lunedì 29 aprile 2013

Papa Francesco: vergognarsi dei propri peccati è virtù dell'umile



Vergognarsi dei propri peccati è virtù dell'umile che prepara al perdono di Dio 





Commentando la prima Lettera di San Giovanni, in cui si dice che “Dio è luce e in Lui non c’è tenebra alcuna”, Papa Francesco ha sottolineato che “tutti noi abbiamo delle oscurità nella nostra vita”, momenti “dove tutto, anche nella propria coscienza, è buio”, ma questo – ha precisato - non significa camminare nelle tenebre:

“Andare nelle tenebre significa essere soddisfatto di se stesso; essere convinto di non aver necessità di salvezza. Quelle sono le tenebre! Quando uno va avanti su questa strada proprio delle tenebre, non è facile tornare indietro. Perciò Giovanni continua, perché forse questo modo di pensare lo ha fatto riflettere: ‘Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi’. Guardate ai vostri peccati, ai nostri peccati: tutti siamo peccatori, tutti… Questo è il punto di partenza. Ma se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele, è giusto tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. E ci presenta – vero? - quel Signore tanto buono, tanto fedele, tanto giusto che ci perdona”.

“Quando il Signore ci perdona fa giustizia” – prosegue il Papa – innanzitutto a se stesso, “perché Lui è venuto per salvare e perdonarci”, accogliendoci con la tenerezza di un padre verso i figli: “il Signore è tenero verso quelli che lo temono, verso quelli che vanno da Lui” e con tenerezza “ci capisce sempre”, vuole donarci “quella pace che soltanto Lui dà”. “Questo – ha affermato - è quello che succede nel Sacramento della Riconciliazione” anche se “tante volte pensiamo che andare a confessarci è come andare in tintoria” per pulire la sporcizia sui nostri vestiti:

“Ma Gesù nel confessionale non è una tintoria: è un incontro con Gesù, ma con questo Gesù che ci aspetta, ma ci aspetta come siamo. ‘Ma Signore, senti sono così…’, ma ci fa vergogna dire la verità: ‘Ho fatto questo, ho pensato questo’. Ma la vergogna è una vera virtù cristiana e anche umana…la capacità di vergognarsi: io non so se in italiano si dice così, ma nella nostra terra a quelli che non possono vergognarsi gli dicono ‘sin vergüenza’, senza vergogna: questo è ‘un senza vergogna’, perché non ha la capacità di vergognarsi e vergognarsi è una virtù dell’umile, di quell’uomo e di quella donna che è umile”.

Occorre avere fiducia – prosegue il Papa – perché quando pecchiamo abbiamo un difensore presso il Padre: “Gesù Cristo, il giusto”. E Lui “ci sostiene davanti al Padre” e ci difende di fronte alle nostre debolezze. Ma è necessario mettersi di fronte al Signore “con la nostra verità di peccatori”, “con fiducia, anche con gioia, senza truccarci… Non dobbiamo mai truccarci davanti a Dio!”. E la vergogna è una virtù: “benedetta vergogna”. “Questa è la virtù che Gesù chiede a noi: l’umiltà e la mitezza”:

“Umiltà e mitezza sono come la cornice di una vita cristiana. Un cristiano va sempre così, nell’umiltà e nella mitezza. E Gesù ci aspetta per perdonarci. Possiamo fargli una domanda: allora andare a confessarsi non è andare a una seduta di tortura? No! E’ andare a lodare Dio, perché io peccatore sono stato salvato da Lui. E Lui mi aspetta per bastonarmi? No, con tenerezza per perdonarmi. E se domani faccio lo stesso? Vai un’altra volta, e vai e vai e vai…. Lui sempre ci aspetta. Questa tenerezza del Signore, questa umiltà, questa mitezza…”.

