sabato 28 febbraio 2015

Quaresima 2015 con Papa Franceco


Quaresima 2015:seconda settimana

Viviamo la quaresima in comunione con la Chiesa della terra e con i santi del Cielo

Introduzione: Spesso in questo periodo di quaresima esiste il pericolo di chiudersi, di pensare a se stessi con tutte le intenzioni di buoni cristiani: pensiamo alla nostra conversione, ad ed essere migliori, di pregare di più e magari fare qualche opera buona. Ma a chi giova tutto questo? Chiediamocelo! Forse scopriremo che stiamo pensando soltanto a noi, anche se al nostro bene spirituale. Ma Gesù agiva così?
Papa Francesco ci ricorda questa settimana  che non dobbiamo essere solo noi con Dio, ma con Dio assieme ai nostri fratelli, tutti membri della sua Chiesa terrena e celeste: comunione non indifferenza.

“Se un membro soffre, tutte le membra soffrono” (1 Cor 12,26) –  Con Dio e i nostri fratelli

La carità di Dio che rompe quella mortale chiusura in se stessi che è l’indifferenza, ci viene offerta dalla Chiesa con il suo insegnamento e, soprattutto, con la sua testimonianza. Si può però testimoniare solo qualcosa che prima abbiamo sperimentato. Il cristiano è colui che permette a Dio di rivestirlo della sua bontà e misericordia, di rivestirlo di Cristo, per diventare come Lui, servo di Dio e degli uomini.
Ce lo ricorda bene la liturgia del Giovedì Santo con il rito della lavanda dei piedi. Pietro non voleva che Gesù gli lavasse i piedi, ma poi ha capito che Gesù non vuole essere solo un esempio per come dobbiamo lavarci i piedi gli uni gli altri. Questo servizio può farlo solo chi prima si è lasciato lavare i piedi da Cristo. Solo questi ha “parte” con lui (Gv 13,8) e così può servire l’uomo.

La Quaresima è un tempo propizio per lasciarci servire da Cristo e così diventare come Lui. Ciò avviene quando ascoltiamo la Parola di Dio e quando riceviamo i sacramenti, in particolare l’Eucaristia. In essa diventiamo ciò che riceviamo: il corpo di Cristo.
In questo corpo quell’indifferenza che sembra prendere così spesso il potere sui nostri cuori, non trova posto. Poiché chi è di Cristo appartiene ad un solo corpo e in Lui non si è indifferenti l’uno all’altro. “Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1 Cor 12,26).

La Chiesa è comunione dei santi  perché vi partecipano i santi, ma anche perché è comunione di cose sante: l’amore di Dio rivelatoci in Cristo e tutti i suoi doni. Tra essi c’è anche la risposta di quanti si lasciano raggiungere da tale amore.
In questa comunione dei santi e in questa partecipazione alle cose sante nessuno possiede solo per sé, ma quanto ha è per tutti. E poiché siamo legati in Dio, possiamo fare qualcosa anche per i lontani, per coloro che con le nostre sole forze non potremmo mai raggiungere, perché con loro e per loro preghiamo Dio affinché ci apriamo tutti alla sua opera di salvezza.


 

 

domenica 22 febbraio 2015

Quaresima con Papa Franceco


Quaresima 2015:prima settimana



Superare l’indifferenza
 Ho pensato di proporre per questa quaresima in quattro puntate il messaggio di Papa Francesco, riflettere nel silenzio della nostra anima le sue indicazioni, e prepararci così alla grande festa-avvenimento della Pasqua. Il testo è quello pubblicato da Radio Vaticana il 27 gennaio 2015. Ogni volta una piccola introduzione alle parole del Papa.

 Tempo di quaresima tempo di riflessione: sì, siamo peccatori, è giusto un esame di coscienza profondo in vista delle redenzione che il periodo di quaresima ci ricorda. Spesso pensiamo troppo ai nostri peccati e meno alle radici del perdono invocato, radici profonde nella persona di Gesù Maestro e Redentore.
Tempo di penitenza: ci viene chiesto di rinunciare a qualcosa a cui teniamo, a mortificare le nostre passioni, a fare opere di carità, rivalutare il prossimo in cui si incarna Gesù.
Conversione allo straordinario di Dio: Quaranta giorni davanti a noi  per sperimentare una nuova primavera dello Spirito, quaranta giorni per riscoprire un nuovo equilibrio nella nostra vita.


