martedì 30 luglio 2013

I giovani della GMG, Non chiamateli papaboys,ma CREDENTI!





Non chiamateli papaboys Ve lo chiedo per favore, chiamate i ragazzi della Giornata mondiale della Gioventù con il loro nome: credenti!







Bisognerebbe raccontare la fatica che una Gmg è per i giovani. Il disagio delle lunghe camminate, lo sforzo del dormire per terra nei sacchi a pelo, le levatacce.



Dalla prima Gmg, 1986, sono pas-sati esattamente 27 anni. I trentenni di allora stanno preparando lo zai-netto ai figli in partenza. La Gmg è una staffetta. Ogni generazione por-ta al Papa quello che è in quel mo- mento, e il Papa riesce ogni volta a trovare la sintonia giusta, usando le parole sempre nuove del Vangelo. I giornali invece utilizzano senza so-sta la stessa piatta espressione: pa-paboys. Come se questi ragazzi fos-sero fanatici del Pontefice, disposti a seguire lui e basta. Penso sia dram-matico che a tanti adulti manchi la percezione del bisogno di Dio e vor-rei spiegare loro che i ragazzi non sono seguaci del Papa: sono sempli-cemente giovani credenti. I giovani credenti esistono ed è un tentativo bieco quello di non parlarne mai du-rante l’anno, e quando è impossibi-le tacere, perché i numeri delle Gmg ce li mettono davanti, trasformarli in seguaci del Papa.


Cos’è davvero Bisognerebbe raccontare la fatica che una Gmg è per i giovani. Il disagio delle lunghe camminate, lo sforzo del dormire per terra nei sacchi a pelo, le levatacce. Se la prima sera si tira fino a tardi e nessuno ha vo-glia di dormire, dalla seconda not-te si crolla come pietre, consumati dall’impegno intellettuale, spirituale e fisico. La fatica cammina a brac-cetto con la gioia, però: la scoper-ta di sé con la soddisfazione di fare qualcosa che non si esaurisce lì e in quel momento. Credo che della Gmg si riescano a cogliere alcune cose ma altre no. 



Si coglie la festa, la pulizia del cuore di questi ragazzi, l’anticipo di pace nel mondo. Si coglie la provocazio-ne (perché così viene letta) di giova-ni in preghiera, in fila per confessar-si e in silenzio nell’adorazione. Ma non si coglie la profondità del loro bisogno spirituale. 


Non si colgono le scelte di vita che maturano duran-te quei giorni. Non si coglie la vita ecclesiale che si nasconde dietro un appuntamento del genere: dove c’è una parrocchia che accompagna, un vescovo che accoglie e il Papa che in-nanzitutto sa ascoltare e poi infon-dere il coraggio giusto per ripartire. 



Dopo quasi trent’anni ci possiamo ancora sorprendere del successo di queste giornate? Spesso quello stupore nasconde un brutto pensiero: la fede è un fatto episodico…

                                                                                              Rosario Carello
                                                                                              A Sua Immagine

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