domenica 25 novembre 2012
Si avvicina il Natale: educhiamoci alla povertà - don Tonino Bello
Educare, educhiamoci alla povertà.
Si avvicina il Natale, la nascita di un Bimbo povero, che è rimasto povero in tutti i suoi trenta anni di vita.
Amò i poveri e si mise al loro servizio.
La sua povertà, il suo amore per i poveri fa parlare di Lui ancora oggi, dopo 2000 anni.
Non si faceva cercare nei tempi o nei palazzi: fu un uomo di strada e qui la gente lo trovava, lo seguiva, lo ascoltava. Non gli fu possibile viaggiare per tutto il mondo, ma le sue parole fecero , dopo la sua morte, il giro del mondo allora conosciuto: prestò molta attenzione ai suoi vicini, i poveri del suo paese...
Fermiamoci un attimo ad ascoltare questo brano di Don Tonino Bello, riflettiamo: quel Bimbo, Gesù, vuole che condividiamo con chi non ha, che facciamo a meno di qualcosa che ci costa:
"Chi vuol servire deve rinunciare al guardaroba. Chi desidera stare con gli ultimi, deve alleggerirsi dei "tir" delle sue stupide suppellettili. E' la gioia, che connota la rinuncia cristiana".
L'educazione alla povertà è un mestiere difficile.
Forse è proprio per questo che il Maestro ha voluto riservare ai poveri, ai veri poveri, la prima beatitudine."Proviamoci
martedì 20 novembre 2012
Occhio ai bambini, dedicato ai Catechisti/e
Di retorica ne facciamo
tanta.
Quante volte, nei nostri
discorsi sui bambini, non siamo andati pure noi alla ricerca delle frasi a
effetto sicuro?
A fine di bene, è chiaro. Per
stupire la gente e per commuoverla. Come si fa, del resto, a non tirar fuori
Giovenale con la sua massima reverenza che si deve al fanciullo? E a chi lo
lasciamo il Talmud, il quale r afferma che il mondo si mantiene per il fiato
dei bambini? E se si vuol davvero far presa sull’uditorio, come si fa a non
citare il verso di Tagore: “Ogni bimbo che viene al mondo porta il lieto
annunzio che Dio non si è ancora stancato degli uomini?”E non vi sembra
splendido concludere un bel discorso scomodando Ibsen, il quale assicura che
darebbe tutte le sue poesie in cambio della preghiera di un bambino?
Scommetto che ogni catechista
ha un suo repertorio segreto.
Che il Talmud sia una raccolta ebraica di commenti biblici
non gli importa gran che. Che Tagore sia un poeta indiano e Ibsen un
drammaturgo norvegese lo lascia indifferente. Di Giovenale forse sa solo che fu
un antico poeta romano, visto che la sua frase “ maxima debetur puero
reverentia” la citano in lingua latina anche coloro che non masticano il latino.
Ma intanto la sua figura il catechista la fa. E con questi
florilegi eleganti si prepara antipasto, contorno e dessert, insieme al piatto
costituito dalle parole del Signore: “Lasciate che i bambini vengano a me”.
Non mi va, comunque, di sorridere sulla ingenuità di questo
procedimento. Non solo perché dovrei cominciare a sorridere di me stesso, che a
questi espedienti letterari sono aduso. Ma anche perché ( messo fra parentesi
quel piccolo tasso di amor proprio che è in me si sprigiona quando ci si
esibisce con i panni altrui) mi sembra che, tutto sommato, in questo approccio
traspaia un profondo rispetto per il bambino.
Desidero solo sottolineare che occorre evitare la tentazione
di portarla per le lunghe ricorrendo ai prodotti, sia pure di lusso,
confezionati dagli altri. Non si può perdere tempo con le frasi fatte, quando
ogni discorso sui bambini diventa già eccezionale se si dice subito che ad essi
bisogna accostarsi con fede.
Con fede, Non solo con rispetto.
Perché dire con rispetto significa riconoscere che il
bambino è fragile. Dire con fede significa riconoscere che il bambino è pieno
di Dio.
Capite che si invertono le prospettive.
Avvicinarsi a lui con timore e tremore, preoccupati di non
frantumarne la delicatezza o di non appannarne la trasparenza, significa
rimanere ai margini di un umanesimo estetico. Che è sempre una cosa splendida.