Rinfrancate i vostri cuori”. È il titolo del Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima 2015





Introduzione: prepariamoci a trascorrere questi quaranta giorni a rinfrescare la nostra anima, a qualche proposito di rinnovamento, a dare uno sguardo alla nostra indifferenza di fronte ad un mondo che ci trascina nelle sue ingiustizie facendoci suoi complici. Speriamo vivamente che non sia cosi: questo è il tempo, se necessario, di ricredersi e rinnovare il nostro sì a Dio affidandoci alla sua tenerezza amorosa e misericordiosa. L’invito di Papa Francesco oggi è quello di aprire il nostro cuore al nostro prossimo, non cadere nell’indifferenza, di prendere sul serio le sofferenze e le ingiustizie che subiscono tanti uomini, donne e bambini per la cupidigia di pochi.

“Cari fratelli e sorelle,
la Quaresima è un tempo di rinnovamento per la Chiesa, le comunità e i singoli fedeli. Soprattutto però è un “tempo di grazia” (
2 Cor 6,2). Dio non ci chiede nulla che prima non ci abbia donato: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19). Lui non è indifferente a noi. Ognuno di noi gli sta a cuore, ci conosce per nome, ci cura e ci cerca quando lo lasciamo.
Ciascuno di noi gli interessa; il suo amore gli impedisce di essere indifferente a quello che ci accade. Però succede che quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci dimentichiamo degli altri (cosa che Dio Padre non fa mai), non ci interessano i loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono… 

Allora il nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo, mi dimentico di quelli che non stanno bene. Questa attitudine egoistica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una globalizzazione dell’indifferenza.
Si tratta di un disagio che, come cristiani, dobbiamo affrontare. Quando il popolo di Dio si converte al suo amore, trova le risposte a quelle domande che continuamente la storia gli pone. Una delle sfide più urgenti sulla quale voglio soffermarmi in questo Messaggio è quella della globalizzazione dell’indifferenza.

L’indifferenza verso il prossimo e verso Dio è una reale tentazione anche per noi cristiani. Abbiamo perciò bisogno di sentire in ogni Quaresima il grido dei profeti che alzano la voce e ci svegliano.
Dio non è indifferente al mondo, ma lo ama fino a dare il suo Figlio per la salvezza di ogni uomo.
Nell’incarnazione, nella vita terrena, nella morte e risurrezione del Figlio di Dio, si apre definitivamente la porta tra Dio e uomo, tra cielo e terra.
E la Chiesa è come la mano che tiene aperta questa porta mediante la proclamazione della Parola, la celebrazione dei Sacramenti, la testimonianza della fede che si rende efficace nella carità (cfr Gal 5,6). 

Tuttavia, il mondo tende a chiudersi in se stesso e a chiudere quella porta attraverso la quale Dio entra nel mondo e il mondo in Lui. Così la mano, che è la Chiesa, non deve mai sorprendersi se viene respinta, schiacciata e ferita.

Il popolo di Dio ha perciò bisogno di rinnovamento, per non diventare indifferente e per non chiudersi in se stesso.

 

martedì 17 febbraio 2015

Mercoledì delle Ceneri





18 febbraio 2015
   
Il cammino quaresimale, che comincia con l’imposizione delle ceneri, è segnato dalla riscoperta di Cristo per realizzare il giusto rapporto con Dio.
La Liturgia di quest’oggi è segnata dal rito dell’imposizione delle ceneri, che dà il nome al giorno stesso. È opportuno che venga brevemente richiamato quello che esse rappresentano. Le ceneri sono il simbolo eloquente del fallimento, di ciò che è stato bruciato, consumato, distrutto. Le ceneri parlano del nostro peccato, della nostra fragilità, di ciò che ha intaccato e deturpato la nostra vita.

