Natale con don
tonino bello
Gli uomini moriranno
per la paura
e per l’attesa di ciò
che dovrà accadere sulla terra?
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Potrebbe sembrare a prima vista che il Vangelo faccia
da cassa di risonanza per le nostre paure.
Per cui ci vien quasi la voglia di dire:
«Basta, Signore!
Adesso ti ci metti anche tu.
Perché mai aumenti la nostra angoscia parlandoci di
stelle che precipitano,
di soli che si spengono,
di lune che non danno più luce?
Perché mai amplifichi i nostri incubi collettivi,
quando dici testualmente che gli uomini moriranno per
la paura
e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra?
(cfr. Lc 21,25-26).
Gli uomini moriranno per la paura!
Come se già non bastassero le nostre paure. Ma ne
abbiamo già tante, per conto nostro! Oh, no! Non la paura del buio, del lampo,
del tuono, dei terremoti, delle tempeste.
Lo sappiamo, oggi le paure hanno traslocato.
Si sono trasferite dalla fascia cosmica, per così
dire, alla fascia antropologica.
Non si articolano più attorno al cuore della natura:
si articolano attorno al cuore dell’uomo.
Oggi, cioè, non si ha più paura della carestia
provocata dall’avarizia della terra, ma della carestia prodotta dall’avarizia
dell’uomo.
È dal cuore umano
che nasce e si sviluppa
la nube tossica
delle paure contemporanee.
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Paura dell’AIDS. Paura della droga. Paura di Cernobil.
Paura dell’Enichem. Paura del grano radioattivo. Paura delle scorie tossiche.
Paura dello squilibrio dell’ecosistema. Paura delle manipolazioni genetiche.
Paura del proprio simile. Paura del vicino di casa. Paura di chi mette in crisi
le nostre polizze di assicurazione. Di chi mette in discussione, cioè, i nostri
consolidati sistemi di tranquillità, se non di egemonia. Paura dello zingaro.
Paura dell’altro. Paura del diverso. Paura dei Marocchini. Paura dei
Terzomondiali.
Paura di questi protagonisti delle invasioni moderne,
che se non chiamiamo barbariche è soltanto perché ci viene il sospetto che
questo aggettivo debba spettare a noi cosiddetti popoli civili, che, dopo
duemila anni di cristianesimo, siamo ancora veramente incapaci di accoglienze
evangeliche.
Paura di uscire di casa. Paura della violenza. Paura
del terrorismo. Paura della guerra. Paura dell’olocausto nucleare. Paura di
questa apocalisse a rate che ci viene somministrata dalla produzione crescente
delle armi e dal loro squallido commercio, clandestino e palese.
Paura di non farcela.
Paura di non essere accettati.
Paura di non essere più capaci di uscire da certi
pantani nei quali ci siamo infognati. Paura che sia inutile impegnarsi.
Paura che, tanto, il mondo non possiamo cambiarlo.
Paura che ormai i giochi siano fatti.
Paura di non trovare lavoro.
Quante paure!
Paura? Frustrazione? Disperazione? |
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Ebbene, di fronte a questo quadro così allucinante di
paure umane, che cosa ci dice oggi il Signore? Intinge anche Lui il pennello
nei barattoli neri dello scoraggiamento per aiutarci a dipingere questa nuova,
tragica tela di Guernica?
Certamente no. Non è così.
Anzi il Vangelo di oggi è proprio il Vangelo
dell’antipaura. Sì, perché il Signore rivolge a ciascuno di noi la stessa
esortazione che l’angelo rivolge alla Vergine dell’Avvento e dell’attesa:
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“Non temere , Maria”
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Paura ha la stessa radice di pavimento. Viene dal
latino pavére; significa: battere il terreno per livellarlo. Anche
terrore ha la stessa radice di terra.
Paura, quindi, è la conseguenza dell’essere battuto,
appiattito, livellato, calpestato..
Ora, che cosa dice il Signore di fronte a queste
paure? Rimani lì steso sul pavimento? Rimani appiattito, atterrato? No! Mi dice
la stessa cosa che ha detto a Maria: “Non temere!”
E adopera due verbi bellissimi:
Alzatevi e Levate il capo.
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Alza gli occhi al cielosolo li troveraiqualcosa più grandedi te. |
Sono i due verbi dell’antipaura. Sono i due verbi dell’Avvento. Sono le due luci che ci devono
accompagnare nel cammino che porta al Natale.
Alzati
significa credere che il Signore è
venuto sulla terra duemila anni fa, proprio per aiutarci a vincere la
rassegnazione.
Alzarsi significa riconoscere che se le nostre braccia
si sono fatte troppo corte per abbracciare tutta intera la speranza del mondo,
il Signore ci presta le sue.
Alzarsi significa abbandonare il pavimento della cattiveria,
della violenza, dell’ambiguità, perché il peccato invecchia la terra.
Alzarsi significa, insomma, allargare lo spessore
della propria fede.
Ma alzarsi significa anche allargare lo spessore della
speranza, puntando lo sguardo verso il futuro, da dove Egli un giorno verrà
nella gloria per portare a compimento la sua opera di salvezza.
E allora non ci sarà più pianto, né lutto, e tutte le
lacrime saranno asciugate sul volto degli uomini.
Levare il capo significa
fare un colpo di testa. Reagire, muoversi. Essere convinti che il Signore viene
ogni giorno, ogni momento nel qui e nell’ora della storia, viene come ospite
velato. E, qui, saperlo riconoscere: nei poveri, negli umili, nei sofferenti.
Significa in definitiva: allargare lo spessore della
carità. Ecco il senso di questo Avvento di solidarietà, ben espresso
dall’augurio fortissimo che san Paolo ci ha formulato:
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«Il Signore vi
faccia crescere nell’amore
vicendevole e
verso tutti»
(1 Ts 3,12).
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Verso tutti. Magnifico il lavoro di tanti gruppi e
associazioni che si mettono accanto ai malati cronici, agli handicappati, agli
anziani, ai malati terminali, ai dimessi dal carcere e dai manicomi per condividere
tempo, gioie e speranze.
Verso tutti. Splendido ciò che fanno tante comunità
cristiane a favore dei Terzomondiali, non soltanto dando loro un letto e la
buona notte, ma incalzando soprattutto le pubbliche istituzioni perché i
provvedimenti di legge siano meno disumani delle norme vigenti.
Verso tutti. Incredibile quel che stanno facendo tanti
movimenti di volontariato per promuovere una maggiore giustizia sulla terra,
per combattere quelle che il Papa ha chiamato coraggiosamente le strutture di
peccato, per aiutare i popoli che soffrono la fame nell’Eritrea e nel Sudan, per
difendere i diritti umani dei Palestinesi, per coscientizzare la gente sui
discriminati dalle leggi di segregazione razziale nel Sudafrica, per diffondere
una nuova coscienza di pace, per smilitarizzare non solo le coscienze, ma anche
i territori.
Coraggio. Alzatevi e levate il capo. Muovetevi. Fate
qualcosa, il mondo cambierà. Anzi, sta già
cambiando. Non li vedete i segni dei tempi? Gli alberi
mettono già le prime foglie. E sul nostro
cielo il rosso di sera non si è ancora scolorito.
Vissuto così, l’Avvento non sarà il contenitore delle
nostre paure, ma l’ostensorio delle nostre speranze.
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