sabato 28 maggio 2011
Intervista ad un volontario della CISV, organismo di volontariato
Dal notiziario della CISV riportiamo questa intervista testimonianza
A tu per tu con Andrea Ghione, volontario CISV, intervista
Tra i primi passi abbiamo messo al centro lo sviluppo agricolo.
Andrea, tu sei da quasi 10 anni in Africa e da 5 in Burkina Faso: è mal d'Africa o
pensi che sia meglio non tornare in Italia per il momento?
No, nessun mal d’Africa. Il mio lavoro mi appassiona, questo è in fondo il motivo per cui
lo faccio; oggi è l’Africa, domani potrebbe essere un altro continente dove la mia esperienza
possa essere messa al servizio dei più deboli. Ci sono tante cose che mi legano all’Africa, sicuramente. Fondamentale è l’interesse per la cultura africana, nato grazie al mio professore Enrico Luzzati e che ho poi coltivato negli anni lavorando in 7 paesi (Sénégal, Mali, Burkina, Niger, Benin, Burundi, Etiopia).
La cultura Africana è più vicina all’essere umano e alla natura che lo circonda rispetto alla cultura Occidentale, questo è per me un fattore di attrazione importantissimo.
Mia moglie è africana, le mie figlie sono africane, quindi anche io mi sento un po’ parte
di questo continente. La mia esperienza lavorativa in Africa non è conclusa.
Abbiamo iniziato, con tanti colleghi della CISV e con i partners, a costruire una strategia di sviluppo che ora vedo crescere, alla quale voglio contribuire nei prossimi anni. Anche questo è un
fattore motivazionale che mi tiene ancorato al continente. Ma un giorno mi piacerebbe
cambiare zona, rimettermi alla prova... spero succederà. Tornare in Italia è comunque una
possibilità che non posso scartare. Non sono più da solo, ho una famiglia, due bimbe
piccole, non so dove mi porterà il futuro perché non dipende solo da me. Devo ammettere
però che l’Italia di oggi mi piace di meno di quella di 10 anni fa. Vedo un paese che
soffre dei mali della crisi economica, del precariato e della disoccupazione; una popolazione
spesso disinformata su come il mondo sta cambiando; una classe politica che non
affronta i problemi reali e preferisce distogliere l’attenzione dei cittadini verso temi come
l’immigrazione, la cronaca nera o il gossip.
Invece il mondo cambia a un ritmo spaventoso e a mio avviso per i paesi che non affrontano
questo cambiamento, che non si adattano in modo virtuoso, si preparano tempi duri.
Per fortuna però in Italia ci sono anche tante persone dinamiche, con voglia di fare, aperte
al mondo... e per fortuna ci sono gli immigrati che portano idee nuove! Spero che questa
fase di declino economico e morale si chiuda al più presto, e credo questo avverrà proprio
quando i giovani di oggi e gli immigrati riusciranno a dare un contributo politico oltre che economico al paese.
In molti paesi Africani tira un vento di rivolta che per certi aspetti fa sperare in un desiderio di democrazia dal basso (cosa ben diversa dalla "esportazione" della stessa tramite guerre pianificate dai paesi occidentali) e che però fa anche intravedere rischi per infiltrazioni terroristiche e azioni destabilizzanti da parte dei gruppi integralisti: come vedi la situazione in Burkina e più in generale in Africa occidentale?
Le rivoluzioni in corso nei paesi arabi segnano a mio avviso un nuovo spartiacque nella
storia contemporanea. A manifestare sono giovani, istruiti, con accesso ai mezzi di informazione,
disoccupati e stanchi della corruzione e dell’autoritarismo dei loro governi.
Sono gente come noi, che però scende in piazza per cambiare le cose. Non bruciano le
bandiere degli USA o di Israele, non si rifanno alla cultura islamica integralista o fondamentalista.