All’inizio della Quaresima forse la prima cosa che ci viene in mente è quella di vedere cosa possiamo fare di diverso, di nuovo, per vivere bene questo tempo. Il rischio è di trasformare il tempo “sacro” della Quaresima in tempo “nostro”, del nostro impegno, della nostra generosità, dei nostri propositi, mentre è innanzitutto il “tempo di Dio”, il tempo del suo primato nella nostra vita; il tempo nel quale siamo invitati a cogliere i segni di Dio e il significato provvidenziale del tempo che si sta svolgendo.

Le opere buone (elemosina, preghiera, digiuno) sono solo uno strumento per ritrovare una relazione autentica con il Padre. Ciò che conta, a questo punto, non è la pratica, l’adempimento, l’esecuzione, ma quanto lo anima, cioè l’intenzione, la ricerca sincera del volto di Dio. In caso contrario, tutto risulta inutile. Il percorso che viene disegnato ha una sua antica saggezza: coinvolge il corpo per raggiungere il cuore. Non è un percorso cerebrale, fatto di idee, di concetti da apprendere, ma una via che coinvolge l’uomo, tutto l’uomo: intelletto e corpo, cuore e volontà, sensi e sentimenti, pratica ed intenzione.

Comincia una nuova Quaresima e s’impone, innanzitutto, il bisogno di dare un senso a questo tempo dell’Anno liturgico. Tempo forte, tempo troppe volte accomunato alla tristezza della rinuncia, della penitenza e del sacrificio, esso rischia di generare fin dalle prime battute più una sensazione di rigetto che di adesione convinta ed entusiasta. E, allora, bisogna dirlo subito, la Quaresima può essere vissuta in modo ben diverso da quello solitamente evocato: come un dono, come una grazia, come un’occasione per ritrovare il senso, l’armonia, la bellezza della propria esistenza, come una “primavera”.

Ritagli di riflessione: da Qumran.net

lunedì 9 febbraio 2015

Pensa sempre che ogni discepolo di Gesù agisce per amore del Signore...

Forti e deboli insieme



Spesso si insinua la tentazione di giudicare chi non la pensa come noi e di ritenersi superiori, in una sterile contrapposizione ed esclusione reciproche.

 “Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio”




Un articolo di Fabio Cialdi in  http://www.focolare.org/news


30 gennaio 2015
“Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio” (Rm 15, 7).



Volendo recarsi a Roma e da lì proseguire per la Spagna, l’apostolo Paolo si fa precedere da una sua lettera alle comunità cristiane presenti in quella città. In esse, che presto testimonieranno con un innumerevole numero di martiri la sincera e profonda adesione al Vangelo, non mancano, come altrove, tensioni, incomprensioni, e perfino rivalità. I cristiani di Roma presentano infatti una variegata estrazione sociale, culturale e religiosa. Vi sono persone provenienti dal giudaismo, dal mondo ellenico e dall’antica religione romana, forse dallo stoicismo o da altri orientamenti filosofici. Esse portano con sé proprie tradizioni di pensiero e convinzioni etiche. Alcuni vengono definiti “deboli”, perché seguono usanze alimentari particolari, sono ad esempio vegetariani, o si attengono a calendari che indicano speciali giorni di digiuno; altri sono detti “forti”, perché, liberi da questi condizionamenti, non sono legati a tabù alimentari o a rituali particolari. A tutti Paolo rivolge un pressante invito:


“Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio”.

Già precedentemente, nella lettera, era entrato nell’argomento rivolgendosi prima ai “forti”, per invitarli ad “accogliere” i “deboli”, “senza discuterne le opinioni”; poi ai “deboli” perché accolgano a loro volta i “forti” senza giudicarli, essendo stati loro stessi “accolti” da Dio.
Paolo è infatti convinto che ognuno, pur nella diversità di opinioni e di usanze, agisce per amore del Signore. Non c’è dunque motivo di giudicare chi pensa diversamente, tanto meno di scandalizzarlo con un fare arrogante e con senso di superiorità. Quello invece che occorre avere di mira è il bene di tutti, la “edificazione vicendevole”, ossia la costruzione della comunità, la sua unità (cf 14, 1-23).
Si tratta di applicare, anche in questo caso, la grande norma del vivere cristiano che Paolo aveva ricordato poco prima nella lettera: «Pienezza della Legge è la carità» (13, 10). Non comportandosi più «secondo carità» (14, 15), i cristiani di Roma erano venuti meno allo spirito di fraternità, che deve animare i membri di ogni comunità.
L’apostolo propone come modello di accoglienza reciproca, quella di Gesù quando, nella sua morte, invece di piacere a se stesso, prese su di sé le nostre debolezze (cf 15, 1-3). Dall’alto della croce attirò tutti a sé, ed accolse l’ebreo Giovanni assieme al centurione romano, Maria Maddalena assieme al malfattore crocifisso con lui.
“Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio”.

