sabato 25 novembre 2017

SOLENNITA' DI CRISTO RE - 26 NOVEMBRE 2017


Quel Signore che vediamo incatenato è il nostro Re! Ci sembrerebbe impossibile, ma il suo Regno non è di questo mondo...noi lo sappiamo, ma forse spesso ci dimentichiamo di Lui e, come Pilato inoscientemente diciamo “ Dunque tu sei re?”

Propongo questo commento di don Cristiano Mauri in modo che possiamo aprire la mente e il cuore come mai fatto al mistero di questa solennità. Scopriremo un Re che sta sempre dalla parte dei suoi sudditi: “Se i re del mondo mettono i sudditi tra sé e il nemico, Lui mette sé tra i suoi e i loro avversari”.

BUONA LETTURA !

Solennità di Cristo Re di don Cristiano Mauri


Non giriamoci attorno.
Questo Vangelo non ammette ricami e occorre andare subito al centro.
Al cuore del brano stanno un segno e una affermazione.


Pilato disse al Signore Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». (Gv 18, 33c-37)


Il segno sono servi che non combattono e un “re” che si consegna.

I re del mondo fanno degli altri ciò che vogliono, dispongono come meglio credono, esercitano liberamente il loro potere. Quando nel mondo un re si consegna smette di essere re.
La regalità di Cristo, invece, sembra che stia tutta nel consegnarsi. Che gli altri facciano di Lui ciò che vogliono, che siano liberi di accoglierlo o rigettarlo, che possano risparmiarlo o al contrario ucciderlo.
Per i re, nel mondo, ci si sacrifica, per la loro salvezza si è pronti a morire, per l’onore del loro nome non si esita a versare il sangue, proprio e altrui. Sono i sudditi a combattere per i re e questi non si fanno scrupolo di comandare che vadano incontro alla morte per loro. «Dio salvi il re», si grida nel mondo.

La regalità di Cristo, quando si afferma, non permette invece che alcuno muoia.

«Rimetti la spada nel fodero» dice a Pietro nell’Orto. «Se cercate me lasciate che questi se ne vadano» dice a chi era venuto ad arrestarlo.
Se i re del mondo mettono i sudditi tra sé e il nemico, Lui mette sé tra i suoi e i loro avversari. Non ha altra arma che il consegnarsi. Mettersi nelle mani dell’altro è la sua “prova di forza”.
Lui si sacrifica per la vita dei suoi sudditi e per quella dei Suoi nemici. pretende che il Suo sia l’unico sangue versato. Non combatte per sé e nemmeno vuole che alcuno lo faccia per Lui. Piuttosto è Lui a combattere perché i suoi siano salvi e anche i nemici escano incolumi. «Dio salvi tutti» si grida nel Suo regno.


L’affermazione traduce il segno: «Sono nato e venuto per testimoniare la verità».

Lui non regna. Testimonia. Non c’è alcuna guerra da fare, ma occhi da illuminare, orecchie da aprire, cuori da sciogliere. Ma il combattimento acceca di rabbia, assorda di violenza, raggela di dolore.
Ciò che devono vedere è la qualità di un amore.
Ci vuole la carne perché si veda l’amore. Ci vuole la carne di un Figlio perché si veda il volto del Padre che l’ha generato. «Chi vede me vede il Padre».
Non è più il tempo della menzogna, il principe del mondo – quello che regna nel mondo – è stato gettato fuori.

È tempo di far verità, è tempo che gli uomini sappiano l’amore del Padre e si riconoscano fratelli.

È l’ora che si abbandonino le logiche della forza, della prevaricazione e dello sfruttamento e inizi il tempo del servizio reciproco, del mutuo aiuto, della liberazione dalle schiavitù.
È tempo che si comprenda che Dio è il Padre della Vita, che non vuole che alcuno muoia, ma intende dare la vita e darla in abbondanza perché nessuno – nessuno, amico o nemico – vada perduto.
Perciò Lui si consegna. È nella Sua carne consegnata che testimonia la verità del Padre che dà la Vita: Lui il Figlio – che è la Vita – si mette nelle mani di chi segue le logiche della morte perché abbia la Vita.
Perciò i suoi non combattono: chi è dalla verità, chi vede il volto del Padre, chi nasce dall’amore di Dio, serve la Vita, mai la morte.