Anzi, queste rivoluzioni segnano la fine di questa cultura oltre che degli autocrati che l’hanno usata come alibi per opprimere e rubare al proprio popolo. Rappresentano anche l’inizio della fine della contrapposizione tra occidente e terrorismo islamico, che è stata una manna per le lobbies delle armi dei paesi occidentali. Rappresentano la fine dell’idea che Islam e democrazia non siano compatibili. Si chiude così finalmente
un’epoca sbagliata, in cui l’errore intellettuale (mi riferisco alle idee contenute in testi come
“The Clash of Civilizations” di Samuel Huntington) e la disonestà politica si sono rafforzati
l’un l’altra. Anche io non credo sia possibile esportare la democrazia con le armi. Ci vogliono, in effetti, secoli di partecipazione politica e lotte per costruirla. Ma penso che la comunità internazionale abbia un dovere morale di sostegno ai movimenti come quelli arabi attuali che reclamano diritti contro i dittatori di un tempo.
Questi popoli hanno ora bisogno di sostegno per costruire le loro democrazie.
Penso alla Tunisia, all’Egitto, alla Libia dove le istituzioni democratiche sono da
inventare. La comunità internazionale può giocare un ruolo attivo anche nei casi di violazioni
massive dei diritti umani. Abbiamo visto cosa successe in Rwanda in assenza di tale intervento. Recentemente la comunità internazionale ha giocato un ruolo importante nella prevenzione di una crisi potenzialmente pericolosissima in Costa d’Avorio.
Io credo che non si possa restare indifferenti di fronte a rischi simili perché l’umanità è una sola.
Sarebbe però a mio avviso un errore pensare che le rivoluzioni arabe si estenderanno
velocemente all’Africa Subsahariana. Le condizioni socio-economiche sono molto diverse.
In Africa Subsahariana la maggior parte della popolazione (fino all’80% nei paesi saheliani)
vive nelle zone rurali, è analfabeta, non ha accesso ai servizi di base come acqua, salute, educazione... vive dunque un’esistenza segnata dalla precarietà oltre che dalla povertà. L’élite politica sfrutta questa precarietà per costruire un sistema.
Oggi partners e finanziatori apprezzano la nostra azione sul clientelismo diffuso, dove i cittadini
chiedono favori invece che reclamare giustizia e diritti. Prima che i poveri di questi paesi riescano ad organizzarsi per far cambiare le cose passeranno ancora anni a mio avviso.
Anche se il processo potrebbe essere iniziato proprio in questi anni... più precisamente
nel 2008 con l’aumento dei prezzi dei beni alimentari. Quel che voglio dire è che ora
i paesi africani non possono più contare sull’importazione di derrate alimentari a basso
costo (come hanno fatto per quasi 50 anni) e sono costretti ad investire nelle campagne
affinché queste nutrano le città. Questo può cambiare tutto: fino ad ora le popolazioni
rurali sono state escluse dal progetto politico nazionale, i contadini hanno prodotto per esportare
cotone, arachidi, cacao, caffè... tutte filiere controllate dagli Stati e dalle multinazionali,
e hanno vissuto per il resto in un regime agricolo di semisussistenza; ora che sono chiamate a nutrire le città, a produrre per esse, potrebbero finalmente essere incluse nel progetto di società di questi paesi e contribuire anche a modellarlo.
Ma ci vorrà tempo. Per ora quel che vediamo tutti i giorni sono paesi dalle istituzioni fragili, con sistemi politici clientelari, economie molto deboli e povertà diffusa, specialmente nelle campagne.
L’instabilità che paesi come il Niger, la Guinea Conakry, la Costa d’Avorio, il Burkina Faso, hanno vissuto in questi ultimi anni è a mio avviso dovuta più a questi fattori, combinati con eventi esterni (come la scoperta di risorse naturali, il cambio generazionale di leadership o la crisi economica), che al risveglio della società civile, come nei paesi arabi.