Questa fiducia “ci dà respiro”. “Il Signore – conclude il Papa - ci dia questa grazia, questo coraggio di andare sempre da Lui con la verità, perché la verità è luce e non con la tenebra delle mezze verità o delle bugie davanti a Dio. Che ci dia questa grazia! E così sia”.


sabato 27 aprile 2013

Chiesa e famiglia 2 : Prima di “fare” dei cristiani, pensiamo all’uomo ancora bambino.




Carissimi Genitori, operatori di catechesi, catechisti,

spesso troviamo difficoltà a gestire i nostri ragazzi: ecco un aiuto che può venire incontro  al nostro lavoro educativo e di formazione, aiuto valido per noi che ci abitua a controllare il  nostro modo di approcciarci ai ragazzi, e i ragazzi a crescere. Ricordiamo che educare oggi non vuol dire imporre ma camminare insieme. Gli operatori di catechesi e catechisti pensino che sono collaboratori dei genitori nella formazione cristiana dei loro figli: per questo teniamo sempre presente che è necessario una stretta intesa con le famiglie.

Strategie pedagogiche di Pino Pellegrino

L’arte di educare conosce alcune strategie, alcune ‘astuzie’ pedagogiche sagge e valide. Secondo il nostro stile che non ama i gargarismi, ecco subito qualche esempio.

Strategia dell’indifferenza:



Uno dei più diffusi tormentoni delle mamme italiane è riuscire a far mangiare il bambino.

Ebbene, vogliamo che mangi? Non supplichiamolo perché mangi! Insistere tanto sul mangiare significa mettere in mano al piccolo un’arma con cui ricattarci, un’arma che il bambino saprà usare in tutti i modi, pur di attirare su di sé la nostra attenzione.

Mostrandoci indifferenti, invece, siamo noi a tenere la situazione in mano.

“Non mangi? Va bene lo stesso! Mangerai quando avrai fame!”.

Calme, mamme! Nessun pericolo che il bimbo muoia di fame! Garantito! All’istinto della fame non si può resistere!

Fino a questo momento, nessun bambino al mondo, avendo del cibo a disposizione, è morto di fame! Quando avrà fame, il bambino mangerà!

Vogliamo far arrivare qualche messaggio al figlio adolescente?

La strategia del metodo indiretto:

Tutti sappiamo che gli adolescenti fanno cortocircuito con il metodo frontale che li prende di mira in modo diretto (il maledetto metodo della ‘predica’!). Dunque, se vogliamo dire qualcosa al ragazzo (e qualcosa dobbiamo pur dirgli, per non essere genitori puramente ‘allevatori’ ma anche ‘educatori’!), parliamogli senza chiamarlo direttamente in causa.


Esempio: siamo a tavola, parliamo tra noi, madre e padre, sul programma televisivo visto ieri sera e diamo il nostro giudizio negativo sulle parolacce, sulla violenza, sul sesso sfacciato… Il figlio, mentre continua a mangiare la pastasciutta, sente e viene a conoscere qual è il nostro quadro valoriale che, forse, non collima con quello degli insegnanti e degli amici. In tal modo abbiamo parlato al figlio, senza suscitare la reazione tipica dell’adolescente!

 La strategia della chiacchierata informale:
 
molto vicina alla strategia del metodo indiretto è la strategia della chiacchierata informale.

Siamo in piazza e stiamo parlando del più e del meno con un gruppo di conoscenti ed amici.

Ad un tratto il figlio, che ha scorazzato di qua e di là, si avvicina e sente (meglio: ascolta!) le nostre opinioni sulla politica, sulla religione, sulla società d’oggi...



E’ incredibile l’influsso che possono avere sull’animo del figlio le nostre parole dette spontaneamente, senza filtro!




Ha tutte le ragioni il semiologo e scrittore Umberto Eco a dire “credo che si diventi quello che ci ha insegnato nostro padre nei momenti morti mentre non si preoccupava di educarci”.