In questo caso però, il massimo del rispetto verso il bambino consisterà nel
non usargli violenza con l’introdurre nel suo vergine mondo le schegge erranti
della nostra cattiveria di adulti.
Ma avvicinarsi a lui con timore e tremore, consapevoli che
la grazia del battesimo ne ha fatto una creatura nuova, significa adoperarsi
per portare a maturo sviluppo l’incredibile realtà che lo Spirito Santo ha già
messo dentro di lui. Noi non gli regaliamo niente. In questo caso, il minimo
della fede consiste nel lasciarsi evangelizzare dai bambini.
Sicché mentre tocchiamo con ma no questo terreno di santità,
per portarlo a maturazione, un ciottolo, dico un ciottolo in mezzo a tante
ricchezze, ce lo possiamo sempre portare a casa senza ombra di furto: sia pure
come souvenir della nostra innocenza perduta o come profezia del nostro destino
futuro!
Lasciarsi evangelizzare dai bambini. Con la stessa fiducia
con cui nell’America Latina i vescovi dicono che bisogna lasciarsi
evangelizzare dai poveri.
C’è nel salmo 8 un versetto che ci fa intuire tutta la
fiducia che Dio ripone nella bocca dei bambini.
Nella loro bocca. Che parla riducendo al silenzio
l’arroganza dei riottosi. Non nelle loro orecchie soltanto, quasi fossero l’unico
veicolo che li mette in contatto con la gloria di Dio.
Con la bocca dei bambini e dei lattanti.
Affermo la tua potenza contro i tuoi avversari,
per ridurre al silenzio nemici e ribelli.
E’ una scelta paradossale del Signore che davanti ai
tribunali della storia vuol farsi difendere dai bambini, più che dagli avvocati
di grido?
O è un’indicazione di metodo perché gli adulti, in vena di
sacre chiacchiere, si mettano in ascolto dei messaggi fioriti sulla bocca dei
lattanti e ne riscoprano l’attitudine evangelizzatrice?
Lasciarsi evangelizzare dai bambini.
Beati voi, catechisti, che stando a contatto con loro potete
farlo più di me. E’ per questo che vi invidio. Accanto a loro, ultimi arrivati,
si percepisce meglio il senso ultimo delle cose. Oltre che il mistero di Dio, naturalmente.
Perché, forse no n lo sapete, ma è il fiato dei bambini che
sostiene il mondo. E’ una frase del Talmud.
Vi vedo sorridere…
Ah, già! Accidenti alla retorica.
Ma stavolta non potevo farne a meno.
don Tonino Bello in " Scrivo a voi", lettera di un vescovo ai catechisti, ed. dehoniane Bologna
giovedì 15 novembre 2012
I " difetti" di Gesù, curiosità...
I “ DIFETTI " di GESU”.......
GESU' HA POCA MEMORIA
Sulla Croce durante la sua agonia il ladrone gli chiede di ricordarsi di lui quando sarebbe entrato nel suo regno. Se fossi stato io gli avrei risposto, "non ti dimenticherò, ma i tuoi crimini devono essere espiati, con almeno 20 anni di purgatorio", invece Gesù gli rispose "Oggi sarai con me in Paradiso".
Aveva dimenticato i peccati di quell'uomo. Lo stesso avviene con Maddalena e con il figliol prodigo. Gesù non ha memoria, perdona ogni persona, il suo amore è misericordioso».
GESU' NON CONOSCE LA MATEMATICA
Lo dimostra la parabola del Buon Pastore. Aveva cento pecore, una di loro si smarrì e senza indugi andò a cercarla lasciando le altre 99 nell'ovile. Per Gesù uno equivale a 99 e forse anche di più.
Una donna ha dieci dracme ne perde una quindi accende la lucerna per cercarla, quando la trova chiama le sue vicine e dice loro "Rallegratevi con me perché ho ritrovato la dracma che avevo perduto". E' davvero illogico disturbare le amiche solo per una dracma per di più spendendo, per far festa, ben di più di una dracma. In questo modo Gesù spiega che c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte.