Lo stile di Gesù non lascia spazio al fraintendimento. È nella carne che si testimonia l’amore del Padre.

Una carne che ha i tratti di Colui che dà la Vita. Una carne che è disposta a farsi Vita per l’altro. Il vero martire – il “testimone” – non è tanto chi muore per difendere la fede. Ma chi ama la vita altrui e la difende, in nome del Padre della Vita, fino a consegnare la propria.
I cristiani in questo tempo di conflittualità a tutto campo – sociale, generazionale, politica, etnica, familiare, religiosa… – non hanno che un posto dove stare: in mezzo.
Non però a dettare regole con quello stile di giudizio che non fa che inasprire i conflitti; tantomeno ad avvalorare l’idea che l’unica via di salvezza è la morte del nemico; piuttosto a difendere la Vita di tutti – la qualità, la libertà, la pienezza… – costasse pure la loro.
Così si è nel mondo senza essere del mondo.
E quelli poi che non smettono di accendere scontri o addirittura incitano a imbracciare le armi per «difendere le nostre tradizioni cattoliche»? Nel Vangelo: non pervenuti.


domenica 19 novembre 2017

L'uomo politico e il Samaritano


Un giorno, Signore,
non credo che ci rimprovererai di essere stati troppo zelanti per l'uomo.
Noi sappiamo quale sarà il tuo rimprovero: Tu ci rimprovererai per essere stati troppo poco zelanti per l'uomo!




Poche volte in questi anni ho scritto qualcosa per i politici o che riguadasse loro.Confesso che seguo la politica come cittadino e come mio dovere. Non mi piacciono i politici ma non è detto che ne faccia di ogni erba un fascio: pochi sono quelli veri, amanti del popolo non attirati dal potere. Penso che tutti noi o quasi tutti, siamo stanchi dei nostri amici politicanti.
Pensando a loro in attesa del Natale in questo prossimo periodo di avvento ho ritenuto poporvi, carissimi amici, questo brano di don Tonino Bello, un commento della parabola del Samaritano dedicata proprio ai politici e anche a noi nel nostro piccolo mondo. Spero che almeno a qualcuno arrivi questa voce: aiutatemi a diffonderla!



L’icona del samaritano e l'uomo politico di don Tonino Bello



L’icona evangelica più limpida dell’uomo politico che snoda la sua vita tra i due riferimenti essenziali del cielo e della terra, è quella del buon Samaritano.
Egli scende da Gerusalemme, la città della contemplazione, del Tempio, del rapporto con l’Assoluto, e va verso Gerico città della prassi, della concretezza periferica, della cronaca: nera, per di più.
S’imbatte nel malcapitato viandante che i malfattori, dopo avere spogliato e percosso, hanno lasciato “mezzo morto’ sul ciglio della strada. E, a differenza del sacerdote e del levita che “passano oltre”, il Samaritano si ferma ,
“N’ebbe compassione” dice il vangelo di Luca.

Ecco l‘immagine dell’uomo politico “capace di misericordia”, che non disdegna di sporcarsi le mani, che non passa oltre per paura di contaminarsi, che non si prende i fatti suoi, che s’impiccia dei problemi altrui, che non si rifugia nei propri affari privati, che non tira dritto per raggiungere il focolare domestico o l’amore rassicurante della sposa o la mistica solennità della sinagoga.
N’ebbe compassione.

E subito San Luca aggiunge un verbo splendido: “Gli si fece vicino”.