Anche nelle nostre comunità cristiane, pur essendo tutti «amati da Dio e santi per chiamata» (1,7), non mancano, al pari di quelle di Roma, disaccordi e contrasti tra modi di vedere diversi e culture spesso distanti le une dalle altre. Spesso si contrappongono tradizionalisti e innovatori – per usare un linguaggio forse un po’ semplicistico ma subito comprensibile –, persone più aperte e altre più chiuse, interessate a un cristianesimo più sociale o più spirituale. Le diversità sono alimentate da convinzioni politiche e da estrazioni sociali differenti. Il fenomeno immigratorio attuale aggiunge alle nostre assemblee liturgiche e ai vari gruppi ecclesiali ulteriori componenti di diversificazione culturale e di provenienza geografica.
Le stesse dinamiche possono scattare nei rapporti tra cristiani di Chiese diverse, ma anche in famiglia, negli ambienti di lavoro o in quelli politici.
 Si insinua allora la tentazione di giudicare chi non la pensa come noi e di ritenersi superiori, in una sterile contrapposizione ed esclusione reciproche. 

Il modello proposto da Paolo non è l’uniformismo che appiattisce, ma la comunione tra diversi che arricchisce. Non a caso due capitoli prima, nella stessa lettera, parla dell’unità del corpo e della diversità delle membra, così come della varietà dei carismi che arricchiscono e animano la comunità (cf 12, 3-13). Il modello non è, per usare un’immagine di papa Francesco, la sfera dove ogni punto si trova equidistante dal centro senza che vi siano differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro che ha superfici diverse tra loro e una composizione asimmetrica, dove tutte le parzialità mantengono la loro originalità. «Persino le persone che possono essere criticate per i loro errori, hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto. È l’unione dei popoli, che, nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; è la totalità delle persone in una società che cerca un bene comune che veramente incorpora tutti».
“Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio”.

La parola di vita è un invito pressante a riconoscere il positivo che c’è nell’altro, almeno per il fatto che Cristo ha dato la vita anche per quella persona che sarei portato a giudicare. È un invito ad ascoltare lasciando cadere i meccanismi difensivi, a rimanere aperti al cambiamento, ad accogliere le diversità con rispetto e amore, per giungere a formare una comunità plurale e insieme unita.

Questa parola è stata scelta dalla Chiesa evangelica in Germania per essere vissuta dai suoi membri ed essere loro di luce per l’intero 2015. Condividerla, almeno in questo mese, tra membri di varie Chiese, vuol essere già un segno di accoglienza reciproca.

Potremo così rendere gloria a Dio con un solo animo e una voce sola (15, 6), perché, come disse Chiara Lubich nella cattedrale riformata di St. Pierre a Ginevra: «Il tempo presente […] domanda a ciascuno di noi amore, domanda unità, comunione, solidarietà. E chiama anche le Chiese a ricomporre l’unità infranta da secoli. E’ questa la riforma delle riforme che il Cielo ci chiede. E’ il primo e necessario passo verso la fraternità universale con tutti gli uomini e le donne del mondo. Il mondo infatti crederà se noi saremo uniti».

Fabio Ciardi
http://www.focolare.org/news/30/febbraio-2015/


sabato 7 febbraio 2015

Eucaristia e divorziati in nuova unione

Il giorno in cui mi presenterò al Padre spero che più che ai miei fallimenti Egli guardi al mio piccolo ma quotidiano tentativo di amare gli altri come Gesù ci ha insegnato».



Propongo questa magnifica esperienza di vita, con alcuni commenti.

Se volete unitevi e dite la vostra...


24 gennaio 2015
Tiziana, presente al recente Congresso per Aderenti dei Focolari a Castel Gandolfo, racconta la sua scoperta di altre ‘fonti di Dio’ che le permettono di arrivare a Lui.