GESU' E' UN AVVENTURIERO
Chiunque voglia raccogliere il consenso della gente si presenta con molte promesse, mentre Gesù promette a chi lo segue processi e persecuzioni, eppure da 2000 anni constatiamo che non si è esaurita la schiera di avventurieri che hanno seguito Gesù.
GESU' NON CONOSCE NE' FINANZA NE' ECONOMIA
Nella parabola degli operai della vigna, il padrone paga lo stesso stipendio a chi lavora al mattino e a chi inizia a lavorare il pomeriggio. Ha fatto male i conti? Ha commesso un errore? No, lo fa di proposito, perché Gesù non ci ama per i nostri meriti, il suo amore è gratuito e supera infinitamente i nostri meriti.
Il sesto difetto è che GESU E' AMICO DEI PUBBLICANI E DEI PECCATORI : come
vedete, frequenta cattive compagnie.
Il settimo è che AMA MANGIARE E BERE : lo accusano di essere un mangione e un beone.
Poi, ed è l'ottavo difetto, SEMBRA MATTO :
i parenti stessi, pensano di Lui così e davanti a Pilato gli mettono addosso una tunica bianca per dire che è matto.
Il soldato Romano gli dice : "tu hai salvato altri, se sei DIO scendi dalla Croce, salva te stesso" (Matteo 27:40,42).
Quel matto di Gesù non lo fa.
Il nono difetto è che GESU AMA I PICCOLI NUMERI.
Mentre la gente cerca la massa, la grande folla: va alla ricerca della Maddalena, della Samaritana, dell'adultera...la "carta magna" di Gesù__le beatitudini___appare come un fiasco : beati i poveri, gli oppressi, gli afflitti, i perseguitati, ecc (Luca 6:20).
Gesù ama tutto questo : chi lo segue deve essere matto come Lui!
ll decimo difetto è L'INSUCCESSO CONTINUO :
la sua vita è piena di insuccessi. Cacciato dal suo paese è sconfitto, perseguitato, rifiutato, condannato a morte...
Il difetto numero undici, GESU E' UN PROFESSORE CHE HA RIVELATO IL TEMA DELL'ESAME:
Se fosse un insegnante sarebbe licenziato subito!
Il tema dell'esame e il suo svolgimento è descritto a puntino da Lui : "verranno gli angeli, convocheranno i buoni alla destra , i cattivi alla sinistra, e tutti saremo giudicati sull'Amore" (Matteo 25:31 e seg.).
Sapendo questo, tutti potrebbero essere promossi.
Il dodicesimo difetto è che GESU è un Maestro che HA TROPPA FIDUCIA NEGLI ALTRI.
Chiama gli apostoli quasi tutti illetterati, ed essi lo rinnegheranno.
Nel tempo continuerà a chiamare gente come noi, peccatori.
La via di DIO passa per i limiti umani : chiama Abramo che non ha figli ed è vecchio, chiama Mosè che non sa parlare bene; chiama i dodici uomini mediocri e ignoranti, e uno di loro lo consegnerà alla morte; e per chiamare i pagani sceglie un violento persecutore, Saulo, e nella Chiesa continua a fare così.....Gesù è un temerario incorreggibile: perciò ha scelto me, ha scelto voi, noi tutti poveri peccatori.
Gesù non si corregge proprio.
Il tredicesimo difetto è la POVERTA' : di essa il mondo ha paura. Oggi si parla tanto di lotta alla povertà : Gesù esige dalla sua Chiesa e dai pastori, la povertà, qualcosa di cui tutti hanno paura.
Gesù ha vissuto senza casa, senza assicurazione, senza deposito, senza tomba, senza eredità umane, umanamente e materialmente senza alcuna sicurezza.
Questi difetti possono essere oggetto di una vera e propria via della Croce.
Nel mondo non c'è una strada col nome di Gesù:
C'è piazza Pio XII; via Garibaldi, corso tal dei tali, ma non c'è piazza Gesù di Nazaret.
La sua strada è questa via della Croce, carica dei suoi difetti , che siamo chiamati a fare nostri.
Riportato da Catechisti.it
martedì 13 novembre 2012
Nel tuo nome getterò le reti
Parola di vita Parola di vita ottobre 2012 http://www.youtube.com/watch?v=3sAu8a-63us
Facendo anche noi la scelta di Pietro: «Sulla tua 'parola'...». Aver fiducia nella sua Parola; non mettere il dubbio su ciò che Egli chiede. Anzi: basare il nostro comportamento, la nostra attività, la nostra vita sulla sua Parola.
