venerdì 17 febbraio 2017

La santità non è una questione personale...ma di tutta una Comunità.



La giustizia del discepolo è amore per Dio e per il prossimo

Domenica settima del T.O.-Anno A- 19 febbraio 2017



Gesù continua a pungolarci, quasi a divertirsi, a metterci sempre davanti i suoi paradossi che ci costringono a dover "scegliere", a chiederci di rinunciare per avere, di morire per vivere, di dare per ricevere. La prima lettura , in sintonia con le altre ci chiede di essere santi perché Lui il Signore è santo. L'apostolo Paolo
da una parte ci dice che tutto è nostro per poi ribadire che "...voi siete di Cristo e Cristo è di Dio"; e infine Matteo che dà forza e un senso a tutti quei "se", che pesano come macigni sul nostro modo di vivere rivoluzionando il concetto di prossimo. Dalle tre letture capiamo che Gesù ci vuole perfetti come il Padre nostro che è nei cieli. Quel “come” mi mette in crisi: non sa Gesù che siamo uomini deboli, fragili? No, non può volere questo, è uno stimolo nel percorso deò discepolo, vuole una rivoluzione che potremmo chiamare conversione giornaliera.


Dal libro del Levitico 19,1-2.17-18

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”.
Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore.



Il primo richiamo alla santità ci arriva dalla prima lettura, Dio ci parla per mezzo di Mosè: vuole fare sapere al suo Popolo che Lui è il Signore, e vuole che tutto il popolo, tutta la comunità siano santi e detta anche le condizioni.
Cerco di immaginare cosa ne pensava allora il popolo eletto: forse che Lui è perfetto perché è Dio; provi Lui a venire qui e vivere come un uomo spogliandosi delle sue prerogative divine...e poi ne parliamo.

Noi che abbiamo conosciuto il suo Inviato forse la pensiamo diversamente, che sì è duro, difficile, che noi siamo coscienti di non essere perfetti, ma, più o meno consapevolmente, sappiamo di appartenere, non per merito, né per nascita, al Corpo di Cristo, a colui che ci ha salvati e amati da sempre, ci ricorderà l'apostolo Paolo.

Gesù ci chiede "fantasia" relazionale, non regole ingessate per rispondere come a un prontuario di fronte ai casi della vita...perché è in quel "come" che ci si gioca la nostra capacità di rispondere a quella persona che forse siamo convinti di conoscere da una vita.
In poche parole, Gesù ci chiede un salto di "qualità" della nostra vita cristiana, che però è strettamente e coerentemente legata alla vita sociale, lavorativa che svolgiamo quotidianamente.

E quandanche riuscissimo a vivere una vita di santità umana, dobbiamo ricordarci che essa non sarebbe la risultanza dello sforzo del singolo, ma di tutta una Comunità, nelle figure dei genitori, dei catechisti, dei sacerdoti, di tutti coloro che formano una comunità vuoi familiare, parrocchiale, sociale. Ognuno per la sua parte, collabora perché io, tu come singoli, vivessimo una santità quotidiana, quale espressione tangibile dell'amore e della misericordia di Dio.

La santità non è una questione personale...ma di tutta una Comunità.



Dalla prima lettera ai Cor 3,16-23

Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.
Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia. E ancora: Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani.
Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.




Leggendo questo brano mi sembra di sentire Paolo parlare con forza, con energia rivolgendosi ai “perfetti” di Corinto: non è un rimprovero, enuncia una verità teologica alla comunità : Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” Santo è Dio, santo è il suo tempio cioè la comunità a cui si rivolge.In forza della loro fede ormai i Corinti (e con loro tutti i credenti) sono diventati tempio di Dio, presenza di Lui, grazie allo Spirito Santo che abita in loro.
Paolo ricorda che questo edificio di cui sta parlando è la Chiesa, per cui anche la comunità di Corinto (voi siete tempio di Dio). C'è una responsabilità, quella di custodire lo Spirito che abita nella comunità, mantenere salda la casa.
E tornando alle discussione delle domeniche precedenti ricorda che il tempio di Dio si può distruggere anche attraverso le divisioni all'interno della comunità.
Dopo aver dato le indicazioni teologiche Paolo passa alle esortazioni rivolte ai fedeli individualmente. Facendo leva sull'ambizione dei Corinti di essere sapienti, li esorta a dimostrare una vera sapienza, quella che viene da Dio, ma che agli occhi del mondo si presenta come una stoltezza. La sapienza di Dio è aderire alla croce di Cristo, alla fede e al suo approfondimento. L'Apostolo non intende svalutare o disprezzare gli sforzi e le capacità della ragione umana; egli mette in guardia dai deliri di onnipotenza e dalle pretese insensate di chi è convinto che tutto possa essere ridotto al razionale e che si possa fare a meno della luce di Dio. Paolo termina con l'esortazione a non confidare nella sapienza umana. Grazie alla fede in Gesù Cristo tutto è a portata del credente, anche le cose più nascoste che l'uomo cerca di conoscere e conquistare con la propria ragione.

Dal vangelo secondo Matteo 5, 38-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «38Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. 39Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, 40e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. 42Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
43Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. 44Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»



Siamo alla fine del capitolo quinto: Gesù parla di vendetta, perdono, amore. L'evangelista Matteo, come abbiamo visto, non vuole indicarci delle leggi precise da mutare, quanto piuttosto un modo diverso di leggere la Scrittura e di scoprire la volontà di Dio, un modo diverso di intendere la morale, basata sull'amore. Gesù si contrappone agli scribi come i profeti che l'hanno preceduto che si sforzavano di recuperare il centro della volontà di Dio. Gesù recupera le leggi di Mosè dando il primato alla carità, e al perdono. L'unico modo per interrompere il ciclo diabolico offesa-violenza è il perdono.
Se alla violenza si reagisce con un'altra violenza, non solo non viene eliminata la prima ingiustizia, ma se ne aggiunge un'altra. Questo circolo può essere spezzato solo con un gesto originale, assolutamente nuovo: il perdono. Tutto il resto è vecchio, è qualcosa di già visto, di ripetuto senza sosta fin dagli inizi dell'umanità.
Tutto deve essere letto alla luce di questo nuovo cambiamento, e tutto deve essere valutato in base ad esso. In questo senso l’affermazione più importante la troviamo al v. 48: “Siate perfetti come il Padre vostro celeste”. Non è una perfezione qualsiasi, ma la perfezione della carità e del perdono: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori”. Ecco una prima ragione per cui si può chiamare “superiore” la giustizia del discepolo: la giustizia del discepolo avvicina alla santità che Dio ci chiede.
Gesù invita a mostrarsi suoi figli, chiede ai discepoli di lasciar trasparire nei loro comportamenti l'indole del Padre celeste: «egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti». La distinzione fra malvagi e buoni e la lotta contro gli uomini, portata avanti in nome di Dio, sono bestemmie!
Il credente è tenuto ad amare in modo disinteressato, senza calcoli opportunstici, come faceva il popolo ebreo chiuso in se stesso, il saluto va rivolto a chiunque e non solo agli amici.
I rapporti interpersonali dei discepoli devono essere improntati ad un nuovo stile di vita, in modo da esprimere l'avvento del Regno, inauguaato con la venuta e il ministero di Gesù.
La religiosità che Gesù esige dai suoi discepoli si distingue dal giuridismo faisaico perché consiste esenzialmente nell'imitazione della perfezione di Dio, manifestata dalla sua bontà sconfinata, persino verso i peccatori che lo rifiutano






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