mercoledì 30 luglio 2014

Divorzio e partecipazione ai sacramenti




Riflettiamo insieme: propongo a puntate un articolo di Raniero La Valle, giornalista, politico ed intellettuale italiano sul problema del divorzio, separazioni, e partecipazione ai sacramenti nella pratica, nel pensiero e decisioni della Chiesa. Tutti sappiamo, almeno dovremmo sapere, che Papa Francesco ha indetto un sinodo speciale dei Vescovi, per trattare questi argomenti nella prospettiva di una nuova e più efficace pastorale sulla famiglia. I lavori di questo sinodo termineranno nel 2015. Allora sapremo quali saranno le novità, se ve ne saranno e che molti attendono, o le decisioni dei vescovi a riguardo.
Mi sembra giusto e opportuno che anche noi laici riflettiamo e ci informiamo su questi argomenti che riguardano ormai diverse migliaia di fedeli e non, e la nostra partecipazione e comunione nella Chiesa, popolo di Dio. Non interessarsi a questi problemi vuol dire disinteresse verso la società, la nostra vita cristiana, e una mancanza verso i fratelli che soffrono certe situazioni di disagio nella loro vita di fede.

Queste puntate vogliono essere un invito anche a dire la propria opinione con commenti in queste pagine e anche nell’ambito del nostro quotidiano. L’articolo originale di Raniero La Valle è: Divorzio e nuove nozze _ GESÙ E LA DONNA DAI CINQUE MARITI



Prima puntata: Divorzio e partecipazione ai sacramenti

Della comunione ai cattolici che dopo un divorzio vivono un secondo matrimonio, ormai si discute in tutta la Chiesa. La decisione sarà presa dal Sinodo dei vescovi, ma è adesso che se ne stanno ponendo le premesse dopo le caute aperture del Papa e l’ipotesi fatta al Concistoro dal cardinale Kasper,  di una riammissione all’eucaristia dei divorziati risposati dopo un percorso penitenziale, sulla scia della Chiesa antica e in sintonia con la Chiesa ortodossa orientale.

Al di là della soluzione proposta, l’approccio del cardinale Kasper è di straordinario valore: da un lato perché dalla dottrina dell’indissolubilità oggi vigente  egli torna alla fonte da cui è scaturita, cioè al Vangelo che “non è una legge scritta ma è la grazia dello Spirito Santo” (lo diceva pure san Tommaso), e dall’altro perché mette in guardia rispetto a una prassi ecclesiale che a partire dalla negazione dell’eucaristia ai genitori divorziati, rischia di separare dai sacramenti e dalla fede i loro figli, così che “perderemo anche la prossima generazione, e forse pure quella dopo”.

Durissimo però è il fuoco di sbarramento già lanciato da quanti si oppongono ad ogni cambiamento della disciplina ecclesiastica in materia, che a loro parere la Chiesa stessa non avrebbe il potere di modificare; e tra i più agguerriti difensori di tale ortodossia non ci sono solo prelati credenti, ma anche atei devoti che, come Giuliano Ferrara, si proclamano non credenti che vogliono vivere in un mondo di credenti, ritenuto molto più funzionale per loro.

Anche per la pressione di questi strumentalismi esterni, il dibattito ecclesiale rischia di polarizzarsi su posizioni radicalmente contrapposte che non rendono onore all’oggetto del contendere, quando l’oggetto del contendere comprende beni preziosissimi che sono cari ad ambedue le parti in contrasto tra loro, e cioè il significato dell’eucaristia, l’accoglimento e la retta interpretazione delle parole di Gesù, la capacità risanatrice e salvifica della Chiesa, la misericordia e la tenerezza di Dio. C’è il rischio che per difendere la propria tesi si rovesci il senso delle cose, che ad esempio un dono di Dio diventi un giogo, o che una scelta fatta per amore di Dio sia imputata a peccato, o che il primato della coscienza degeneri in anomia.

È più morale un divorzio che una falsa nullità

C’è anche il rischio che, per accorciare le distanze tra le due parti, si cerchino formule di compromesso, prive di verità e di vita, magari adottando le scelte proposte da una parte mantenendo però gli argomenti sostenuti dall’altra. Sarebbe questo il caso del tentativo di conseguire gli stessi obiettivi del divorzio estendendo oltre misura le pronunzie di nullità del matrimonio, ad esempio mettendo in dubbio il carattere veramente sacramentale di matrimoni celebrati senza vera convinzione di fede. 

In questo modo, si pensa, sarebbero tutti contenti: i coniugi che potrebbero risposarsi in chiesa, i custodi dell’ortodossia che vedrebbero salvaguardato il principio dell’indissolubilità, e la Chiesa istituita che con i suoi tribunali regolerebbe il traffico mantenendo comunque il controllo dei matrimoni validi o nulli, primi o secondi che siano. 

Ma il risultato sarebbe una strage di matrimoni, perché sarebbero revocati nel nulla, come mai esistiti, come mai amati da Dio, come mai appartenuti alla vita e sede di amore tra i coniugi, matrimoni invece realissimi, fecondi di figli, veri o imperfetti sacramenti che fossero e, semplicemente, finiti.  È molto più alto moralmente un divorzio con sofferenza e riconoscimento di un insuccesso, che la finzione di un matrimonio, magari pur ricco di valori e di amore, che venga negato come non esistente fin dal principio. 

E non si dica che nel matrimonio annullato non poteva esservi stato amore, perché l’amore vero non finisce. Non è così, perché nella condizione delle creature anche un vero amore può finire. Perciò ha ragione il cardinale Kasper quando sostiene che “molti divorziati non vogliono la dichiarazione di nullità. Dicono: abbiamo vissuto insieme, abbiamo avuto figli; questa era una realtà, che non si può dichiarare nulla, spesso solo per ragione di mancanza di forma canonica del primo matrimonio”. Perciò bisogna affrontare la vera questione, che è quella della dissoluzione di un matrimonio valido tra battezzati, in cui non sia stato più possibile mantenere il rapporto coniugale.

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