Fonderemo così la nostra esistenza su ciò che vi è di più solido, sicuro, e contempleremo, nello stupore, che proprio là dove ogni risorsa umana viene meno, Egli interviene, e che là, dove è umanamente impossibile, nasce la vita.
sabato 10 novembre 2012
Gesù caro fratello - Claudio Baglioni
Anno della fede.
Guardarsi attorno nella nostra storia di oggi, nella storia degli altri
per incontrarsi, amare e fare comunione
Guardarsi attorno nella nostra storia di oggi, nella storia degli altri
per incontrarsi, amare e fare comunione
venerdì 9 novembre 2012
ANNO DELLA FEDE: TESTIMONIARE LA GIOIA
La pace e l'armonia di un incontro
Il mondo cerca la gioia.”
Al solo sentirla nominare, scrive sant’Agostino, tutti si drizzano e ti
guardano, per così dire, nelle mani, per vedere se mai tu sia in grado di dare
qualcosa al loro bisogno.
Tutti vogliamo essere
felici. E’ la cosa che accomuna tutti, buoni e cattivi. Chi è buono, è buono
per essere felice; chi è cattivo non sarebbe cattivo, se non sperasse di potere, con ciò, essere felice.
Se tutti amiamo la gioia è perché, in qualche modo misterioso, l’abbiamo
conosciuta; se infatti non l’avessimo conosciuta, se non fossimo fatti per
essa, non l’ameremmo.
Questa nostalgia della
gioia è il lato del cuore umano naturalmente aperto a ricevere il lieto
messaggio.”
Dobbiamo, perciò,
testimoniare la gioia. Quando il mondo bussa alle porte della Chiesa, perfino
quando lo fa con violenza e con ira, è
perché cerca la gioia.
I giovani soprattutto
cercano la gioia. Il mondo intorno a loro è triste. La tristezza, per così
dire, ci prende alla gola. Proprio nei momenti, nei quali si aspetta che “sia
moltiplicata la gioia”, come è il Natale, ci si ritrova, spesso, più delusi e
vuoti che mai, perché si cerca la gioia là dove non c’è.
Non è retorica: la
tristezza passeggia per le nostre strade, la si può quasi vedere scopertamente
in volto. Si aggira dentro le case. Sta contagiando perfino i nostri bambini, i
quali chiedono gioia e amore e si vedono dare, in cambio, cose da consumare e
giocattoli sempre più mostruosi da distruggere.
Basta stare, per un po’ di
tempo, tra i bambini dell’asilo di un villaggio africano, come è capitato a me
recentemente, per accorgersi della differenza. Lì basta veramente un nonnulla
per vedere brillare gli occhi di gioia e ricordarsi di un mondo di innocente
stupore che va scomparendo.
Questa della gioia è la
sfida che viene alla Chiesa dal di fuori. Leggiamo in Is 66,5: “ Hanno detto i
vostri fratelli che vi odiano, che vi respingono a causa del mio nome. Mostri
il Signore la sua gloria e voi fate vedere la vostra gioia”.
La stessa sfida è rivolta,
silenziosamente, al popolo di Dio, anche oggi. Una chiesa malinconica e
timorosa non sarebbe,perciò all’altezza del suo compito; non potrebbe
rispondere alle attese dell’umanità e soprattutto dei giovani.
La gioia è l’unico segno
che anche i non credenti sono in grado di recepire che può metterli in crisi.
Non tanto i ragionamenti e i rimproveri.
La testimonianza più bella
che una sposa possa dare al suo sposo è un volto che mostra la gioia, perché
esso dice, da solo che egli è stato capace di riempirle la vita, di renderla
felice…
San Paolo, rivolgendo ai cristiani di Filippi
quell’invito alla gioia che dà il tono a tutta la terza settimana d’avvento: “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto:
siate lieti. La vostra amabilità sia
nota a tutti gli uomini”…
…I cristiani testimoniano, perciò, la gioia quando
mettono in pratica queste disposizioni; quando, evitando ogni acredine e
inutile risentimento nel dialogo con il mondo e tra di loro, sanno irradiare
fiducia, imitando in tal modo Dio, che fa piovere la sua acqua anche sugli
ingiusti.