Strategia della reazione morbida:




Il bambino strepita? La madre gli risponde con tutta calma (facile dirlo!):“Non capisco niente! Se non abbassi la voce, le mie orecchie sono sorde”.
Il bambino fa capricci? La madre resta tranquilla (anche qui, facile a dirlo!), continua a stirare calma e serena, tutt’al più una carezza sul capo.
Questa è la strategia della reazione morbida.
Dicono che, sovente, funzioni; certo è una strategia intelligente: rispondere al capriccio del bambino con una nostra escandescenza è come voler spegnere il fuoco, versandovi sopra benzina! 

Strategia dei tempi morti: forse educhiamo quando meno pensiamo di educare.

Subito la prova: il padre incontra per strada un bisognoso che chiede aiuto: gli posa due euro sulla mano tesa, mentre il figlio vede;

la madre è in chiesa: prega in silenzio, concentrata, intanto il figlio osserva.



Ecco due esempi di splendida educazione non direttamente voluta, educazione che supera di gran lunga quella realizzata con una valanga di parole sull’amore del prossimo e sulla fede in Dio.





Rientrano anche nella strategia dei ‘tempi morti’ le parole che lasciamo cadere senza preavviso, come la cosa per noi più naturale del mondo. Mentre siamo a tavola, il papà, ad un tratto, dice: “Le parolacce sono come il raglio dell’asino nel bel mezzo di un concerto!”. La madre, vedendo la reclame di un parrucchiere, esclama: “Non basta avere i capelli in ordine, bisogna anche avere le idee ordinate”…



Parlare in questo modo non offende nessuno, neanche il figlio adolescente sempre (e giustamente!) così allergico alle ‘prediche’.Non solo, ma le parole dette senza preavviso, sovente hanno un fortissimo impatto sul figlio perché rivelano i nostri pensieri più intimi, le nostre opinioni, i nostri Valori che ci portiamo dentro.



Mi ha sempre colpito la confessione del professore Leo Buscaglia il quale rivela che si è costruito la sua morale sulle parole che il padre lasciava cadere a tavola, durante la cena.
Questo dico al figlio
“Se stai solamente con chi la pensa come te, tanto vale vivere con i pappagalli!”.


“Non lasciarti imbottigliare dal vino!”.


“è meglio mostrare la testa che l’ombelico”.


“Chi vince gli altri è muscoloso. Chi vince se stesso è forte”.


“Non c’è niente d’intelligente ad esser triste”.


“Non curarti dei commenti, se in regola ti senti”.


“Grinta e coraggio ci mantengono in vantaggio”.


“Dove entra il bere, esce il sapere”.


Che ne dite?

“Se i genitori riuscissero soltanto a capire quanto annoiano i figli!” (Bernard Shaw).
“A 27 anni al massimo, buttateli fuori di casa, come ho fatto io. Un giorno vi ringrazieranno” (Maria Luisa De Rita).
“Un sorriso al bambino è meglio del pannolino ben sistemato” (Benjamin Spock).
“A volte curo la madre ed il bambino guarisce” (Marcello Bernardi).
“Come terapia indico dieci chilometri di bicicletta assieme al padre, ogni domenica. Il tempo con il padre è una cosa fondamentale!” (Giovanni Bollea).







Con qualche piccolissima modifica l’articolo è stato preso da Bollettino Salesiano Gennaio 2013

venerdì 19 aprile 2013

"La porta piccola è sempre aperta".



Intorno alla stazione principale di una grande città, si dava appuntamento,ogni giorno e ogni notte, una folla di relitti umani: barboni, ladruncoli, marocchini e giovani drogati.
Di tutti i tipi e di tutti i colori.
Si vedeva bene che erano infelici e disperati.





Barbe lunghe, occhi cisposi, 
mani tremanti, stracci, sporcizia.
Più che di soldi, avevano tutti bisogno di un po’ di consolazione e di coraggio per vivere.
Ma queste cose oggi non le sa dare quasi più nessuno.




