Uno sguardo attento e buono lascia sempre un segno
La nostalgia di uno sguardo buono
di don TONINO LASCONI
All’invito di Gesù: “Vieni! Seguimi!” (Mt 19,21), il giovane se ne andò
triste, ritenendo le sue molte ricchezze, più importanti di ciò che Gesù poteva
offrire.
Gli evangelisti non parlano più di questo giovane, perciò non sappiamo che
fine abbia fatto. A me piace pensare che, dopo il rifiuto, abbia continuato a
seguire il Maestro, stando attento a non farsi vedere, per poi decidere, dopo
avere assistito alla sua passione e agli effetti della sua risurrezione, di
entrare tra i coraggiosi della prima comunità cristiana che mettevano i loro
beni a disposizione degli apostoli per distribuirli “a ciascuno secondo il suo
bisogno” (At 4,34-35).
Se fosse accaduto così, significherebbe che quell’invito di Gesù gli era
rimasto dentro e l’aveva aiutato pian piano ad arrivare a una valutazione
diversa tra ricchezza vera e apparente. Io credo sia andata così, perché quel
giovane se ne era andato via “triste”. Vuol dire che lo sguardo carico di
simpatia che Gesù aveva fissato su di lui (Mc 10,21) gli era rimasto dentro, e
al tempo opportuno aveva portato i suoi frutti.
E i nostri giovani che rispondono picche all’invito della Chiesa? Si può sperare che arrivino un giorno a valutare diversamente le ricchezze che attualmente non hanno il coraggio di lasciare? Perché questo accada è necessario che, dopo l’inevitabile allontanamento o allentamento della preadolescenza (11-14 anni) e dell’adolescenza (che oggi si prolunga fino ai 26-30 anni: laurea, un lavoro avviato, un “fidanzamento” impegnativo), sia rimasta la nostalgia di uno “sguardo buono e amico” da parte di chi ha loro proposto di seguire Gesù: la famiglia, la parrocchia. Naturalmente lo sguardo buono e amico più importante è quello della famiglia, perché è lì che si verifica l’imprinting. Di questo però parleremo la prossima volta.
Adesso ci domandiamo: che cosa può dare oggi la parrocchia ai bambini e ai
ragazzi, affinché in loro rimanga la nostalgia di uno sguardo buono da
ricercare e da ritrovare? Fino a cinquanta, sessanta anni fa, per la stragrande
maggioranza dei bambini e dei ragazzi italiani la parrocchia (o l’oratorio) era
l’unico luogo di aggregazione alternativo alla strada, con il campetto di calcio,
di basket, di pallavolo; il pingpong, il calciobalilla, il teatrino, il cinema
a passo sedici, il flipper e poi anche la televisione… Offerte che non avevano
un nesso diretto con la fede, ma che, se gestite da sacerdoti ed educatori
intelligenti, riuscivano a creare un ambiente amichevole e fraterno in grado di
far respirare i valori cristiani.
Oggi tutto questo i ragazzi lo trovano altrove con offerte “professionali”
con le quali le parrocchie non possono competere. L’unica esperienza che le
parrocchie offrono a bambini e ragazzi è il catechismo, che non si risolve più
in pochi mesi prima dei sacramenti, ma si prolunga per sei, sette, otto anni.
Se questa “offerta” è una sofferenza fastidiosa, se i ragazzi arrivano alla
Cresima con la sensazione di essersi liberati da una tortura, addio nostalgia.
Le parrocchie che non accettano di
rinnovare la catechesi e di trasformarla in un’esperienza di vita bella, e
insistono caparbiamente con il catechismo “lezione”, nell’illusione di poter
insegnare la fede, sono avvertite.
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