Ecco il ruolo essenziale dell’uomo che esprime l’impegno politico-sociale sulla Gerusalemme etico della vita. Farsi vicino. Accostarsi al popolo. Condividere l’esperienza dolorosa della gente.
Un politico che disdegni la “prossimità” e si chiuda nell’alterigia aristocratica della sua funzione, non è degno di questo nome. Un uomo impegnato nel sociale, che si trinceri nei palazzi del potere o che si nasconda dietro le scrivanie delle procedure burocratìche, maschera semplicemente il suo egoismo e camuffa o la propria incapacità o l’assenza di misericordia o inconfessati istinti di dominio.


Il politico vero, come il buon Samaritano, ha misericordia del popolo e gli si fa vicino per restituirgli la “mezza vita’ che gli hanno tolta e non per aggiungergli la ‘mezza morte” che gli manca e stenderlo definitivamente.


Nell’azione politica del buon Samaritano possiamo distinguere tre interventi. L’intervento dell’ora giusta, quello dell’ora dopo, e quello dell’ora prima. I primi due sono stati messi in atto. Il terzo intervento, no.


Il samaritano dell’ora giusta

Mi spiego. L’intervento dell’ora giusta è quello praticato dal Samaritano che, fattosi vicino al poveruomo, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino. E’ il gesto del pronto soccorso, dell’assistenza immediata, delle cure ambulatoriali.
E’ una dimensione che il politico non può trascurare, magari sotto il pretesto che a lui non spetta fare assistenzialismo e che gli compete, invece, interessarsi solo dei massimi sistemi.


Quante volte, con questa scusa di comodo, si lasciano incancrenire i problemi, si rimanda la disinfezione delle ferite procurate dagli apparati strutturali, si tollera la degenerazione di tutti gli ictus inferti dal sistema, si rimandano i provvedimenti relativi ai diritti primari di ogni essere umano (quali la casa, la salute, il sostentamento, l’istruzione), e si permette che i miserabili dormano alla stazione, i poveri marciscano in catapecchie malsane, gli anziani vivano come rottami nello squallore dei cronicari, e caterve di ragazzi evasori della scuola dell’obbligo ingrossino la turba delinquenziale che minaccia come una nube tossica le nostre città.




Il samaritano dell’ora dopo
L’intervento dell’ora dopo è quello descritto da San Luca con una serie di verbi molto eloquenti: il Samaritano caricò il malcapitato sul suo giumento, lo portò a una locanda, si prese cura di lui; il giorno seguente (quindi passò la notte col ferito) diede due denari all’albergatore e lo pregò di farsi carico della situazione assicurandogli che tutte le spese gli sarebbero state rifuse al suo ritorno.

Non manca nulla a quello che potremmo chiamare “progetto globale di risanamento”.
Dall’impostazione della pratica alla verifica.
Dall’analisi iniziale al collaudo definitivo.


E’ su questo versante che si esprime la cosiddetta “volontà politica” del Samaritano, che non si contenta dell’aiuto improvvisato su due piedi e forse anche un po’ populista o, per lo meno, scenografico, ma va alla ricerca delle cure cliniche del caso, e toglie definitivamente quell’uomo dalla strada. Rimettendoci, per giunta: in tempo e in denari.


Questa è la vera carità politica, che analizza in profondità (scientificamente, diremmo oggi) le situazioni di malessere, apporta rimedi sostanziali sottratti alla fosforescenza del precariato, non fa delle sofferenze della gente l’occasione per gestire i bisogni a scopo strumentale di lucro o di potere, e paga di persona il prezzo salato di una solidarietà che diventa passione per l’uomo.


Che duri colpi vengono dalla “misericordia” del Samaritano sulla nostra mentalità clientelare, sulle architetture losche dei nostri tornaconti, sui vassallaggi dei nostri sistemi correntizi, sulle spartizioni oscene del denaro pubblico, sul fariseismo delle nostre intenzioni protese a fini reconditi di dominio!


Il samaritano dell’ora prima

C’è infine l’intervento dell’ora prima, non registrato dal Vangelo, ma che è lecito ipotizzare in questi termini:
se il Samaritano fosse giunto un’ora prima sulla strada, forse l’aggressione non sarebbe stata consumata.
Io penso che la “misericordia”, cioé la “compassione del cuore”, nel politico deve diventare anche “compassione del cervello”.
E allora è necessario che egli ami prevedendo i bisogni futuri, pronosticando le urgenze di domani, intuendo i venti in arrivo, giocando d’anticipo sulle emergenze collettive, utilizzando il tempo, che ordinariamente spreca nel riparare i danni, a trovare il sistema per prevenirli.