Colpiva, tra tutti, un giovane, sporco e con i capelli lunghi e trascurati, 
che si aggirava in mezzo agli altri poveri naufraghi della città come se 
avesse una sua personale zattera di salvezza.
Quando le cose gli sembravano proprio andare male, nei momenti di solitudine e di angoscia più nera, il giovane estraeva dalla sua tasca un bigliettino unto e stropicciato e lo leggeva.
Poi lo ripiegava accuratamente e lo rimetteva in tasca.
Qualche volta lo baciava, se lo appoggiava al cuore o alla fronte.
La lettura del bigliettino faceva effetto subito.
Il giovane sembrava riconfortato, raddrizzava le spalle, riprendeva coraggio.

Che cosa c’era scritto su quel misterioso biglietto? Sei piccole parole soltanto:





"La porta piccola è sempre aperta".

Tutto qui.

Era un biglietto che gli aveva mandato suo padre. Significava che era stato perdonato 
e in qualunque momento avrebbe potuto tornare a casa.
E una notte lo fece. Trovò la porta piccola del giardino di casa aperta.
Salì le scale in silenzio e si infilò nel suo letto.
Il mattino dopo, quando si svegliò, accanto al letto, c'era suo padre.
In silenzio, si abbracciarono.


Il biglietto misterioso spiega che c'è sempre una piccola porta aperta per l'uomo.
Può essere la porta del confessionale, 
quella della chiesa o del pentimento.
E là sempre un Padre che attende.
Un Padre che ha già perdonato 
e che aspetta di ricominciare tutto daccapo.


 

Testo tratto da Qunram ,l'angolo dei ritagli

giovedì 18 aprile 2013

Per il cristiano la PASQUA non finisce il giorno dopo




“Cirenei”, portatori di amore e di gioia!






Carissimo/a,
                        io e te, membri di questa Comunità Cristiana Virtuale (CCV), abbiamo dato, credo, grande importanza alla Quaresima per prepararci alla grande e centrale Festa di Pasqua! Diamo ora non  meno importanza a questo “Tempo Pasquale” che ci aiuta consolidare, penetrare e inserirci sempre più pienamente nella risurrezione del Signore. E come? Contemplando e immergendoci nella sua nuova realtà di Risorto!

     Egli, Risorto, chiama per nome Maria Maddalena, Tommaso e Pietro. Egli chiama anche
ciascuno di noi per nome, ci ama personalmente, uno per uno, pronuncia anche il nostro nome, ci conosce personalmente più e meglio di quanto non ci conosciamo noi stessi. Come Risorto lo può e lo vuol fare senza limiti di spazio e di tempo.

                        Si è mostrato agli apostoli e discepoli coi segni della Sua Passione che è stata “Passione Gloriosa”. Con questi segni, specie alle mani, ai piedi e al fianco, dice anche a ciascuno di noi quanto ci ha amato e quanto ci ama! Anche i segni della nostra passione su questa terra diverranno come i suoi segni di gloria, segni indelebili che dicono e diranno in eterno il Suo amore per noi e il nostro per Lui!

     Ha comunicato ripetutamente la pace agli apostoli, perdonandoli per averlo tradito e
abbandonato e li ha abilitati a darla a ciascuno di noi specie nel sacramento della Sua misericordia!
                        Si intrattiene con loro per illuminarli, confortarli, irrobustirli nella fede e affidar loro la Sua stessa missione: far di tutti la Sua famiglia! Fa la stessa cosa con ciascuno di noi!
                        Si affianca a loro nella ripresa del loro lavoro ordinario della pesca consentendo loro una fecondità straordinaria. Fa lo stesso con noi nel nostro lavoro quotidiano, rendendolo non meno fecondo!

                        Si interessa con tanta delicatezza se hanno da mangiare e prepara lui stesso, con le sue mani e chissà con quanto amore, del pane e del pesce arrostito per loro! E chissà con quanta cura, delicatezza e concretezza pensa e prepara per noi quello di cui abbiamo bisogno anche in senso materiale!