Chi è felice, in genere, non è amaro, non sente il
bisogno di puntualizzare tutto e sempre; sa relativizzare le cose, perché
conosce qualcosa che è troppo più grande, ama perché si sente amato…
Anche dentro la Chiesa, non solo verso quelli di fuori, c’è
bisogno vitale della testimonianza della gioia. San Paolo diceva di sé e degli
altri apostoli: “ Noi non intendiamo fare da padroni sulla vostra fede,ma siamo
i collaboratori della vostra gioia” (2Cor 1,24)…” perché la gioia Signore è la
vostra forza” (Ne 8,10).
Che splendida definizione del compito dei pastori
nella Chiesa! Collaboratori della gioia: coloro che infondono sicurezza alle
pecorelle del gregge di Cristo, i valorosi capitani che, con il solo loro
sguardo tranquillo, rincuorano i soldati impegnati nella lotta.
Romolo Taddei in
Cammini di relazione
mercoledì 7 novembre 2012
Gesù risorto: il segno dei segni per chi crede
Vogliamo un segno da Gesù?
Dal vangelo secondo Luca (Lc 11,29-32)
Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a
dire: «Questa generazione è
una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma
non le sarà dato alcun segno,
se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un
segno per quelli di Ninive,
così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa
generazione. Nel giorno del
giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli
uomini di questa generazione e li
condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della
terra per ascoltare la
sapienza di Salomone.
Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone.
Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Ninive si
alzeranno contro questa generazione e la
condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si
convertirono.
Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona.
Secondo Matteo ciò che accade in questo brano
( vedere 12, 22-42) si riferisce ad una disputa tra Gesù e i farisei che gli chiedevano
un segno, un segno credibile della sua persona. Poi ci sono anche secondo
Luca,come abbiamo appena letto folle che “si accalcavano” per vedere Gesù e
anche i suoi segni miracolosi.
Giona era un profeta
inviato da Dio agli abitanti di Ninive, uomini carichi di malizia e sordi al
richiamo di salvezza e alla giustizia. Durante il suo viaggio verso la città ha
paura e cerca di portarsi lontano dove Dio non potrà trovarlo…Si imbarca, si
paga il viaggio ma Dio suscita una tempesta…Giona viene buttato in mare a sua
richiesta, perché Dio calmasse la tempesta in mare e salvasse i marinai. Giona
finisce nel ventre di un grosso pesce ove rimane per tre giorni e tre notti…
Giona fu un segno per quelli di
Ninive che si convertirono…il suo Dio aveva fatto calmato le onde come
Giona aveva detto.
La regina del Sud: la Regina di Saba. Una
regina che un giorno si mise in viaggio, un viaggio lungo e faticoso verso
Gerusalemme per conoscere Salomone e la sua sapienza.
Le parole di Gesù, suscitate dalla domanda dei
farisei “Maestro, da te vogliamo vedere un segno”.
Non erano bastate le opere, le parole pronunciate da Gesù
che destavano meraviglie perché “nessuno aveva mai parlato come Lui”, farisei
increduli, folle sempre più assetate di prodigi: una “generazione malvagia” che
non vede, non sente o che non vuol vedere e non vuol sentire…Ma ne chiedono
ancora uno.
Un segno?
Gesù dà IL SEGNO
Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre della
balena, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della
terra.
Un segno sicuramente non
compreso dai presenti
E come Giona
si sacrificò per salvare i marinai ch’erano in pericolo a causa della tempesta,
così farà pure Gesù, il Cristo, l’Unto da Dio, il Messia, per la salvezza
eterna degli uomini .
E’ il segno dei segni, che sarà il riferimento principale,
il motivo per credere in Gesù, il Figlio di Dio: la Risurrezione, al terzo
giorno dopo la sua morte.
Ninive si convertì dai propri peccati e si salvò.
La regina di Saba, straniera, riconobbe la grandezza di
Salomone e la sua sapienza.
Gesù sembra non ottenere nulla, le sue parole sembrano
cadere nel nulla:
Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona.
Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone
Gesù! l’inviato di Dio, figlio di Dio. Non riconosciuto, non
accettato e infine rifiutato, messo a morte, ecco colui che è più grande di
Giona, colui che ha tribolato più della regina di Saba…
Non sappiamo se le ultime parole di Gesù furono accolte.
