Di retorica ne facciamo
tanta.
Quante volte, nei nostri
discorsi sui bambini, non siamo andati pure noi alla ricerca delle frasi a
effetto sicuro?
A fine di bene, è chiaro. Per
stupire la gente e per commuoverla. Come si fa, del resto, a non tirar fuori
Giovenale con la sua massima reverenza che si deve al fanciullo? E a chi lo
lasciamo il Talmud, il quale r afferma che il mondo si mantiene per il fiato
dei bambini? E se si vuol davvero far presa sull’uditorio, come si fa a non
citare il verso di Tagore: “Ogni bimbo che viene al mondo porta il lieto
annunzio che Dio non si è ancora stancato degli uomini?”E non vi sembra
splendido concludere un bel discorso scomodando Ibsen, il quale assicura che
darebbe tutte le sue poesie in cambio della preghiera di un bambino?
Scommetto che ogni catechista
ha un suo repertorio segreto.
Che il Talmud sia una raccolta ebraica di commenti biblici
non gli importa gran che. Che Tagore sia un poeta indiano e Ibsen un
drammaturgo norvegese lo lascia indifferente. Di Giovenale forse sa solo che fu
un antico poeta romano, visto che la sua frase “ maxima debetur puero
reverentia” la citano in lingua latina anche coloro che non masticano il latino.
Ma intanto la sua figura il catechista la fa. E con questi
florilegi eleganti si prepara antipasto, contorno e dessert, insieme al piatto
costituito dalle parole del Signore: “Lasciate che i bambini vengano a me”.
Non mi va, comunque, di sorridere sulla ingenuità di questo
procedimento. Non solo perché dovrei cominciare a sorridere di me stesso, che a
questi espedienti letterari sono aduso. Ma anche perché ( messo fra parentesi
quel piccolo tasso di amor proprio che è in me si sprigiona quando ci si
esibisce con i panni altrui) mi sembra che, tutto sommato, in questo approccio
traspaia un profondo rispetto per il bambino.
Desidero solo sottolineare che occorre evitare la tentazione
di portarla per le lunghe ricorrendo ai prodotti, sia pure di lusso,
confezionati dagli altri. Non si può perdere tempo con le frasi fatte, quando
ogni discorso sui bambini diventa già eccezionale se si dice subito che ad essi
bisogna accostarsi con fede.
Con fede, Non solo con rispetto.
Perché dire con rispetto significa riconoscere che il
bambino è fragile. Dire con fede significa riconoscere che il bambino è pieno
di Dio.
Capite che si invertono le prospettive.
Avvicinarsi a lui con timore e tremore, preoccupati di non
frantumarne la delicatezza o di non appannarne la trasparenza, significa
rimanere ai margini di un umanesimo estetico. Che è sempre una cosa splendida.
In questo caso però, il massimo del rispetto verso il bambino consisterà nel
non usargli violenza con l’introdurre nel suo vergine mondo le schegge erranti
della nostra cattiveria di adulti.
Ma avvicinarsi a lui con timore e tremore, consapevoli che
la grazia del battesimo ne ha fatto una creatura nuova, significa adoperarsi
per portare a maturo sviluppo l’incredibile realtà che lo Spirito Santo ha già
messo dentro di lui. Noi non gli regaliamo niente. In questo caso, il minimo
della fede consiste nel lasciarsi evangelizzare dai bambini.
Sicché mentre tocchiamo con ma no questo terreno di santità,
per portarlo a maturazione, un ciottolo, dico un ciottolo in mezzo a tante
ricchezze, ce lo possiamo sempre portare a casa senza ombra di furto: sia pure
come souvenir della nostra innocenza perduta o come profezia del nostro destino
futuro!
Lasciarsi evangelizzare dai bambini. Con la stessa fiducia
con cui nell’America Latina i vescovi dicono che bisogna lasciarsi
evangelizzare dai poveri.
C’è nel salmo 8 un versetto che ci fa intuire tutta la
fiducia che Dio ripone nella bocca dei bambini.
Nella loro bocca. Che parla riducendo al silenzio
l’arroganza dei riottosi. Non nelle loro orecchie soltanto, quasi fossero l’unico
veicolo che li mette in contatto con la gloria di Dio.
Con la bocca dei bambini e dei lattanti.
Affermo la tua potenza contro i tuoi avversari,
per ridurre al silenzio nemici e ribelli.
E’ una scelta paradossale del Signore che davanti ai
tribunali della storia vuol farsi difendere dai bambini, più che dagli avvocati
di grido?
O è un’indicazione di metodo perché gli adulti, in vena di
sacre chiacchiere, si mettano in ascolto dei messaggi fioriti sulla bocca dei
lattanti e ne riscoprano l’attitudine evangelizzatrice?
Lasciarsi evangelizzare dai bambini.
Beati voi, catechisti, che stando a contatto con loro potete
farlo più di me. E’ per questo che vi invidio. Accanto a loro, ultimi arrivati,
si percepisce meglio il senso ultimo delle cose. Oltre che il mistero di Dio, naturalmente.
Perché, forse no n lo sapete, ma è il fiato dei bambini che
sostiene il mondo. E’ una frase del Talmud.
Vi vedo sorridere…
Ah, già! Accidenti alla retorica.
Ma stavolta non potevo farne a meno.
don Tonino Bello in " Scrivo a voi", lettera di un vescovo ai catechisti, ed. dehoniane Bologna
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