lunedì 4 agosto 2014

Matrimonio vincolo giuridico o vincolo indissolubile per volontà divina?



Seconda Puntata: Dalla dottrina risalire alla fede secondo la mente del Concilio



Prima di parlare di sacramenti ai divorziati o separati...

Eccoci alla seconda puntata di Divorzio e partecipazione ai sacramenti: in questa punta ci porremo tre domande che riguardano la dottrina sul matrimonio, la nostra fede cosa crede , e quale cambiamento si vorrebbe. Ricordo che non si tratta di volere abolire ma di trovare nuove vie che vadano incontro a molte situazioni che oggi sembrano assurde, situazioni, ci si domanda, se sono veramente corrispondenti ad un  vero criterio biblico, teologico, ovvero sono state travisate non per malizia ma semplicemente figlie della mentalità di altri tempi. In questo senso dovranno decidersi i vescovi e il Papa nel prossimo sinodo, considerando le nuove aspirazioni dell’uomo di oggi. Cosa non facile, ma incominciamo a farci qualche domanda per capirne qualcosa di più, se non per essere protagonisti ma almeno persone informate. I sottotitoli sono miei, il resto di Raniero La Valle.


Non concedere di risposarsi è mancanza di misericordia?
Io credo che una Chiesa che voglia tornare a far risuonare sulle nozze di oggi la parola e “il profumo” del Vangelo, dovrebbe rinunciare a inventarsi degli stratagemmi, a conciliare dottrine che sono in contrasto; né dovrebbe essere così avara di misericordia da concedere ai fedeli nuove offerte di vita dentro procedure afflittive, penitenziali, colpevolizzanti, come quelle che chiedessero pentimento per il fallimento di un matrimonio del quale non si ha colpa o si è vittima, o proponessero un percorso di espiazione per l’ingresso in una nuova storia d’amore avvertita invece dai protagonisti come qualcosa di cui non pentirsi o addirittura percepita, come dice il cardinale Kasper, come “un dono dal cielo”.


L’indissolubilità del matrimonio si può cambiare?
Di conseguenza la Chiesa non dovrebbe avere paura di rimettersi in condizioni di povertà e di rinnovata disponibilità all’ascolto della Parola, di fronte alla propria stessa dottrina dell’indissolubilità matrimoniale quale si è andata strutturando e irrigidendo nei secoli fino alla estrema sacralizzazione della “Familiaris Consortio” di Giovanni Paolo II.



La via è quella indicata dal Concilio Vaticano II: c’è la dottrina, che non è la fede stessa, ma è il modo in cui la fede è enunciata nel tempo; e quello che oggi occorre è di capire ancor meglio la dottrina (“pervestigetur”, diceva Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio) ed enunciarne le verità “nei modi che i nostri tempi richiedono”; cioè interrogare il Vangelo, come se fosse scritto per gli uomini d’oggi.


IL Sinodo potrà modificare l’indissolubilità del matrimonio?

La “Familiaris Consortio” è stata brandita dal cardinale Caffarra sul “Foglio” di Giuliano Ferrara contro Kasper per invalidare le tesi da lui esposte ai cardinali, e per chiudere ogni discussione sul problema della comunione ai divorziati risposati; l’ “esortazione apostolica” wojtyliana sarebbe l’ultima e definitiva parola della Chiesa sull’indissolubilità matrimoniale.

Perfino discuterne al Sinodo, allora, sarebbe sbagliato, e il primo a sbagliare sarebbe papa Francesco, che l’ha voluto.

Ora, la lettura del testo di papa Wojtyla, se fatta non da ecclesiastici o da teologi accademici, ma da cristiani e anche da uomini e donne qualunque, è impressionante perché se uno va a vedere quali sono i valori umani, sociali, civili che sarebbero procurati o sarebbero meglio garantiti dal gran bene dell’indissolubilità assoluta, a parte un fuggevole cenno al “bene dei figli”, non ve ne trova alcuno.



Il matrimonio come realtà terrena, umana, storica, sociale, il matrimonio non come “una cosa pia, ma una cosa profana in tutto e per tutto che avete fatto e fate”, come lo definiva Dietrich Bonhoeffer in una “predica per nozze” scritta in punto di martirio nel carcere di Tegel, non esiste più nella visione del Papa polacco; esso è totalmente sacralizzato; la ragione per cui non si può rompere è perché deve rappresentare simbolicamente l’unione indissolubile di Cristo con la sua Chiesa e lo deve fare lasciando comunque sussistere il vincolo giuridico, anche contro ogni umana evidenza.



La cura delle situazioni difficili ( da "Le sfide pastorali sulla famiglia", dalla raccolta delle risposte di tutti i vescovi al questionario inviato a tutti l'anno scorso)

103. La carità pastorale spinge la Chiesa ad accompagnare le persone che hanno subito un fallimento matrimoniale e ad aiutarle a vivere la loro situazione con la grazia di Cristo. Una ferita più dolorosa si apre per le persone che si risposano entrando in uno stato di vita che non permette loro l’accesso alla comunione. Certamente, in questi casi, la Chiesa non deve assumere l’atteggiamento di giudice che condanna (cf. Papa Francesco, ma quello di una madre che sempre accoglie i suoi figli e cura le loro ferite in vista della guarigione Con grande misericordia, la Chiesa è chiamata a trovare forme di “compagnia” con cui sostenere questi suoi figli in un percorso di riconciliazione. Con comprensione e pazienza, è importante spiegare che il non poter accedere ai sacramenti non significa essere esclusi dalla vita cristiana e dal rapporto con Dio.



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