Sembrerebbe dal come sono andate le cose, di no. A costoro spetterà un giudizio
di condanna, a loro non è valsa la testimonianza di coloro che hanno creduto ai
segni dati lori da Dio.
Ma quelle parole furono pronunciate non solamente per quei
personaggi e per le folle presenti, ma a futura memoria per i secoli a venire.
La parola di Dio una volta pronunciata entra nell’eternità, è per sempre.
Cosa spinge i cristiani di oggi ad allontanarsi da Dio?
ad allontanarsi di proposito da Dio a causa della sua
parola, come Giona, una volta ascoltata ? le promesse di un mondo grandioso, la
fatica di una strada stretta, la paura di essere beffeggiati, o il timore di
non raggiungere lo scopo per cui Dio chiama?
Cosa spinge i ministri di oggi ad essere tiepidi
nell’evangelizzazione? Perché spesso sottovalutano
l’uomo e le sue aspirazioni e i motivi nel trascurare le cose di Dio?
Il tempo che vivremo quest’anno, ANNO DELLA FEDE, sarà un
tempo favorevole per la conversione, ci sarà una nuova Ninive?
O si aspetterà un nuovo segno clamoroso?
Non ci sarà nessun segno, il Segno lo abbiamo già nel
presente, per sempre: Gesù Risorto.
Non possiamo pretendere altri segni al di fuori di quello
datoci da Gesù.
Dirà Gesù: “Beati saranno quelli che pur non avendo
visto…crederanno”.
La fede ci è stata donata gratuitamente, a noi rispondere
con fiducia, come Maria all’annuncio dell’Angelo…
Il Card. Maria Maria Martin alla domanda “perché crede in
Dio? E come lo sente?” Risponde:
“Sentire Dio è la cosa più semplice e al tempo stesso più
importante della vita. Posso sentirlo nella natura, nelle stelle, nell’amore,
nella musica e nella letteratura, nella parola della Bibbia e in molti altri
modi ancora. E’ un’arte dell’attenzione che occorre apprendere come l’arte di
amare o di essere capaci nel lavoro”.
“ Senza la morte non
saremmo in grado di dedicarci completamente a Dio. Terremmo aperte delle uscite
di sicurezza, non sarebbe vera dedizione. Nella morte invece, siamo costretti a
riporre la nostra speranza in Dio e credere in lui. Nella morte spero di riuscire
a dire questo sì a Dio”.
Mi piace ricordare una frase della Santa di cui oggi si
celebra il suo ingresso nel Regno dei cieli, Santa Teresa d’Avila, una santa
innamoratissima di Dio che non vedeva
l’ora di raggiungerlo tanto grande era la sua fede nel Risorto: “ Yo muero
porque no muero!” Mi sento morire solo
per il fatto di non poter morire” per raggiungere il mio diletto.
La paura che spesso sentiamo di fronte alla morte è una cosa naturale, istintiva,
attaccamento alla vita. ma il pensiero dell’eternità in Dio non dovrebbe farci
gioire?...
E l’apostolo Pietro nella sua prima lettera: ci esorta ad
una speranza viva in Gesù risorto:
“ Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che
nella sua grande misericordia ci ha rigenerati mediante la risurrezione di Gesù
Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si
corrompe, non si macchia, non marcisce”.
lunedì 5 novembre 2012
Il Sabato di Dio
Dal Vangelo secondo Luca 13, 10-17 IL SABATO di DIO
Stava
insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna
che
uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun
modo
a stare diritta.
Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei
liberata
dalla
tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e
glorificava
Dio.
Ma
il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella
guarigione
di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si
deve
lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato».
Il
Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di
voi slega il
suo
bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi?
E
questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto
anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».
Quando
egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la
folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.
Gesù spesso il giorno di sabato si recava nella sinagoga per
insegnare, parlare con i dottori della legge, scribi farisei, sacerdoti e la
gente presente. A quanto pare non aveva perso l’abitudine, da quando già da
piccolo sapeva di dover fare gli interessi del Padre suo.
Non sto a commentare la disputa sulla liceità di lavorare il
sabato , perché fatto di recente..
