mercoledì 27 febbraio 2013
venerdì 22 febbraio 2013
Seguendo le orme del Signore
“Tu e il Signore Gesù state camminando sulla strada insieme.
Per un bel pezzo di strada le orme di Gesù procedono accanto alle tue, marcate,
solide, decise nella direzione.
Tu, al contrario, lasci orme distanziate, a zigzag, con
pause, ripensamenti, giravolte, cambiamenti di direzione.
Per un bel po’, camminate così, ma gradualmente le tue orme
si avvicinano sempre più a quelle di Gesù e cominciano ad avanzare in modo
parallelo.
Tu e Gesù come due amici, fianco a fianco.
Sembra tutto perfetto, ma interviene un altro cambiamento:
le tue impronte che prima si disegnavano nella sabbia accanto a quelle di Gesù
ora sono impresse dentro le sue.
Nelle sue grandi, le tue orme sono più piccole, ma tu e Gesù
cominciate a procedere come una persona sola.
Andate avanti così per un bel po’, poi gradualmente
interviene un altro cambiamento.
Le tue orme, dentro quelle più grandi, crescono fino a
coincidere con quelle di Gesù.
Ora c’è soltanto più una serie di orme sulla sabbia: tu e
Gesù camminate come una persona sola.
Sembra andare tutto bene, ma poi improvvisamente torna una
seconda serie di impronte. C’è qualcosa di strano!
Le nuove impronte vanno a zigzag, girano e rigirano, si
fermano, fanno diversioni bizzarre.
Sei meravigliato, dubbioso, turbato. Il tuo sogno finisce.
Incominci a pregare.
“Signore, ho capito la prima situazione, con i miei
andirivieni e le mie soste. Ero un cristiano incerto, ma volevo imparare. Tu
camminavi in modo sicuro ed hai aiutato me a camminare con Te”.
“E’ giusto!”
“E quando le mie orme piccole erano dentro le tue orme
grandi, io stavo imparando a camminare sui tuoi passi, a seguirti da vicino”.
“Bravissimo! Hai imparato bene e in fretta”.
“Quando le mie impronte sono diventate identiche alle tue,
significa che ero diventato tuo discepolo in tutto”. “Esatto”.
“Ma allora, Signore, che cos’è capitato poi? Sono tornato da
capo? Le impronte separate e soprattutto queste che fanno tornanti e
giravolte…”.
Ci fu un attimo di silenzio e poi un sorriso nella voce, il
Signore rispose: “Quelle? Oh, ma sono io che danzo felice intorno a te”.
La felicità di Dio siamo noi. Questo è il paradosso più
sorprendente del cristianesimo. E quando essere fedele è difficile, quando
tutto è sbiadito, quando avanzare è solo affanno, fermati, chiudi gli occhi,
bocca ed orecchie.
Sentirai Dio che danza intorno a te.
Bruno Ferrero in “C’è ancora qualcuno che danza con te” ELLEDICI
domenica 17 febbraio 2013
Una lettera, con affetto e amore, al Papa Benedetto XVI che ci lascia
Pubblicato dal quotidiano "L'avvenire" di qualche giorno fa, propongo questo articolo come riflessione sulla decisione del Santo Padre Benedetto XVI, di lasciare di condurre la barca di Pietro per il bene della Chiesa. Avrà avuto i suoi buoni motivi per farlo. Riflettiamo, stiamogli vicino con l'affetto che sempre gli abbiamo dimostrato, preghiamo per Lui affinché ci possa di tanto in tanto ancora illumimarci con i suoi scritti, la sua esperienza di teologo, padre e pastore.
Alla notizia della tua rinuncia ho avuto paura. Ho provato lo stesso dolore per la morte di Giovanni Paolo II: allora avevo 28 anni e mi sentii orfano, piansi come chi ha perso un padre.