 ” CHI SONO IO PER GIUDICARE?”

                                      ” CHI SONO IO PER GIUDICARE?”


«Ci eravamo preparati al matrimonio sicuri di impegnarci per tutta la vita. Ma già dopo la nascita della bambina, lui cominciò ad uscire da solo ed io, che ero stanca per il lavoro e per la maternità, oltre che innamorata, sulle prime non mi resi conto che qualcosa non andava.


Seguirono 13 anni di bugie e litigi, alternati a pseudo chiarimenti cui immancabilmente seguivano continue delusioni. Sfinita e sull’orlo di un esaurimento (ero arrivata a pesare 36 chili) finalmente mi arresi, e ridiedi a mio marito la sua libertà.


Dopo tre anni reincontrai un mio compagno di scuola, a sua volta padre separato. Inizialmente cercavo di resistere al sentimento che sentivo affiorare in me perché, se da una parte il sentirmi amata mi dava una grande felicità, dall’altra mi poneva davanti al problema della mia vita cristiana. Furono momenti molto difficili. Ma poi i dubbi si dissiparono perché, mi dicevo, è vero che mi ero sposata convinta del ‘per sempre’ ma se l’amore non è più ricambiato, perché non poter continuare con un’altra persona in quella vocazione alla vita familiare che da sempre avevo avvertito?

Sicuri del nostro amore decidemmo di mettere insieme le nostre due vite spezzate. Dopo circa due anni di convivenza abbiamo avuto un bambino, che abbiamo fatto battezzare e che cerchiamo di educare cristianamente.

Per il mio compagno – una persona molto retta che si dichiara non credente – il problema dell’inserimento nella chiesa non esiste. Io, invece, ho continuato a frequentare la Messa domenicale e, pur nella sofferenza, mi sono adeguata alle disposizioni della chiesa astenendomi dai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia. Avrei potuto andare in una chiesa dove non sono conosciuta, ma per obbedienza non l’ho mai fatto.

Dopo un po’ però, questa autoesclusione ha cominciato a pesarmi e mi sono allontanata dalla Messa e dalla vita della comunità. Provavo, infatti, un forte disagio nel vedere gli altri dirigersi verso l’altare ed io a dover restare nel banco. Mi sentivo abbandonata, ripudiata, colpevole.

Dopo qualche anno, grazie alla vicinanza del Focolare ho ripreso il cammino di fede. ‘Dio ti ama immensamente’, mi ripetevano. Insieme a loro capivo che Gesù è morto e risorto anche per me, che Lui, nel suo infinito amore, aveva già colmato quel baratro in cui ero piombata e che non attendeva altro che io Lo seguissi per il resto della mia vita.
Ho così scoperto che, al di là dell’Eucaristia, ci sono altre fonti attraverso le quali incontrare Gesù. Egli si nasconde in ogni mio prossimo che incontro, mi parla attraverso il Suo Vangelo ed è presente nella comunità riunita nel Suo nome. Soprattutto Lo trovo quando riesco a trasformare in amore il dolore che mi procura la lontananza dall’Eucaristia.

Ricordo quando nostro figlio ha fatto la sua prima comunione. Io ero l’unico genitore a non andare all’altare con lui: una sofferenza nemmeno raccontabile. In compenso posso dire che è stato proprio quando ho perso l’Eucaristia che ho riscoperto il grande dono che è, proprio come ti accorgi del valore della buona salute quando la perdi.

Il giorno in cui mi presenterò al Padre spero che più che ai miei fallimenti Egli guardi al mio piccolo ma quotidiano tentativo di amare gli altri come Gesù ci ha insegnato».


Commenti

  1. Silvio Daneo

5 febbraio 2015 alle 01:11

Bellissima testimonianza, veramente toccante ed edificante. Dà molta gioie e speranza sapere che papa Francesco insieme ai vescovi del Sinodo sulla famiglia stanno adoperandosi per “rimediare” a certe situazioni dolorose . Sara; una ulteriore dimostrazione della maternità della Chiesa , dispensatrice di amore e misericordia piuttosto che severa nutrice che si assicura che siano rispettate regole ! Preghiamo che sia cosi


  1. arona basilio

4 febbraio 2015 alle 20:58

Non riesco a capire qualcosa…il divorziato non può prender la comunione, il pedofilo, il ladro, l’assassino ecc. ecc. se la cava con qualche penitenza. Mi sembra che in questa etica sociale della Chiesa qualcosa mi sfugge!