Ma oggi è un giorno particolare perché una donna era entrata
nella sinagoga, posto riservato soltanto agli uomini. Una donna malata da
diciotto anni, curva e tanto curva che non riusciva a strare dritta.
Sicuramente i tanti
uomini presenti l’avevano notata, e non poteva sicuramente sfuggire al capo
della sinagoga che la lascia fare: facile capire perché: cosa avrebbe detto o
fatto Gesù al vedere quella donna malata?
..Gesù, mentre insegnava la vide, la chiamò a sé, disse:
La
vide, la chiamò, disse, tre verbi per indicare una sola azione, l’inizio di un
approccio, una relazione diretta. “Donna, sei liberata dalla tua malattia”.
Non
solo compassione, parole di conforto, ma potendolo fare dà quello che può far
felice quella donna: la guarigione. Impose
le mani, quella si raddrizzò e glorificava Dio.
La
felicità donatagli da Gesù accompagnata dal dono della fede, sfocia in un
ringraziamento e in una lode a Dio.
.Stessa
azione ripeterà Pietro dopo la Pentecoste con uno storpio… Gesù non aveva detto
ai suoi discepoli:
“In verità vi dico: chi crede in me,
anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà più grandi di queste”
Giov 14,12. Come per dire: con la vostra fede in me dovete dare il massimo che
potete, anche tutto voi stessi. Parole ancora oggi valide per chi crede in Lui,
per noi…
Ed
ecco che si fa avanti il capo della sinagoga per gridare allo scandalo, ma
questa volta non si rivolge direttamente a Gesù, come in altre occasioni simili
avevano fatto gli scribi e i farisei, ma fa il predicozzo alla gente presente
che aveva visto l’opera di Gesù.
Il
segno miracoloso di Gesù avrebbe dovuto farlo riflettere, ma il potere,
l’attaccamento alla lettera della legge lo rendono ipocrita, falso e debole di
spirito non ha avuto il coraggio di affrontare Gesù direttamente.
Le
parole del capo della sinagoga sanno di autorità, ma non sono parole dette con
autorità, da qualcuno che dà testimonianza: le folle quante volte si
meravigliano e si entusiasmano per Gesù perché capiscono che parla con
autorità?
Gesù
smaschera l’ipocrisia del capo della sinagoga e di quanti lo seguono… Induce
alla vergogna i suoi avversari che sicuramente non avevano il coraggio di
guardarlo in faccia. Gente che dava più importanza al proprio asino o al
proprio bue permettendo di accudirli anche di sabato per poi disprezzare chi
nello stesso giorno fa opere di bene a favore dei fratelli bisognosi.
“E
questa figlia di Abramo che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni,
non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?»…
Forse
era la prima volta che Gesù vedeva quella donna; il suo interesse per lei nasce
dalla conoscenza del male che portava dietro da tanti anni. Per Gesù che
leggeva nell’intimo delle persone fu facile capirla, chi invece, pur avendola vista sicuramente
tante volte, disdegnava di andarle incontro, la considerava una peccatrice,
indegna di essere avvicinata. Valeva meno di un asino o di un bue…
Quella
donna, guarita da Gesù, non aveva chiesto la guarigione, si era rifugiata nella
sinagoga forse soltanto per ascoltare Gesù di cui aveva sentito parlare: un
primo passo verso Gesù? Gesù premia questo primo passo andandole incontro,
rivolgendole la parola, interessandosi a lei, guarendola nel corpo e nello
spirito. Essa, così guarita, ha ora un motivo certo per glorificare Dio.
Mentre vediamo una
parte della gente presente che abbassa gli occhi dalla vergogna, che non prende
iniziative; e un’altra parte, “ la folla esulta per tutte le meraviglie da lui
compiute”.
Cosa ci dice Gesù oggi? Di fronte alla difficoltà
individuale di fare ciò che la fede vuole, facciamo un primo passo verso Gesù?
o aspettiamo che Lui ci venga incontro? Erroneamente spesso pensiamo che Dio sa
tutto e che ci viene incontro: non abbiamo pensato però che Lui è sempre pronto
a risponderci, che lui si fa trovare sempre.
“Stava insegnando
in una sinagoga in giorno di sabato”. Gesù la vide, la chiamò a sé e le
disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia».
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