             Affida a Pietro la Chiesa facendolo suo vicario ma prima si assicura del suo amore. Prima di affidarci un compito chiede anche a noi se lo amiamo e lo amiamo più degli altri.

             Insomma ci ama, non con cuore di pietra ma con cuore di carne, ora glorificata! Dopo la Sua morte si riveste di un corpo glorioso per amarci meglio!

             Viviamo allora questo tempo pasquale non da “cinerei” ma da “Cirenei”, portatori di amore e di gioia!

Padre Giovanni F. religioso fmi

Nota: Padre Giovanni è stato mio compagno d'infanzia e adesso mio carissimo amico anche se da molti anni non ci vediamo. Lui, sacerote religioso, è molto attivo nella pastorale, un sacerdote di quelli che dedicano anima e corpo all'annuncio del Vangelo non solo con le parole ma con i fatti. Invito chi leggerà questa sua lettera a pregare per  lui e per le vocazioni sacerdotale: che il  Signore ci dia tanti sacerdoti come lui.

lunedì 15 aprile 2013

La partita notturna - Padre Michel Quoist


La partita notturna - Padre Michel Quoist







Questa sera, allo stadio, la notte si agitava, popolata di diecimila ombre,
e quando i proiettori ebbero dipinto in verde il velluto dell'immenso campo,
la notte intonò un coro, nutrito di diecimila voci.
Infatti il maestro di cerimonie aveva fatto segno di iniziare la funzione.


L'imponente liturgia si svolgeva dolcemente.
Il pallone bianco volava da ministro a ministro come se tutto fosse stato minuziosamente preparato in precedenza.
Passava dall'uno all'altro, correva raso terra o volava sopra le teste.





Ognuno era al suo posto, ricevendolo alla sua volta, con colpo misurato lo passava all'altro, e l'altro era là per accoglierlo e trasmetterlo.
E siccome ognuno faceva il suo lavoro dove occorreva, siccome forniva lo sforzo richiesto, siccome sapeva di aver bisogno di tutti gli altri, lentamente, ma sicuramente, il pallone avanzava; e quand'ebbe raccolto il lavoro d'ognuno, quand'ebbe riunito il cuore degli undici giocatori, la squadra gl'impresse un soffio e segnò il goal della vittoria.




Dopo la partita, a stento l'immensa folla si disperdeva nelle strade troppo strette, ed io pensavo, o Signore, che la storia umana, per noi lunga partita,
per Te era questa grande Liturgia, meravigliosa cerimonia iniziata all'aurora dei tempi, che terminerà quando l'ultimo ministro avrà compiuto l'ultimo gesto.
In questo mondo, o Signore, abbiamo ognuno il nostro posto; allenatore previdente, da sempre Tu ce lo destinavi.



Tu hai bisogno di noi qui, i nostri fratelli han bisogno di noi e noi abbiamo bisogno di tutti.
Non ha importanza il posto che io occupo, o Signore, ma la perfezione e l'intensità della mia presenza.
Che importa che io sia avanti o indietro, se sono al massimo quello che debbo essere?
Ecco, o Signore, la mia giornata davanti a me...




Non ho riparato troppo sul fallo, criticando gli sforzi degli altri, le mani in tasca?
Ho tenuto bene il mio posto, e mi hai Tu incontrato sul campo quando lo guardavi?
Ho ricevuto bene il "passaggio" del vicino e quello dell'altro dall'altra estremità del campo?
Ho "servito" bene i miei compagni di squadra, senza giocare troppo personalmente per mettermi in mostra?
Ho "costruito" il gioco in modo da ottenere la vittoria con il contributo di tutti?
Ho lottato fino in fondo nonostante gli scacchi, i colpi e le ferite?
Non sono stato turbato dalle dimostrazioni dei compagni e degli spettatori,
scoraggiato dalla loro incomprensione e dai loro rimproveri, insuperbito dai loro applausi? 