    • VINCENZO

5 febbraio 2015 alle 18:43

Quel qualcosa sfugge a molti di noi. Attendiamo il mese di Ottobre le decisioni del Sinodo.
Nel frattemmpo teniamo bene in mente e nel cuore le parole di Papa Francesco ai giornalisti che gli chiedevano un parere sugli omosessuali: ” CHI SONO IO PER GIIDICARE?” Un mio parere da credente impegnato: la carità, l’amore è superiore a qualsiasi legge: sulla carirtà saremo giudicati. .. da Dio paziente e misericordioso.


  1. walter kostner

4 febbraio 2015 alle 17:13

Grazie Tiziana della tua bellissima esperienza!


giovedì 5 febbraio 2015

NON E' LA FINE...



Lo abbiamo perduto…se ne è andato
Quando qualche nostro amico o parente parte per l'Aldilà,                         

noi lo diciamo "scomparso", lo pensiamo perduto.




13 dicembre 1968 - Dal diario di Chiara Lubich 
 Quando qualche nostro amico o parente parte per l'Aldilà, noi lo diciamo "scomparso", lo 
pensiamo perduto.
Ma non è così. Se in questo modo ragioniamo, che cristiani siamo? E dov'è allora la fede nella

Comunione dei Santi?


Nessuno è perduto di quelli che entrano in Dio: perché, se qualcosa valeva realmente nel fratello che ora ha la vita mutata, ma non tolta, questa era la carità. Sì, perché tutto passa. Passano persino, con la scena di questo mondo, le virtù della fede e della speranza. La carità resta.



Ora quell'amore che il nostro fratello ci portava, quell'amore vero perché avente radice in Dio,

quell'amore rimane. 
E Dio non è così poco generoso con noi da toglierci ciò che Lui stesso ci aveva donato.
 

Ora ce lo dà in altra maniera. E quel fratello, quei fratelli continuano ad amarci con una carità ora che non subisce oscillazioni, ma cresce.



Noi, piuttosto, dobbiamo credere a questo amore e chiedere a questi nostri fratelli, 
mentre facciamo la nostra parte di dar loro la nostra carità che può essere espressa nell'opera di misericordia che il cristiano conosce ed è pregare per quelli che hanno raggiunto la meta.



No, non sono perduti i nostri fratelli. 
Essi sono di là come fossero partiti di casa per portarsi in un

altro ambiente e noi per questo non li riterremo perduti.


Essi sono nella celeste patria ed attraverso Dio in cui sono, noi possiamo continuare ad amarci a vicenda, come il Vangelo ci insegna.



Allora la Comunione dei Santi sarà sempre più una realtà ed il vivere questa realtà della nostra fede preparerà anche noi al grande giorno con tutta semplicità: 
perché 
chi possiede Dio come unico tesoro in vita non deve temere la morte: 

essa non è che la porta per un maggior possesso di Lui.



martedì 3 febbraio 2015

Nella nostra vita due vie, un bivio...


Missione-vocazione

Di Madeleine Delbrel, mistica francese, assistente sociale e poetessa



Le due vie sono sempre esistite.

Sempre il Signore dirà agli uni: "A causa di me e del mio amore tu avrai una moglie, dei figli, una casa, dei beni da amministrare da parte mia nel mondo".

Sempre il Signore dirà agli altri:
"Tu non avrai che me e io sarò il tuo tutto".

Sempre il Signore dirà agli uni:
"Io so ciò che ti conviene, ti darò ogni giorno la tua pena il tuo pane quotidiano, perché dovunque tu sarai ci sia anche la mia croce".

Sempre il Signore dirà agli altri:
"Prendi la tua croce e seguimi".
Prendila con le tre braccia della povertà, dell'obbedienza e della castità.
Perché? Perché questo io voglio: che tu mi ami e che noi amiamo il mondo insieme.