Relativamente al lavoro sul terreno, dal tuo punto di osservazione qualificato, vista la preponderanza del Burkina nell'attuale scenario di attività della CISV, pensi che l'organismo stia perseguendo coerentemente i suoi obiettivi di auto sviluppo partecipato e centrato sulla persona? Ci sono aspetti sui quali si potrebbe fare un ulteriore passo in avanti?
La CISV cerca di rafforzare le organizzazioni della società civile affinché offrano servizi economici
alle famiglie povere (ad esempio attraverso le cooperative agricole o di risparmio e credito nelle zone rurali) e facciano lobbying per migliorare le politiche a livello nazionale (ad esempio attraverso i movimenti contadini nazionali). Tutto ciò nella speranza di creare le condizioni di una maggior partecipazione e di uno sviluppo dal basso.
Questo mi sembra coerente con gli ideali di centralità della persona e con i bisogni di miglioramento economico e di partecipazione politica delle famiglie povere, specialmente nelle zone rurali.
C’è poi anche una questione culturale alla quale si cerca di dare una risposta: lo sviluppo economico e l’idea di comunità. Sono compatibili?
Io credo di sì, credo non ci sia un unico modello di sviluppo economico e l’appoggio alle cooperative comunitarie (le cooperative che oltre a fornire servizi economici ai soci reinvestono parte degli utili in servizi sociali alla comunità locale) può essere la risposta giusta nel contesto africano dove i legami sociali e la comunità sono ancora molto forti. Il professor Enrico Luzzati dedicò la sua vita a studiare queste questioni e un’intera generazione di cooperanti formati da lui stanno ora cercando di implementare questa idea... io sono uno di quelli e come me altri lavorano o collaborano con la CISV.
Naturalmente l’impegno sul terreno può sempre migliorare... negli ultimi 10 anni la CISV ha fatto passi importanti, è migliorata dal punto di vista strategico, tecnico e ha equipes locali che sono oggi molto più competenti, e altrettanto motivate. La nostra azione è apprezzata dai partners e dai finanziatori perché stiamo mostrando loro di saper dare un appoggio tecnico vero, di saper stare sul terreno, di poter creare reti di attori (ad esempio tra organizzazioni della società civile, università o enti locali Africani e Italiani.).
Infine le scelte strategiche, come l’appoggio allo sviluppo agricolo, fatte quando non erano
affatto di moda, si stanno rivelando vincenti: l’appoggio allo sviluppo agricolo è incoraggiato
con nuovo vigore dai finanziatori e dai paesi africani. Ricordo quando nel 2008 partecipai ad un incontro in Sénégal con i dirigenti dell’organizzazione contadina Asescaw e l’allora coordinatore della CISV nel paese, Andrea Bessone. Il vicepresidente dell’Asescaw a un certo punto disse una cosa che mi colpì: “Dopo anni di fatica, questo è il nostro momento”.
Aveva ragione! I finanziatori oggi cercano istituzioni locali e partners europei in grado di portare avanti azioni di sviluppo agricolo. Questo fa sì che, anche se l’idea dell’appoggio all’agricoltura familiare e all’impresa cooperativa non sia quella privilegiata dai donatori, la CISV e i propri partners riescano a farla passare. Sicuramente saremo chiamati a migliorare nei prossimi anni e per varie ragioni.
In primo luogo lo sviluppo agricolo ora pare a molti una buona idea quindi anche gli investitori privati e le multinazionali proveranno a lanciarsi nel settore. Dovremo imparare a lavorare con i nostri partners ad un livello più politico per evitare fenomeni come il land grabbing o l’orientamento delle politiche agricole nazionali verso l’agrobusiness.
In secondo luogo la concorrenza tra ONG si fa sempre più pressante per via del rarefarsi dei fondi. Infine è giusto che la sfida dello sviluppo sia affrontata con rigore professionale oltre che con passione.
Intervista a cura di Paolo Martella
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