Ho pensato di pregare la mia partita, non dimenticando che agli occhi di Dio questo gioco degli uomini è la funzione più religiosa?


Ora vado a riposarmi negli spogliatoi, Signore; e domani, se Tu darai il calcio d'avvio, giocherò un altro tempo, e così ogni giorno...

Fa' che questa partita celebrata con tutti i miei fratelli sia l'imponente liturgia che Tu aspetti da noi, affinché quando il tuo ultimo fischio interromperà le nostre esistenze noi siamo selezionati per la Coppa del Cielo.

(Padre Michel Quoist)





http://leggoerifletto.blogspot.it

giovedì 11 aprile 2013

il cibo che non vorremmo mangiare mai...




La fame può diventare una forza sovversiva di conseguenze incalcolabili. (Papa Paolo VI)







I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell'opulenza. La chiesa trasale davanti a questo grido d'angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello. (Papa Paolo VI)


Somalia, in fila per un po' di cibo (che noi non mangeremmo)
altro che iPhone 5.


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Mt.25,31-46  Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere;  ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».

 

martedì 9 aprile 2013

Chiesa e famiglia 1 : ci interroghiamo per un cambiamento





Carissimi Genitori, operatori di catechesi, catechisti



 Questa è la prima di alcune conversazioni che vorrei proporvi ogni tanto per stimolare in me e in voi delle riflessioni per migliorare la nostra fede vissuta a  livello personale e familiare: darò degli spunti di riflessione da fare in famiglia, o da usare nei gruppi parrocchiali, negli incontri con i genitori.

Ringrazio fin d’ora quanti leggendo questi appunti vorranno dare dei suggerimenti, fare delle proposte anche sugli argomenti da trattare: sono sicuro che ognuno di voi ne ha tanti.

Potete farlo commentando alla fine dell’articolo cliccando sulla voce “commento” o “nessun commento", con una email ovvero telefonando al numero 3383758534: vi garantisco che risponderò a tutti.
                                                       


     




 Catacombe cristiane a Roma: qui i primi cristiani si riunivano per l'ascolto del Vangelo, per la preghiera.


Solo così, nascosti, potevano vivere la fraternità, il comandamento dell'amore.

Da qui molti sono andati  incontro al martirio.




Domande, riflessioni in cerca di una risposta


La Chiesa, noi tutti che formiamo il popolo di Dio, ha un Padre, padre di tutti, nessuno escluso sia santo o peccatore: siamo una comunità cristiana.

La comunità cristiana è come un grande organismo che è presente in tutto il mondo: ognuno di noi ne è parte viva. Un gruppo, un organismo, una comunità funziona se ogni sua parte contribuisce al suo funzionamento.



Ognuno di noi ha fatto almeno una volta nella sua vita un’esperienza o più di vita cristiana, vita di fede: battesimo per i nostri figli, la nostra prima comunione e cresima, anche il nostro matrimonio felicemente celebrato, festeggiato e vissuto cristianamente.

Ognuno risponda sinceramente a se stesso:

-          Se crediamo veramente e fedelmente

-          Se ci siamo fatti una fede per conto nostro

-          Se ci preoccupiamo di conoscere e approfondire la nostra Fede

-          Se ci sentiamo dentro o ai margini della comunità cristiana

-          Quanto incide la fede sulla nostra vita di tutti i giorni: in noi, nella nostra famiglia, nel rapporto con gli altri

-          Partecipiamo alle attività della parrocchia?

-          Preghiamo da soli o insieme in famiglia?



Sicuramente abbiamo celebrato il battesimo dei nostri figli e ci prepariamo o lo stiamo facendo ad avviarli alla catechesi di iniziazione cristiana in preparazione della prima comunione e della cresima.

Abbiamo mai pensato quale è stata la nostra esperienza? Che ricordi abbiamo? I tempi di allora sono gli stessi di oggi o qualcosa è cambiata? O siamo cambiati anche noi? Non è forse vero che i primi insegnamenti cristiani li abbiamo ricevuti in famiglia? Abbiamo fatto lo stesso con i nostri figli? Quale esempio abbiamo dato in modo che anche loro possano un domani ricordarsi di noi come noi dei nostri genitori?