Lunedì mi è successo lo stesso. Mi sono sentito orfano. Tu avevi deciso di non essere più Papa. Un altro padre mi veniva meno. È il dolore di un figlio che ha ricevuto moltissimo. Ho seguito il tuo pontificato sin dal momento in cui ti sei affacciato per la prima volta dal balcone (abitavo a Roma allora). Ho letto i tuoi scritti, mi sono nutrito delle tue parole sempre profonde e stranamente semplici per un professore di teologia, perché fondate sul rapporto vero con Dio (quanto gelo nelle parole di alcuni pastori che capita di ascoltare...).
In questi anni in cui la fede è spesso messa alla prova, dileggiata, fraintesa, tu hai fatto da parafulmine a molte critiche. Le hai prese tutte su di te. Non te ne importava niente di essere colpito. Sono beati quelli che vengono colpiti a causa di Cristo e chissà quanta della sporcizia che c’è nella Chiesa è stata gettata su di te per il fatto di essere quel padre di famiglia che è il Papa. Tu hai sempre dimostrato e chissà con quanto dolore, dal discorso di Ratisbona a quello sul matrimonio, che l’unico consenso che ti interessa è quello di tuo Padre Dio, cioè della verità, del logos.
Per questo ho avuto paura quando hai annunciato la tua rinuncia. Sul momento mi è sembrato un tirarsi indietro. Se ti tiri indietro anche tu, che sei il Papa, che fine facciamo noi? Ho ripensato a una tua frase che mi porto nel cuore: «Fedeltà è il nome che ha l’amore nel tempo». Me la ricordo tutte le volte che il mio e l’altrui amore è messo alla prova e devo aggrapparmi con tutte le forze all’Amore che muove tutti gli altri amori, oltre che il sole e le altre stelle. In questi anni la mia fede si è rafforzata grazie a quel logos cortese, fermo e caldo che tu sai infondere alle parole che usi, come (tanto per fare un esempio) queste che ho letto qualche giorno fa: «Dio, con la sua verità, si oppone alla molteplice menzogna dell’uomo, al suo egoismo e alla sua superbia. Dio è amore. Ma l’amore può anche essere odiato, laddove esige che si esca da se stessi per andare al di là di se stessi. L’amore non è un romantico senso di benessere. Redenzione non è wellness, un bagno nell’autocompiacimento, bensì una liberazione dall’essere compressi nel proprio io. Questa liberazione ha come costo la sofferenza della Croce». Ripensando alla tua frase, leggendo queste parole, le tue 'dimissioni' mi sembravano incomprensibili e mi hanno gettato nello sgomento.
Mi sono sentito solo. A che serve difendere la propria fede se poi anche il Papa si tira indietro. Poi a poco a poco l’emotività ha lasciato lo spazio al logos appunto, alla verità, a Cristo, e una grande pace è tornata nel cuore. Dovevo andare oltre il codice di interpretazione soggettivo, emotivo, mondano. Rinunciare rappresenta un fallimento per il mondo, è un gesto di debolezza per il mondo, nel quale si 'è' solo se ci si afferma, a ogni costo. La logica della debolezza non è del mondo. Del mondo è la logica del potere e dell’egoismo. Per questo il tuo gesto è un gesto di libertà dall’io e non di fuga da Dio, nel quale ti vuoi rifugiare del tutto per continuare a sostenere la Chiesa più e meglio.
Con questo gesto fai trionfare una logica diversa, un logos diverso. Quello di chi sa che la sua preghiera silenziosa vale tanto quanto la sua azione, e lascia quest’ultima a chi può meglio di lui portarla avanti. Doveva suonare allo stesso modo, fastidiosa e inspiegabile, la frase di Cristo ai suoi: «È bene che io me ne vada perché venga a voi un altro consolatore».
Anche Cristo sembra tirarsi indietro, ma così vince: lascia lo spazio alla potenza dello Spirito, non si lascia legare neanche dalla sua condizione umana, dà tutto, anche quella, si espropria di tutto se stesso, perché come tu hai spiegato nel tuo libro più bello 'essere cristiani' è 'essere per'. Egli pone nelle mani dei suoi il compito di continuare le sue opere e afferma che ne faranno anche di più grandi delle sue. