giovedì 26 settembre 2013

Ti sei convertito a Cristo?





Dialogo tra un convertito di recente a Cristo e un suo amico non credente




 
«Così ti sei convertito a Cristo?». «Sì».

«Allora devi sapere un sacco di cose su di lui.

Dimmi, in che Paese è nato? ». «Non lo so».

«Quanti anni aveva quand'è morto?». «Non lo so».

«Quanti libri ha scritto ?». «Non lo so».

«Sai decisamente ben poco per essere un uomo che afferma di essersi convertito a Cristo!».


«Hai ragione. Mi vergogno di quanto poco so di lui.
Ma quello che so è questo: tre anni fa ero un ubriacone.
 Ero pieno di debiti. La mia famiglia cadeva a pezzi.
Mia moglie e i miei figli temevano il mio ritorno a casa ogni sera.
Ma ora ho smesso di bere; non abbiamo più debiti;
la nostra è ora una casa felice;
i miei figli attendono con ansia il mio ritorno a casa la sera.
Tutto questo ha fatto Cristo per me.
E questo è quello che so di Cristo!».

Ciò che conta di più è proprio come Gesù cambia la nostra vita.
Rispetto a quello sponsorizzato dall'opinione corrente, è un altro modo di vivere e un altro modo di morire.
 È questo il mistero della "conversione"...

Da La rivincita dei catechisti, Pensieri notturni del Gufo

Nell'oscurità della fede invochiamo Maria ( preghiera)







Aiuta, o Madre, la nostra fede !



Aiuta, o Madre, la nostra fede!

Apri il nostro ascolto alla Parola,
perché riconosciamo la voce di Dio e la sua chiamata.

Sveglia in noi il desiderio di seguire i suoi passi,
uscendo dalla nostra terra e accogliendo la sua promessa.

Aiutaci a lasciarci toccare dal suo amore, perché possiamo toccarlo con la fede.

Aiutaci ad affidarci pienamente a Lui, a credere nel suo amore,
soprattutto nei momenti di tribolazione e di croce, quando la nostra fede è chiamata a maturare.

Semina nella nostra fede la gioia del Risorto.

Ricordaci che chi crede non è mai solo.

Insegnaci a guardare con gli occhi di Gesù, affinché Egli sia luce sul nostro cammino.

E che questa luce della fede cresca sempre in noi,
finché arrivi quel giorno senza tramonto,
che è lo stesso Cristo, il Figlio tuo, nostro Signore!

Papa Francesco ( da enciclica Lumen fidei )

mercoledì 18 settembre 2013

«Che ne sapete voi ragazzi dell’amore che cercate?




D'Avenia scrive agli studenti. "C'eri una volta tu"

«Che ne sapete voi ragazzi dell’amore che cercate? Che ne sapete del senso da dare alla vita?»



Ragazzo che ti abbatti sul banco come una balena spiaggiata, con quegli occhi annebbiati dalla noia e dalla forza ingabbiata in una stanza per cinque ore, che dobbiamo fare tu e io di quest’anno scolastico?

Ragazza tutta in fioritura assetata di essere vista, guardata, amata, dal cervello mai in pace, con le orecchie a caccia di qualcosa che possa servirti ad essere felice, che dobbiamo dare tu e io di quest’anno scolastico?

Che ne sapete voi due adesso dell’io di domani? Che ne sapete voi due dell’amore che cercate? Che ne sapete voi due del senso da dare alla vita se state scoprendo adesso che la vita ha un senso, si inarca, si stira, si tende dentro di voi come neanche voi sapete come, ma con tutto il dolore del caso.

Ragazzo dalla maschera inespressiva, incapace di raccontare i tuoi sentimenti se non nascondendoli dietro uno strato di spacciata sicurezza, che dobbiamo farne di queste lezioni di italiano?

Ragazza dalla maschera fin troppo espressiva, con quel trucco che dovrebbe segnalare quanto sei bella e segnala quanto hai paura di essere fragile, che dobbiamo farne di Catullo, Virgilio e Dante?

A che mai ci servirà passare centinaia di ore insieme a parlare di bellezza, dolore, amore, futuro, passato, presente, parole, terra, pelle, occhi, cervello, cuore, dita, occhi, orecchie e del che farci con tutte queste cose di cui la vita ci ha dotato senza il nostro permesso?

Come si fa, ragazzo, ragazza, a raggiungerti dove te ne stai rintanato? Come si fa a metterti sotto gli occhi quella bellezza unica e in costruzione che cerchi a tutti i costi di nascondere tanto fa male non esserle all’altezza? Come si fa a spiegarti che tra gli 80 miliardi di esseri umani che hanno calpestato il suolo non ce n’è uno o una come te? Come si fa a farti credere che sei la tua biografia, ma che sei soprattutto la tua autobiografia? Come posso io insegnante mostrarti sulla mappa geografica del desiderio che le terre di tua conquista sono ancora da scoprire? Come posso aiutarti a costruire il mezzo migliore per raggiungerle? Come faccio a sapere se sei fatto o fatta per una nave, per una bicicletta o per andare a piedi?

Ragazzo quanta unicità sprecata dietro a piccolissimi piaceri che rendono tutti uguali i ragazzi. Ragazza quanta unicità sprecata dietro a immagini illusorie del così fan e son tutte le ragazze. Eppure tu e tu avete occhi come nessuno e fiorite come mai è accaduto nella vostra vita, neanche da bambini. Perché adesso il vostro corpo si slancia verso il futuro con la tensione di chi può essere un giorno padre e un giorno madre. E così il vostro cervello si tende oltre ogni colonna d’ercole e il vostro cuore si inarca sino allo spasimo. E la pelle quasi non ce la fa a contenere la tensione di questa possibilità divina di creare.

Assisto a questa tensione e rimango alla finestra su questo panorama che muta di ora in ora di minuto in minuto cercando come un oracolo di indovinare chi sarai.

Ragazzo che cosa è questa tua unicità nella storia delle generazioni, questa tua forza, questa tua virilità e vitalità? Ragazza che cosa è questa tua alterità rispetto ad ogni altra donna, questa tua fecondità e attenzione?

Verso dove ti trascendi e ti superi? Verso un uomo e una donna mai compiuti del tutto, ma con una chiamata chiara nel dna: amare ed essere amato.

Questo io lo so. E su questo cammino impervio ti accompagno. Anche io ho lo stesso dna e quello che posso fare è raccontarti la storia di altri che hanno reso grande questo dna: con la parola, con l’arte, con la poesia, con gli occhi, con le orecchie, con le dita, col cuore, col cervello. Imparando a scolpire la copia migliore di se stessi in vista dell’ultimo giorno, che prima o poi arriva. E ti auguro di esserne soddisfatto.

Vorrei che fossi tu a scrivere la tua biografia. In fondo io solo questo posso insegnarti: come si scrive un’autobiografia.


C’eri una volta tu, ragazzo.



C’eri una volta tu, ragazza.

Io sono in quella storia, come tutti gli aiutanti delle storie, ma il protagonista sei tu, della gioia e del dolore di una vita e di quello che decidi di fare in mezzo a queste due sponde.

Alessandro D'Avenia
Fonte: Profduepuntozero.it  da  La rivincita del catechisti

martedì 17 settembre 2013

Le vie del Signore: Lui è via, verità e vita




Il coraggio di lasciarsi trasformare: un'ex-monaca racconta

 

 

Pubblico l'intensa esperienza che mi ha scritto un'ex-monaca: 

«Non ero educata a nessuna religione e nell’età delle ideologie mi sono buttata nelle filosofie orientali. Da un giorno all’altro diventai una credente fervente, direi fanatica. Poi, partecipando in prima fila alle iniziative di un gruppo cattolico, germogliò il desiderio di immergermi totalmente nel mistero e feci il grande passo di diventare monaca in un monastero di clausura. All’inizio era tale la novità che ero euforica per tutto quello che succedeva. Alcune, le monache anziane, mi guardavano con benevola comprensione e sospetto. Le poche giovani mi invidiavano, come se io avessi ricevuto da Dio chissà quali grazie straordinarie. L’euforia lentamente si ridusse a un’adesione a ciò che mi era chiesto, e lo facevo a denti stretti. Non volevo deludere o deludermi. Il tempo, che prima mi mancava, ora non passava mai.

Durante gli esercizi spirituali che ci tenne un bravo predicatore, ebbi modo di parlare con lui che, dopo avermi ascoltato, mi pose una domanda che mi destabilizzò “Lei è certa di aver dato tutto a Dio?”. Non risposi ma per giorni e giorni quella domanda divenne un chiodo fisso. Mi tornarono alla mente le parole della madre badessa che i consigli evangelici non sono una prassi esteriore, ma un modo d’essere che ha le radici nella coscienza. Erano proprio i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza che avrei voluto vivere perfettamente, ma avevo l’impressione che qualcosa non funzionasse.

Mi resi conto che ciò che mi portava avanti e mi sosteneva era il gusto di fare qualcosa che lasciasse gli amici senza parole. Oppure la voglia di raggiungere vette non raggiunte da nessuno. Ora, tirando le somme, il bilancio era deludente se non drammatico. Il mio orgoglio, in un posto di gente buona e fedele, non reggeva. Cominciarono a tornare violenti i ricordi. Mi sentivo condannata a morte e caddi in un tremendo stato di depressione che richiese cure e colloqui vari e mi si prospettò la possibilità di fare un anno fuori dal monastero.

La famiglia di una monaca mi offrì un appartamentino che aveva vicino al mare.
Quando arrivai alla casa di villeggiatura il mare era particolarmente agitato. Era la fine di febbraio. Al sereno si alternavano giorni tremendi. Facevo lunghe passeggiate accompagnata dal rumore delle onde.

Il mare era come me: agitato o sereno, scrigno di mondi invisibili e misteriosi. In una di queste passeggiate conobbi Alberto. Lui facendo la sua corsa giornaliera aveva trovato una bella conchiglia e senza preamboli me la mostrò. Poi mi chiese se ero del posto. In breve cominciai a fare anch’io la mia corsa quotidiana. Non era una cosa nuova per me che avevo fatto tanto sport, ma da anni mi sentivo arrugginita. Alberto era rimasto vedovo dopo aver curato l’amatissima moglie fino agli ultimi istanti. I due figli già all’università, vivevano nella città dove sempre avevano abitato. Lui, ormai in pensione, si era ritirato nella casetta al mare e viveva degli hobby di filatelia, numismatica e giardinaggio.

Quando mi toccò parlare della mia vita non sapevo da dove cominciare. Lui mi disse: “Ci sono dei momenti nella vita in cui bisogna pescare le parole non dalla mente, ma dal cuore. La mente sa mentire. Il cuore no”.
Intanto in un colloquio fatto con lo psichiatra, dovetti convenire con lui, che le cose stavano andando bene e mi diminuì il dosaggio degli psicofarmaci.

La presenza di Alberto si estendeva nelle mie giornate, nei miei programmi e, lentamente anche nel mio futuro. Glielo dissi. Lui aveva atteso che raggiungessi questa stazione della vita, ma non fece nulla per appropriarsi di spazi della mia coscienza che neanche io conoscevo.
Una mattina, dopo la solita corsa in riva al mare, vedendo gli occhi di Alberto pieni di amore verso di me, provai una specie di paura. Mi resi conto in un baleno che amare qualcuno significava espropriarmi di tutto ciò che sapevo, di tutto ciò che ero. Dovevo saper rischiare la mia vita. Per la prima volta ho capito cosa significhi essere poveri: amare.

Tornai a casa, scrissi alla madre badessa e fissai un appuntamento con lei.
Avevo trovato la mia vita: non significava soltanto Alberto, ma la possibilità che lui mi dava di vivere il Vangelo. Ciò che per anni avevo cercato di raggiungere con la volontà ora mi veniva rivelato come un seme che era già in me. È cresciuta in me l’ammirazione verso quelle consorelle che, donando la loro vita a Dio, erano arrivate al punto di stare  alla sua presenza perché ho capito che era questo che le rendeva capaci di essere povere, caste, obbedienti e recluse. Mi sembrarono il bene più grande dell’umanità.

Alberto mi aveva riportato a me stessa. Ci siamo sposati dopo qualche anno. La convivenza con una persona vera, matura, è diventata il mio monastero, uno scrigno di bene che mi educa all’assoluto.
Forse qualcuno si chiederà se quello che ho fatto è stato un passo indietro. Solo ora mi rendo conto che la vocazione è l’adesione al proprio vero essere, già programmato per essere un messaggio. La vita claustrale, inconcepibile nel rumore di oggi, è forse la prova più visibile della presenza di Dio, della vicinanza di Dio. Le monache sono delle antenne. La loro grandezza è aver creduto possibile una richiesta apparentemente impossibile.

Ho voluto raccontarti la mia storia perché tanti ti leggono e vorrei far sapere a tutti che il bene non è quello che pensiamo e vogliamo noi, ma è la presenza di Dio che è amore. Tutta l’arte della vita è arrivare a mettersi davanti a questa “presenza” e avere il coraggio di lasciarsi trasformare».

sabato 14 settembre 2013

Quando un cristiano diventa omicida...






13/09/2013 

Francesco e la «criminalità delle chiacchiere»

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Papa Bergoglio
Papa Bergoglio

Il Pontefice: «Chiediamo per noi, per la Chiesa tutta, la grazia della conversione alla magnanimità dell’amore verso il prossimo»

ANDREA TORNIELLI Città del Vaticano
 
 
Un'altra omelia dedicata alle chiacchiere e ai pettegolezzi che «uccidono». Papa Francesco, commentando il Vangelo in cui si cita l'interrogativo di Gesù «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non t’accorgi della trave che è nel tuo?», è tornato a parlare di coloro che «giudicano il prossimo». Parole rivolte a tutti, che mettono in discussione tutti, fotografando  atteggiamenti dai quali non sono immuni gli ambienti ecclesiali e quelli vaticani.


Gesù, ha detto il Papa nell'omelia riportata da Radio Vaticana, dopo averci parlato dell’umiltà, ci parla del suo contrario, «di quell’atteggiamento odioso verso il prossimo, di quel diventare giudice del fratello». Usando una «parola forte: ipocrita». «Quelli che vivono giudicando il prossimo, parlando male del prossimo - ha detto Francesco - sono ipocriti, perché non hanno la forza, il coraggio di guardare i loro propri difetti. Il Signore non fa, su questo, tante parole. Poi dirà, più avanti, che quello che ha nel suo cuore un po’ d’odio contro il fratello è un omicida... Anche l’apostolo Giovanni, nella sua prima Lettera, lo dice, chiaro: colui che odia suo fratello, cammina nelle tenebre; chi giudica il fratello, cammina nelle tenebre».

Dunque, quando noi «giudichiamo i nostri fratelli nel nostro cuore e peggio, quando ne parliamo di questo con gli altri siamo cristiani omicidi». «Un cristiano omicida … Non lo dico io, eh?, lo dice il Signore - ha proseguito il Papa - E su questo punto, non c’è posto per le sfumature. Se tu parli male del fratello, uccidi il fratello. E noi, ogni volta che lo facciamo, imitiamo quel gesto di Caino, il primo omicida della storia».

Francesco ha aggiunto che in un tempo in cui si parla delle guerre e si invoca la pace, «è necessario un gesto di conversione nostro». E questa conversione riguarda anche l'abitudine al pettegolezzo». «Le chiacchiere – ha detto il Papa – sempre vanno su questa dimensione della criminalità. Non ci sono chiacchiere innocenti». La lingua che dovrebbe lodare Dio, ha continuato, «la usiamo per parlare male del fratello o della sorella, la usiamo per uccidere Dio», l’immagine «di Dio nel fratello».

Francesco ha quindi osservato: qualcuno potrebbe dire che una persona si meriti le chiacchiere. Ma allora «vai, prega per lui! Vai, fai penitenza per lei! E poi, se è necessario, parla a quella persona che può rimediare al problema. Ma non dirlo a tutti!. Paolo è stato un peccatore forte, e dice di se stesso: "Prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia". Forse nessuno di noi bestemmia – forse. Ma se qualcuno di noi chiacchiera, certamente è un persecutore e un violento. Chiediamo per noi, per la Chiesa tutta, la grazia della conversione dalla criminalità delle chiacchiere all’amore, all’umiltà, alla mitezza, alla mansuetudine, alla magnanimità dell’amore verso il prossimo».

 

martedì 10 settembre 2013

Appelli per la pace, Papa Francesco





Appelli di Papa Francesco per la pace




Preghiamo per la pace: la pace nel mondo e nel cuore di ciascuno.

Mai più la guerra! Mai più la guerra!

Vogliamo un mondo di pace, vogliamo essere uomini e donne di pace

Quanta sofferenza, quanta devastazione, quanto dolore ha portato e porta l’uso delle armi.

Vogliamo che in questa nostra società, dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace.

Con particolare fermezza condanno l’uso delle armi chimiche!

Si alzi forte in tutta la terra il grido della pace!

Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di non chiudersi nei propri interessi.

Non esiste un Cristianesimo “low cost”. Seguire Gesù vuol dire andare contro corrente, rinunciando al male e all’egoismo.

La pace è un bene che supera ogni barriera, perché è un bene di tutta l’umanità.

Cari giovani, pregate insieme a me per la pace nel mondo.

Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà!

Pregate per la pace!

Non possiamo mai perdere la speranza. Dio ci inonda con la sua grazia, se la chiediamo con perseveranza.

Chiedo d’intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato.

L’umanità ha bisogno di vedere gesti di pace e di sentire parole di speranza e di pace!





  

“…questo nostro mondo nel cuore e nella mente di Dio è la “casa dell’armonia e della pace” ed è il luogo in cui tutti possono trovare il proprio posto e sentirsi “a casa”, perché è “cosa buona”. Tutto il creato forma un insieme armonioso, buono, ma soprattutto gli umani, fatti ad immagine e somiglianza di Dio, sono un’unica famiglia, in cui le relazioni sono segnate da una fraternità reale non solo proclamata a parole…”





“E’ possibile percorrere un’altra strada? Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? Possiamo imparare di nuovo a camminare e percorrere le vie della pace? Invocando l’aiuto di Dio, sotto lo sguardo materno della Salus populi romani, Regina della pace, voglio rispondere: Sì, è possibile per tutti! Questa sera vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: Sì, è possibile per tutti! Anzi vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati a governare le Nazioni, rispondesse: Sì, lo vogliamo!”

 Da Discorso  della veglia per la pace

domenica 8 settembre 2013

Il nostro Dio sente il grido di tutti: preghiamo per la pace






Il nostro Dio sente il grido di tutti

“La guerra è il suicidio dell’umanità perché uccide il cuore e uccide l’amore”. “Il Signore sente la preghiera di tutti!”, quella di Salomone nel giorno della consacrazione del Tempio, ma anche la preghiera di ognuno di noi.

Papa Francesco lo mette in luce, citando anche l’episodio evangelico del centurione che va da Gesù a chiedere la guarigione del suo servo. “Il nostro Dio è così - aggiunge - sente la preghiera di tutti”, tutti non come se fossero “anonimi” ma la preghiera “di tutti e di ciascuno”. “Il nostro Dio è il Dio del grande e il Dio del piccolo; il nostro Dio è personale”, ascolta tutti con il cuore e “ama con il cuore”:

“Noi oggi siamo venuti a pregare per i nostri morti, per i nostri feriti, per le vittime di quella pazzia che è la guerra! E’ il suicidio dell’umanità, perché uccide il cuore, uccide proprio dov’è il messaggio del Signore: uccide l’amore! Perché la guerra viene dall’odio, dall’invidia, dalla voglia di potere, anche - tante volte lo vediamo - da quell’affanno di più potere”.

E anche nella storia, tante volte, abbiamo visto che i problemi locali, i problemi economici, le crisi economiche “i grandi della terra vogliono risolverli con una guerra”:

“Perché? Perché i soldi sono più importanti delle persone per loro! E la guerra è proprio questo: è un atto di fede ai soldi, agli idoli, agli idoli dell’odio, all’idolo che ti porta ad uccidere il fratello, che porta ad uccidere l’amore. Mi viene in mente quella parola del nostro Padre Dio a Caino che, per invidia, aveva ucciso suo fratello: ‘Caino, dov’è tuo fratello?’. Oggi possiamo sentire questa voce: è il nostro Padre Dio che piange, che piange per questa nostra pazzia, che ci dice a tutti noi ‘Dov’è tuo fratello?’; che dice a tutti i potenti della Terra: ‘Dov’è vostro fratello? Cosa avete fatto!’”.

Di qui l’esortazione del Pontefice a pregare il Signore perché “allontani da noi ogni male”, ripetendo questa preghiera “anche con le lacrime, con quelle lacrime del cuore”:

“‘Volgiti a noi, Signore, e abbi misericordia di noi, perché siamo tristi, siamo angosciati. Vedi la nostra miseria e la nostra pena e perdona tutti i peccati’, perché dietro una guerra sempre ci sono i peccati: c’è il peccato dell’idolatria, il peccato di sfruttare gli uomini nell’altare del potere, sacrificarli. ‘Volgiti a noi, Signore, e abbi misericordia, perché siamo tristi e angosciati. Vedi la nostra miseria e la nostra pena’. Siamo sicuri che il Signore ci ascolterà e farà qualche cosa per darci lo spirito di consolazione. Così sia”.

Dal Veb

«Dio vide che era cosa buona», la terra, il cielo, l'umanità... "E' questo il mondo in cui viviamo?"



Testo integrale dell’omelia del Papa per la Veglia di pace

papa-francesco_vegliasan2013-09-07 Radio Vaticana

«Dio vide che era cosa buona» (Gen 1,12.18.21.25). Il racconto biblico dell’inizio della storia del mondo e dell’umanità ci parla di Dio che guarda alla creazione, quasi la contempla, e ripete: è cosa buona. Questo, carissimi fratelli e sorelle, ci fa entrare nel cuore di Dio e, proprio dall’intimo di Dio, riceviamo il suo messaggio. Possiamo chiederci: che significato ha questo messaggio? Che cosa dice questo messaggio a me, a te, a tutti noi?
1. Ci dice semplicemente che questo nostro mondo nel cuore e nella mente di Dio è la “casa dell’armonia e della pace” ed è il luogo in cui tutti possono trovare il proprio posto e sentirsi “a casa”, perché è “cosa buona”. Tutto il creato forma un insieme armonioso, buono, ma soprattutto gli umani, fatti ad immagine e somiglianza di Dio, sono un’unica famiglia, in cui le relazioni sono segnate da una fraternità reale non solo proclamata a parole: l’altro e l’altra sono il fratello e la sorella da amare, e la relazione con il Dio che è amore, fedeltà, bontà si riflette su tutte le relazioni tra gli esseri umani e porta armonia all’intera creazione. Il mondo di Dio è un mondo in cui ognuno si sente responsabile dell’altro, del bene dell’altro. Questa sera, nella riflessione, nel digiuno, nella preghiera, ognuno di noi, tutti pensiamo nel profondo di noi stessi: non è forse questo il mondo che io desidero? Non è forse questo il mondo che tutti portiamo nel cuore? Il mondo che vogliamo non è forse un mondo di armonia e di pace, in noi stessi, nei rapporti con gli altri, nelle famiglie, nelle città, nelle e tra le nazioni? E la vera libertà nella scelta delle strade da percorrere in questo mondo non è forse solo quella orientata al bene di tutti e guidata dall’amore?
2. Ma domandiamoci adesso: è questo il mondo in cui viviamo? Il creato conserva la sua bellezza che ci riempie di stupore, rimane un’opera buona. Ma ci sono anche “la violenza, la divisione, lo scontro, la guerra”. Questo avviene quando l’uomo, vertice della creazione, lascia di guardare l’orizzonte della bellezza e della bontà e si chiude nel proprio egoismo. Quando l’uomo pensa solo a sé stesso, ai propri interessi e si pone al centro, quando si lascia affascinare dagli idoli del dominio e del potere, quando si mette al posto di Dio, allora guasta tutte le relazioni, rovina tutto; e apre la porta alla violenza, all’indifferenza, al conflitto. Esattamente questo è ciò che vuole farci capire il brano della Genesi in cui si narra il peccato dell’essere umano: l’uomo entra in conflitto con se stesso, si accorge di essere nudo e si nasconde perché ha paura (Gen 3,10), ha paura dello sguardo di Dio; accusa la donna, colei che è carne della sua carne (v. 12); rompe l’armonia con il creato, arriva ad alzare la mano contro il fratello per ucciderlo. Possiamo dire che dall’armonia si passa alla “disarmonia”? Possiamo dire questo, che dall’armonia si passa alla “disarmonia”? No, non esiste la “disarmonia”: o c’è armonia o si cade nel caos, dove c’è violenza, contesa, scontro, paura…
Proprio in questo caos è quando Dio chiede alla coscienza dell’uomo: «Dov’è Abele tuo fratello?». E Caino risponde: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). Anche a noi è rivolta questa domanda e anche a noi farà bene chiederci: Sono forse io il custode di mio fratello? Sì, tu sei custode di tuo fratello! Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri! E invece, quando si rompe l’armonia, succede una metamorfosi: il fratello da custodire e da amare diventa l’avversario da combattere, da sopprimere. Quanta violenza viene da quel momento, quanti conflitti, quante guerre hanno segnato la nostra storia! Basta vedere la sofferenza di tanti fratelli e sorelle. Non si tratta di qualcosa di congiunturale, ma questa è la verità: in ogni violenza e in ogni guerra noi facciamo rinascere Caino. Noi tutti! E anche oggi continuiamo questa storia di scontro tra i fratelli, anche oggi alziamo la mano contro chi è nostro fratello. Anche oggi ci lasciamo guidare dagli idoli, dall’egoismo, dai nostri interessi; e questo atteggiamento va avanti: abbiamo perfezionato le nostre armi, la nostra coscienza si è addormentata, abbiamo reso più sottili le nostre ragioni per giustificarci. Come se fosse una cosa normale, continuiamo a seminare distruzione, dolore, morte! La violenza, la guerra portano solo morte, parlano di morte! La violenza e la guerra hanno il linguaggio della morte!
Dopo il caos del Diluvio, ha smesso di piovere: si vede l’arcobaleno e la colomba porta un ramo di ulivo. Penso anche oggi a quell’ulivo che rappresentanti delle diverse religioni abbiamo piantato a Buenos Aires, in Piazza de Mayo nel 2000, chiedendo che non sia più caos, chiedendo che non sia più guerra, chiedendo pace.
3. E a questo punto mi domando: E’ possibile percorrere un’altra strada? Possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte? Possiamo imparare di nuovo a camminare e percorrere le vie della pace? Invocando l’aiuto di Dio, sotto lo sguardo materno della Salus populi romani, Regina della pace, voglio rispondere: Sì, è possibile per tutti! Questa sera vorrei che da ogni parte della terra noi gridassimo: Sì, è possibile per tutti! Anzi vorrei che ognuno di noi, dal più piccolo al più grande, fino a coloro che sono chiamati a governare le Nazioni, rispondesse: Sì, lo vogliamo! La mia fede cristiana – la mia fede cristiana – mi spinge a guardare alla Croce. Come vorrei che per un momento tutti gli uomini e le donne di buona volontà guardassero alla Croce! Lì si può leggere la risposta di Dio: lì, alla violenza non si è risposto con violenza, alla morte non si è risposto con il linguaggio della morte. Nel silenzio della Croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace. Vorrei chiedere al Signore, questa sera, che noi cristiani e i fratelli delle altre Religioni, ogni uomo e donna di buona volontà gridasse con forza: la violenza e la guerra non è mai la via della pace! Ognuno si animi a guardare nel profondo della propria coscienza e ascolti quella parola che dice: esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro che rende insensibile il cuore, vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione: guarda al dolore del tuo fratello – ma, penso ai bambini: soltanto a quelli … guarda al dolore del tuo fratello – e non aggiungere altro dolore, ferma la tua mano, ricostruisci l’armonia che si è spezzata; e questo non con lo scontro, ma con l’incontro! Finisca il rumore delle armi! La guerra segna sempre il fallimento della pace, è sempre una sconfitta per l’umanità. Risuonino ancora una volta le parole di Paolo VI: «Non più gli uni contro gli altri, non più, mai!... non più la guerra, non più la guerra!» (Discorso alle Nazioni Unite, 4 ottobre 1965: AAS 57 [1965], 881). «La pace si afferma solo con la pace: la pace si afferma solo con la pace, quella non disgiunta dai doveri della giustizia, ma alimentata dal sacrificio proprio, dalla clemenza, dalla misericordia, dalla carità» (Messaggio per Giornata Mondiale della pace 1976: AAS 67 [1975], 671). Fratelli e sorelle, perdono, dialogo, riconciliazione sono le parole della pace: nell’amata Nazione siriana, nel Medio Oriente, in tutto il mondo! Preghiamo, questa sera, per la riconciliazione e per la pace, lavoriamo per la riconciliazione e per la pace, e diventiamo tutti, in ogni ambiente, uomini e donne di riconciliazione e di pace. Così sia.