. Nell’essere amati, invece si è passivi: si accoglie ciò che ci viene donato, si è recettivi. Solo dopo aver accolto l’Amore si può veramente amare: difatti l’amore del Signore, in cui rimaniamo, ci insegna ad amare in spirito e verità e soprattutto nella libertà del cuore e della mente.
Un approccio ai salmi: preghiera del popolo ebreo
martedì 13 luglio 2010
L'avaro e Dio
- Che cosa sono per te 1000 anni?
E Dio rispose:
- Ma, poco piu' di un secondo.
- E che cosa sono per te 100.000.000 di lire?
E Dio:
- Ma, forse un centesimo.
E allora - disse l'avaro
- cosa ti costa darmi un centesimo?
Cercare nuovi modi di essere Chiesa nei momenti di crisi?
lunedì 12 luglio 2010
Gesù ci ha offerto il volto di Dio amante della vita e della felicità dell’uomo
venerdì 9 luglio 2010
Noi ci impegniamo senza pretendere...
Impegno per chi crede nell’amore |
Ci impegniamo noi, e non gli altri;
unicamente noi, e non gli altri;
né chi sta in alto, né chi sta in basso;
né chi crede, né chi non crede.
Ci impegniamo,
senza pretendere che gli altri si impegnino,
con noi o per conto loro,
con noi o in altro modo.
Ci impegniamo
senza giudicare chi non s’impegna,
senza accusare chi non s’impegna,
senza condannare chi non s’impegna,
senza cercare perché non s’impegna.
Il mondo si muove se noi ci muoviamo,
si muta se noi mutiamo,
si fa nuovo se qualcuno si fa nuova creatura.
La primavera incomincia con il primo fiore,
la notte con la prima stella,
il fiume con la prima goccia d’acqua
l’amore col primo pegno.
Ci impegniamo
perché noi crediamo nell’amore,
la sola certezza che non teme confronti,
la sola che basta
a impegnarci perpetuamente.
Io, tu, noi e la parrocchia
La tua parrocchia
Collabora, prega e soffri per la tua parrocchia, perché devi
considerarla come una madre a cui
chiedi a Dio che sia casa di famiglia fraterna e accogliente, casa
aperta a tutti e al servizio di tutti. Da' il tuo contributo di
azione perché questo si realizzi in pienezza. Collabora, prega, soffri
perché la tua parrocchia sia vera comunità di fede: rispetta i preti
della tua parrocchia anche se avessero mille difetti: sono i delegati
di Cristo per te. Guardali con l'occhio della fede, non accentuare
i loro difetti, non giudicare con troppa facilità le loro miserie
perché Dio perdoni a te le tue miserie. Prenditi carico dei loro
bisogni, prega ogni giorno per loro.
Collabora, prega, soffri perché la tua parrocchia sia una vera comunità
eucaristica, che l'Eucaristia sia 'radice viva del suo
edificarsi', non una radice secca, senza vita. Partecipa
all'Eucaristia, possibilmente nella tua parrocchia, con tutte le
tue forze. Godi e sottolinea con tutti tutte le cose belle della tua
parrocchia. Non macchiarti mai la lingua accanendoti contro
l'inerzia della tua parrocchia: invece rimboccati le maniche per
fare tutto quello che ti viene richiesto. Ricordati: i pettegolezzi,
le ambizioni, la voglia di primeggiare, le rivalità sono parassiti
della vita parrocchiale: detestali, combattili, non tollerarli mai!
La legge fondamentale del servizio è l'umiltà: non imporre le tue
idee, non avere ambizioni, servi nell'umiltà. E accetta anche di
essere messo da parte, se il bene di tutti, ad un certo momento, lo
richiede. Solo, non incrociare le braccia, buttati invece nel lavoro
più antipatico e più schivato da tutti, e non ti salti in mente di
fondare un partito di opposizione!
Se il tuo parroco è possessivo e non lascia fare, non farne un dramma:
la parrocchia non va a fondo per questo. Ci sono sempre settori dove
qualunque parroco ti lascia piena libertà di azione: la preghiera, i
poveri, i malati, le persone sole ed emarginate. Basterebbe fossero
vivi questi settori e la parrocchia diventerebbe viva. La preghiera,
poi, nessuno te la condiziona e te la può togliere.
Ricordati bene che, con l'umiltà e la carità, si può dire qualunque
verità in parrocchia. Spesso è l'arroganza e la presunzione che
ferma ogni passo ed alza i muri. La mancanza di pazienza, qualche
volta, crea il rigetto delle migliori iniziative.
Quando le cose non vanno, prova a puntare il dito contro te stesso,
invece che contro il parroco o contro i tuoi preti o contro le
situazioni. Hai le tue responsabilità, hai i tuoi precisi doveri: se
hai il coraggio di un'autocritica, severa e schietta, forse avrai
una luce maggiore sui limiti degli altri.
Se la tua parrocchia fa pietà la colpa è anche tua: basta un pugno di
gente volenterosa a fare una rivoluzione, basta un gruppo di gente
decisa a tutto a dare un volto nuovo ad una parrocchia. E prega
incessantemente per la santità dei tuoi preti: sono i preti santi la
ricchezza più straordinaria delle nostre parrocchie, sono i preti
santi la salvezza dei nostri giovani.
Paolo VI, riportato da NetCrim.org
venerdì 2 luglio 2010
Fede è accoglienza di Dio, che per primo ci cerca e si dona
Fede è credere nonostante lo scandalo, offrire segni positivi
La possibilità della fede
“Aumenta la nostra fede!” A questa richiesta degli Apostoli - voce di tutti coloro che sono alla ricerca di Dio con umiltà e desiderio - Gesù risponde così: “Se avrete fede pari a un granellino di senapa, direte a questo monte: ‘spostati da qui a là’, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile” (Matteo 17,20). Credere non è anzitutto assentire a una dimostrazione chiara o a un progetto privo di incognite: non si crede a qualcosa che si possa possedere e gestire a propria sicurezza e piacimento. Credere è fidarsi di qualcuno, assentire alla chiamata dello straniero che invita, rimettere la propria vita nelle mani di un altro, perché sia lui a esserne l’unico, vero Signore.
Crede chi si lascia far prigioniero dell’invisibile Dio, chi accetta di essere posseduto da lui nell’ascolto obbediente e nella docilità del più profondo di sé. Fede è resa, consegna, abbandono, accoglienza di Dio, che per primo ci cerca e si dona; non possesso, garanzia o sicurezza umane. Credere, allora, non è evitare lo scandalo, fuggire il rischio, avanzare nella serena luminosità del giorno: si crede non nonostante lo scandalo e il rischio, ma proprio sfidati da essi e in essi. “Credere significa stare sull’orlo dell’abisso oscuro, e udire una voce che grida: gèttati, ti prenderò fra le mie braccia!” (Søren Kierkegaard).
Eppure, credere non è un atto irragionevole. È anzi proprio sull’orlo di quell’abisso che le domande inquietanti impegnano il ragionamento: se invece di braccia accoglienti ci fossero soltanto rocce laceranti? E se oltre il buio ci fosse ancora nient’altro che il buio? Credere è sopportare il peso di queste domande: non pretendere segni, ma offrire segni d’amore all’invisibile amante che chiama.