Forse questo è il momento che Dio attendeva per darci una nuova opportunità, darci la mano per riprendere un nuovo cammino di fede, un impegno educativo nuovo per i nostri figli.

Oggi viviamo una realtà differenziata e confusa:

-  Molti genitori, pur cristiani, sono indifferenti al problema della fede: in casa  non parlano di Dio, non pregano, non vanno in chiesa, si avvicinano alla comunità parrocchiale soltanto per chiedere servizi religiosi per tradizione.



- Le separazioni coniugali, i divorzi, le convivenze sono realtà che allontanano dalla pratica della fede  per motivi non compatibili con una vita etica cristiana



- Il catechismo tradizionale, anche se migliorato dopo il Concilio vaticano secondo è concepito ancora in  modo tradizionale e impostato ad una situazione di fede diffusa  per tradizione e non migliorata. 



Oggi le cose sono profondamente cambiate. Continuare una catechesi “ per la vita cristiana e per i sacramenti”, quando la fede stessa non esiste o è molto povera, significa di rievocare un passato che non c’è più con cui non si può costruire un mondo nuovo continuamente in trasformazione: è come rattoppare un vestito nuovo con una stoffa vecchia.

C’è bisogno di creare un mondo nuovo con una fede rinnovata: molti sacerdoti e catechisti sono confusi e scoraggiati, spesso anche loro impreparati ad affrontare una nuova catechesi assieme ai genitori che spesso invitati a collaborare non rispondono: hanno bisogno della vostra collaborazione.



Che fare?

Innanzi tutto c’è bisogno di  una presa di coscienza da parte della comunità, sacerdoti e laici, operatori di catechesi, animatori, catechisti e famiglie, che abbiamo di fronte una massa di battezzati  poco evangelizzati da una parte, e dall’altra poca formazione per una pastorale efficace per rispondere alle sfide attuali e rispondere al futuro di una Chiesa rinnovata. Unirsi per cercare delle vie nuove, creare nuove esperienze.



L’idea lanciata da Giovanni Paolo secondo che “la famiglia precede, accompagna e arricchisce ogni altra forma di catechesi”spinge a riflettere e a cercare modi nuovi per comunicare la fede: in queste situazioni cresceranno le parrocchie che studiano, sperimentano e intraprendono strade nuove, senza paura di sbagliare, senza paura di fallimenti. C’è bisogno di rischiare, e se necessario andare controcorrente. Gesù ci direbbe: “ Non abbiate paura, ci sono anch’io!”.



Protagonisti di questo modo nuovo di proporre una corretta evangelizzazione saranno:



-          Le famiglie intese in senso ampio, aprendo la possibilità di partecipazione anche alle famiglie “irregolari” e a quelle in cui solo uno dei genitori è credente: Dio Padre non esclude nessuno!

-          I sacerdoti saranno la guida diretta o indiretta di questo cammino solo se noi laici parteciperemo attivamente con proposte concrete: da cristiani passivi passare a protagonisti.

-          I giovani che hanno bisogno solo di una cosa: essere ascoltati! Il futuro è in loro mani, diamo loro lo spazio a cui hanno diritto.

-          Ogni operatore di catechesi, i catechisti, gli animatori dell’oratorio uniti in un impegno comune per il bene di tutti: lottiamo contro l’individualismo, primo nemico della fede.


Prendiamo esempio da Papa Francesco che sta con la gente, vuole stare in mezzo alla gente  per comunicare la sua vita di uomo giusto, la sua grande fede di vescovo e di Papa.





Una delle tante chiese dove oggi i cristiani si radunano






Per questo articolo mi sono servito del lavoro di  Claudio Rigolotto “Prime parole su Dio”, itinerario di catechesi per genitori e figli, EDB