Di qui, la necessità inderogabile che l’impegno politico-sociale sia affidato a gente che non si estenua nel sottobosco degli intrallazzi, nel recinto delle manovre occulte, nel chiuso delle trame nere, nella malignità dei sorpassi clandestini, nelle esercitazioni delle stroncature demolitrici ai danni del prossimo. Di qui, l’assoluto bisogno che chi si assume l’impegno politico guardi lontano, al di là degli steccati stereotipatii, per. additare in termini planetari i focolai da cui partono le ingiustizie, le guerre, le oppressioni, le violazioni dei diritti umani.
Di qui, la capacità di discernimento e di conversione che deve caratterizzare l’uomo impegnato in politica.


Discernimento dei segni dei tempi; intuizione delle grandi utopie che irrompono nell’oggi e diventano già carne e sangue; percezione della pace e frutto della giustizia.
Conversione, che deve farvi ribaltare copernicanamente la visione egoista che avete del vostro mestiere. Fino a farvi diventare mistici, o artisti, o bambini, per dirla con Gioacchino da Fiore il quale affermava che il futuro sarà guidato da queste categorie di persone.


La speranza è in agguato

Coraggio, miei cari amici. Il Natale vi dia la percezione del compito straordinario che siete chiamati ad assolvere, quale che sia la vostra estrazione ideologica e culturale.“La politica, diceva La Pira, è l’attività religiosa più alta dopo quella dell’unione intima con Dio. Perchè è la guida dei popoli, una responsabilità immensa, un severissimo servizio”.Non scoraggiatevi. Anche se è buio intorno.

Non tiratevi indietro, anche se avete la percezione di camminare nelle tenebre.
Rostand cantava:
“C’est la nuit qu’il est beau d’anendre la lumière; il faut forcer laurore ° naitre en y croyant”.

E di notte che è meraviglioso attendere la luce. Bisogna forzare l’aurora a nascere, credendoci.
Amici, forzate l’aurora.

E’ l’unica violenza che vi è consentita.
don Tonino Bello

sabato 11 novembre 2017

Ricominciare da Dio passa dal riappropriarsi del Suo stile.

Ascoltiamo Dio che passa

Non lasciamo passare invano il periodo di avvento: aspettiamolo nell'ascolto della Parola che attende sempre una risposta da ognuno di noi, nel silenzio della preghiera.
I due temi trattati in precedenza VOGLIAMO RIPRENDERE I NOSTRI INCONTRI e ENTRIAMO NELLA LOGICA DELLA SEQUELA DI GESU' CRISTO hanno avuto lo scopo di rinfrescare la nostra disponibilità alla voce dello Spirito Santo e accettare la sequela di Gesù guardando ai poveri, ai poveri che soffrono pazientemente: parliamo dei poveri che sono vicini alla miseria materiale e ai poveri che sonnecchiano al richiamo di Dio.
Questa domenica propongo alcuni pensieri di don Mauri Cristiano, rettore presso Collegio arcivescovile Alessandro Volta, Como.
Leggiamo attentamente questi suoi pensieri, facciamoli nostri fino a sentire la presenza di Dio accanto a noi: un Dio che passa e che ascolta.



Un Dio che passa, che ascolta
È un Dio che passa.
Che ascolta il grido dell’uomo. Che fa della persona una priorità assoluta. Che è ricco di pietà.
Che include chi è ai margini. Che pazienta con chi è duro di cuore. Che non si spaventa delle lentezze degli uomini.
Che trasforma in risorsa ciò che pare ostacolo. Che non considera nulla e nessuno come oggetto di scarto. Che riempie il vuoto di chi ha chiede il vero cibo.
È un Dio che cerca la relazione. È un Dio in cammino.