La maggior parte di coloro ai quali Cristo tiene un tal discorso stanno sotto vesti scure, bianche o nere, discepoli d'un santo che fu attraverso il tempo compagno di strada del Signore.

Altri sono persone come voi e come me, persone affondate il più a fondo possibile nello spessore del mondo, separate da questo mondo da nessuna regola, nessun voto, nessun abito, nessun convento.

Povere, ma simili alle persone d'ogni luogo. Pure, ma simili a persone di qualsiasi ambiente.
Obbedienti, ma simili a persone di qualsiasi paese.

Sono per tutto e per tutti: ne troverete che insegnano, che emanano leggi, che curano e consolano, che lavorano in officina.

Per essi un mondo vale l'altro e un'anima un'altra anima. Ma non tediateli con metodi e tecniche.

Non dite loro: "Qui è meglio aver l'aria un po' ricca: riuscirete meglio"; "Là è meglio sposarvi, sarete un apostolo migliore"; o ancora: "Sappiate ciò che volete, e mirateci".

Essi vi risponderanno:
"Non si possono seguire due strade. Ci date delle ricette che non fanno per noi".

Se noi siamo un po' malconci, se noi facciamo in questo mondo la figura degli accampati, è perché la nostra ricetta è di non possedere altro che il Signore. Se noi non abbiamo focolare, se a casa nostra né marito né moglie né figli ci attendono, è perché il Signore ci possiede e da Lui solo noi vogliamo essere posseduti.

Se noi non abbiamo programma è perché il nostro Padre del Cielo l'ha scritto prima per noi e ci basta ricevere i suoi ordini giorno per giorno.


Non dite loro che la croce è dannosa, un po' morbosa e un po' malsana, che il mondo ha bisogno di ritrovare il volto della gioia e non dei penitenti.
Essi vi risponderanno:

"Noi vi parleremo della gioia quando l'avremo imparata sulla croce dove ritroviamo il nostro amore.
La nostra gioia è d'un prezzo così esorbitante che è stato necessario per acquistarla vendere ciò che possedevamo e tutto noi stessi".



Quelli della prima chiamata, devono essere numerosi, perché il mondo è grande e il suo battesimo è lungo.
Ma quelli della seconda chiamata, bisogna che ve ne siano almeno alcuni per dare agli uomini, questi adulti fanciulli, l'edizione visiva della vita di Gesù:
Gesù, che è la "Missione" stessa.
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* Leggi il ritaglio su Qumran!

lunedì 2 febbraio 2015

L' AMORE E' COME IL PROFUMO DEL PANE, se non lo confondiamo con "sessualità"

Non servono le parole per dire che si ama,

si sente e si respira nell’aria che ci circonda. È proprio la Chiesa a svelarci che la corporeità, il grande mistero che ogni giorno siamo chiamati a vivere, è qualcosa di puro, di sacro, creato e voluto da Dio perché in essa l’uomo si rende perfetto.

È proprio nell’unione che l’uomo e la donna divengono immagine di Dio, che per sua natura è amore, comunione.

Un incontro per crescere nella consapevolezza che l’amore coniugale è Amore con la A maiuscola.

Pubblico ancora una volta, perché molto semplice e chiaro un articolo dalla rivista della comunità di Nomadelfia, “ Nomadefia è una proposta”: un esempio di come trattare l’argomento della sessualità e scoprire la sua bellezza e la volontà di Dio nel creare l’uomo e la donna. Buona lettura.


IL PROFUMO DEL PANE

Si chiama Piera Di Maria ed è una ginecologa sessuologa che vive e lavora a Palermo. I Nomadelfi e gli adolescenti della comunità hanno avuto occasione di incontrarla il 10 ottobre, per assaporare insieme a lei il mistero della sessualità umana ed impara re quali ferite possa nascondere.



Ma perché la sessualità può nascondere delle ferite? Perché qualcosa che per sua natura dovrebbe essere bello e santo, spontaneo e coinvolgente, può diventare difficoltoso e problematico?

E soprattutto, perché la cosa dovrebbe essere oggetto dell’interesse del mondo cattolico?

