sabato 14 gennaio 2017

E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio»


« Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra».
15 febbraio 2017 – ANNO A - 2da Domenica T.O.
Giovanni il Battezzatore, che ha accompagnato la nostra attesa del Messia durante l’Avvento e che domenica scorsa abbiamo incontrato al battesimo di Gesù, oggi si manifesta quale "testimone di Gesù ,Agnello, Servo di Dio e Figlio di Dio.
Il profeta Isaia parla ancora del Servo di Dio, rivolgendosi a Israele sul quale Dio ha manifestato la sua gloria.Sappiamo che il Servo del brano, in realtà, è il Figlio di Dio
L'apostolo Paolo, ormai nel pieno del suo apostolato augura alla Chiesa di Corinto “grazia e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!”
Possiamo affermare che la liturgia di oggi, seconda domenica del Tempo ordinario, ci invita ancora una volta a riflettere sul mistero del Messia. Isaia annuncia protezione al Servo di Dio, luce delle nazioni. L'apostolo Paolo augura grazia e pace alla chiesa di Corinto, mentre l'evangelista Giovanni presenta la testimonianza di Giovanni Battista: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo». E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio”.
Le profezie di Isaia trovano conferma nella testimonianza di Giovanni Battista e di Giovanni apostolo. L'apostolo Paolo è la voce della vita nella fede dei primi cristiani, “coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù”: a questi augura grazia e pace.
Dal libro del profeta Isaia Is 49,3,5-6

Il Signore mi ha detto:
«Mio servo tu sei, Israele,
sul quale manifesterò la mia gloria».
Ora ha parlato il Signore,
che mi ha plasmato suo servo dal seno materno
per ricondurre a lui Giacobbe
e a lui riunire Israele
– poiché ero stato onorato dal Signore
e Dio era stato la mia forza –
e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo
per restaurare le tribù di Giacobbe
e ricondurre i superstiti d’Israele.
Io ti renderò luce delle nazioni,
perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della terra».
 
In questo periodo di gioia e di feste forse non abbiamo pensato molto alle difficoltà dell'annuncio del Regno di Dio. Abbiamo visto e parlato di luce e ci ritorniamo ancora oggi per sottolineare che esistono anche le tenebre, spesso nascoste, da superare con tanta speranza, fede e amore. Le tenebre dividono, nascondono, non amano la luce; le tenebre non vogliono conoscere la luce. Israele è stato un servitore infedele, non ha riconosciuto Gesù, luce delle nazioni.
È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe ...”, ci dice Isaia, non basta uno spiraglio di luce quando un grido si leva dall'oscurità, dal deserto delle nostre esistenze: "Dio, Dio, dove sei...? o peggio negare la sua esistenza.
Ricordiamo il grido di Gesù nella sua desolazione durante la passione: “Padre, perché mi hai abbandonato?”
I vers. 5 e 6, ci assicurano che, malgrado questo fallimento apparente, Gesù vedrà il frutto del travaglio dell'anima sua.
Il «servo del Signore» è stato plasmato da lui fin «dal seno materno» ; Dio gli ha affidato una missione nei confronti di Israele e verso le genti. Tale missione comporta fatica, sofferenza, morie, ma Dio non lo ha abbandonato come sembra ad uno sguardo superficiale, ma è con lui proprio nel momento della sofferenza, mentre il successo è sì promesso, ma differito ad altro tempo.
La luce non mancò a Gesù, reso luce delle nazioni dal Padre al posto del popolo eletto infedele, porterà la salvezza fino alle estremità della terra: Gesù è la Luce, che dà vita e fa crescere, dona pace. Soltanto Gesù ci dà sicurezza e salvezza.
Il profeta l'aveva preannunciato: Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra”.
Dalla prima lettera ai Corinzi : 1Cor 1,1-3
Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!
Ai cristiani di Corinto Paolo augura anzitutto, come in tutte le sue lettere, “grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (v. 3).
Augurare la pace, che nell'orizzonte biblico è un bene grande comprensivo di tutti gli altri beni donati da Dio, è un modo tipico di salutare ebraico che si e mantenuto dai tempi biblici fino ad oggi. Gesù risorto appare ai suoi augurando loro la pace.
Grazia è il favore di Dio assolutamente libero da ogni condizionamento, favore strettamente legato alla sua misericordia.
Mediante questo adattamento e la fusione di due diversi modi di salutare, Paolo esprime la pienezza dei doni messianici, che consistono nella grazia di Dio e nella pace personale e universale. Egli invoca questi doni anzitutto da parte di Dio Padre, e poi dal Signore Gesù Cristo per la Chiesa di Corinto e oggi a noi, uomini e donne del ventunesimo secolo: Dio è la fonte di ogni grazia che dispensa mediante il suo Figlio Gesù.
Dal vangeleo secondo Gv 1,29-34
Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: «Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me». Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: «Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo». E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».
Questo brano è stato preso dal vangelo dell'apostolo ed evangelista Giovanni. Per capire meglio il significato di quanto riportato conviene leggere tutto il brano, capitolo 1,19-34. Il giorno prima Giovanni aveva incontrato alcuni sacerdoti e leviti inviati dai Giudei e dai farisei per interrogarlo.
I due Giovanni testimoniano e riconoscono il Cristo annunciato dai profeti: l'agnello, il servo di Jahvè, l'agnello condotto al macello, la pecora muta di fronte ai suoi tosatori, la vittima dell'espiazione che si fa carico del peccato del mondo per vincere il male del mondo.
L'uomo può combattere e vincere il male che è nel mondo solo in parte, ma per vincere il male che è del mondo ci vuole una potenza superiore. Lo aveva annunciato Isaia: “È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele” riferendosi al popolo ebreo. Ci vuole un intervento divino che rompendo le tenebre riempie il mondo di Luce: è stato possibile al Padre.
Io ti renderò luce delle nazioni,
perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della terra».
 