«Sì o no?»


Il Vangelo annuncia il Dio che brucia dal desiderio di unirsi a noi e che non attende altro che il via libera della nostra volontà perché la comunione con Lui sia piena, così come la nostra gioia.
È il linguaggio della comunione, non della trattativa commerciale. Della passione, non della giurisprudenza. Della libertà, non della coercizione.
Si sceglie un’appartenenza. Si decide «chi sei».
Proprio per questo, il sì è sì, e il no e no. Il nostro, come il Suo.
In mezzo non sta la virtù, sta la mediocrità.

«Intelligenza e purezza»


Risuonano con sempre più frequenza linguaggi da battaglia anche sulle bocche di tanti credenti. Toni aggressivi, linguaggi violenti, espressioni di irrisione, parole di discriminazione, atteggiamenti di superiorità, discorsi minacciosi.
Va ribadito sempre e senza possibilità di mediazione che tutto ciò non trova posto in alcun modo nel Vangelo.

Ricominciare da Dio passa dal riappropriarsi del Suo stile.

Dio parla sempre

abbastanza forte per

un'anima che vuole

ascoltarlo

sabato 4 novembre 2017

“ entriamo nella logica della sequela di Gesù Cristo”.


Una chiesa che si fa ultima...

( appunti dal libro “Insieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi” di don Tonino Bello)




Che significa farsi ultima? Significa “ entrare nella logica della sequela di Gesù Cristo”. Mettersi in fila dietro di Lui e lasciarsi devastare dalla gioia di offrire un servizio alle retrovie.
Rallentare il passo per farlo accelerare da altri.
Accelerare la marcia per destare i sonnolenti. Incoraggiare chi si è fermato. Sollevare chi è caduto.
... Farsi ultimo significa stare in retrovia per mantenere i contatto con Lui, fare la spola per legare col resto della truppa, andare su e giù per non creare nello schieramento soluzioni di continuità...allora vuol dire che farsi ultimi significa lasciarsi prendere da un incontenibile bisogno di comunione...non per “smania” di evidenza...
...Parliamo chiaro: questa comunione non è molto forte nelle nostre Chiese. Siamo troppo divisi nelle scelte, nei progetti, nei metodi, forse anche nei traguardi.

All'interno del presbiterio non sempre corre buon sangue tra tutti. Tra presbiteri, religiosi e vescovo, mille riserve mortificano quella sinfonia di cui Parlava Ignazio di Antioquia.

Tra associazioni e parrocchie e gruppi di comunità e laici e preti serepeggiano reticenze, dissapori, rivalità..., le mormorazioni del popolo ebreo nel deserto.

Così, non facciamoci illusioni, l'annuncio del Regno ristagna. E a pagarne le conseguenze sono gli ultimi, disorientati da una Chiesa solo velleitaria, che, con metodologie contraddittorie e spesso all'insegna dell'elisione reciproca pretende di riportarli tra i primi!”.

E ancora:

La Madonna, povera di Javhé, che ha cantato il riscatto degli umili, dia alle nostre Chiese la nforza di confidae negli ultimi.

E ciascuno di noi, pur nella fatica del viaggio e nelle delusioni della vita, possa sentirsi confortato dalle parole di Sant'Agostino:

Aiuta il prossimo con il quale cammini, per poter giungere a Colui con il quale desideri rimanere”.






Io che scrivo, tu che hai letto queste parole di don Tonino chiediamoci una volta per tutte: sono veramente un cristiano vero, vero discepolo di Gesù? In che cosa sono impegnato nella Chiesa voluta da Gesù? Ovvero sono soltanto un cristiano della domenica perché vado a Messa? Cosa mi manca? Cosa posso fare?

La via della condivisione





(Ernesto Olivero)
I poveri continueremo ad averli sempre con noi, ma se ogni persona trovasse nella solidarietà un senso al proprio vivere, la loro povertà sarebbe diversa; diventerebbe scuola di vita e nella condivisione troveremmo la via per abbattere le miserie che abbrutiscono l'uomo.