La risposta è che la contrapposizione fra sessualità e santità è la fonte di una vera e propria emergenza educativa. E dalle carenze educative, si sa, non possono che scaturire dei mali sociali.



Da una parte, un clima culturale in cui il sesso è ancora un tabù. Dall’altra un mondo che, rifiutando

quel tabù, si è ribellato contro tutti i valori tradizionali, cancellandoli in toto anziché conservarli,

una volta ripuliti dal loro manto di sessuofobia. Così la libertà è diventata mercificazione, e dalla mercificazione alla banalizzazione il passo è breve. Il corpo ha perso il calore, il pro fumo della persona amata; non è più il mezzo attraverso cui un uomo e una donna si parlano con un linguaggio unico e fecondo che li realizza e li completa, rendendoli un “noi”. Il sesso si riduce ad, una funzionalità biologica come le altre, che può espletarsi con chiunque. Un gioco, un modo per “accendere la serata”.

Per dirla con le parole di Piera, la cultura contemporanea ha gettato una coltre di fumo grigio su un mondo fatto di colori e di sfumature. Un partner vale l’altro, un rapporto prematrimoniale ed uno matrimoniale sono identici. E in questo fumo grigio, i ragazzi sono lasciati soli.



È compito del mondo cattolico prendere atto di questa carenza educativa. È quello che ha fatto Piera nel corso della sua storia personale. Una storia che inizia con la scoperta del matrimonio come vocazione della Chiesa, non una vocazione di serie B, ma una via di santificazione, con un suo specifico e importante ruolo sociale. Poi la specializzazione in ginecologia e la scoperta che, per molte delle sue pazienti, la bellezza della sessualità è qual cosa di oscuro, incomprensibile. La scoperta che, per molti, la promessa della felicità insita nella corporeità è stata tradita, e che la pienezza della vita matrimoniale non si è mai realizzata.



E qui si apre la strada alla sua vera vocazione: diventare sessuologa, per aiutare quelle persone, per eliminare dalla vista di molti, specie adolescenti, quella coltre di fumo grigio che ha nascosto i colori.



Ma è una carenza educativa che si combatte anzitutto in famiglia.

Perché – spiega Piera – ciò che fa la differenza sono i messaggi impliciti, che traspaiono dall’atteggiamento, dall’espressione del viso, dal tono della voce.

È un lavoro che inizia fin da piccolissimi, fin da quando il bimbo è nella pancia della mamma. È, infatti, in quest’epoca che si inscrivono nella memoria i ricordi e le emozioni più profonde e più pervasive, che sono anche quelle a cui è più difficile dare un nome una volta adulti.

“Quando andavo a trovare mia nonna” racconta Piera “entrando sentivo il profumo del pane appena sfornato".

"Non c’era bisogno che mi dicessero che c’era, perché ne sentivo il profumo”.



Quando nella coppia c’è armonia, c’è l’amore cristiano che libera il corpo e lo rende capace di godere della gioia a cui è vocato, i bambini lo percepiscono, lo vivono. E dall’esperienza si impara più che da mille lezioni.

Federica P.


 Quando una ragazza vede un giovane, sente un trasporto verso di lui, e lui sente un trasporto verso di lei. È uno stimolo, è una cosa di Dio, non è del diavolo: è una cosa di Dio questo trasporto dell’uomo verso la donna, della donna verso l’uomo.

Ci ha creati così.

Adamo quando ha visto Eva così bella è stato entusiasta, ha ringraziato il Signore.

Il fatto del cristianesimo è questo: questi stimoli sono diretti ad un fine altissimo, quindi bisogna saperli portare là. Se un uomo vuole unirsi alla donna e sposarsi, allora stia nella legge di Dio.



Quell’altro vuole essere padre, vuole essere madre in un senso più vasto e dice:

“Io sacrifico questi istinti e mi dedico ad una paternità più vasta”; ecco Nomadelfia

che ha questo spazio. 


E la donna dice: “Io ri mango vergine e nella mia verginità genero figli nell’amore”.

Allora esercita la maternità e genera figli come la Madonna.


don Zeno 6 febbraio 1951

Nomadelfia (GR), 10 ottobre 2014. Incontro con Piera Di Maria.
Piera Di Maria con don Ferdinando e Silvia di Nomadelfia.