In realtà Gesù non "toglie" il peccato, ma lo assume su di sé, accetta di entrare nel progetto di redenzione per tutti, ma proprio tutti.
La testimonianza del Battista si conclude con la proclamazione di Gesù «Figlio di
Dio». Tale riconoscimento non è frutto di conoscenza umana, ma è conseguenza del
dono dello Spirito. Infatti Giovanni dichiara di non aver conosciuto la persona di Gesù nella profondità del suo mistero di Figlio di Dio, se non dopo aver vistolo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui”.

Se imparassimo a leggere il Primo Testamento alla luce del Nuovo saremmo colti anche noi, come il Battista, dall'emozione per un Dio che ama talmente l'essere umano da assumerne su di sé il peccato, per togliere il velo, svelare la violenza, le tenebre che ci avvolgono.
Saremmo capaci come il Battista, con l'aiuto dello Spirito Santo di additare Lui, il Cristo e la sua Liberazione al popolo di Israele, a tutte le nazioni, saremmo come l'apostolo prediletto da Gesù testimone di Giovanni e delle Scritture antiche.

Noi Chiesa, la Chiesa dei due Giovanni, del Battezzatore e dell'Evangelista, dobbiamo additare il Cristo come necessità della nostra anima. Non additare noi stessi, la nostra cultura, i segni esteriori ed effimeri del nostro potere, non la preoccupazione per la difesa delle forme storicamente acquisite dell'istituzione... ma additare Lui, il Cristo, che ci ha rivelato l'amore tenero e infinito del Padre, nell'ascolto dello Spirito come Giovanni:
«Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: «Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me». Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Noi dobbiamo essere Chiesa di salvezza che addita il Cristo agli uomini e alle donne con la propia testimonianza e la presenza in noi dello Spirito Santo.

Enzo Bianchi così descrive in un commento “l'agnello di Dio”:
Nella letteratura giovannea “agnello di Dio” è un titolo relativo a Gesù, che nell’innocenza di chi non ha peccato, nella mitezza di chi non ha mai commesso violenza, prende su di sé e quindi toglie da noi il peso del nostro cattivo operare, l’ingiustizia di cui tutti siamo responsabili. Questa la liberazione radicale che ci ha portato Gesù, l’Agnello della Pasqua unica e definitiva, l’Agnello che ci riconcilia con Dio per sempre.

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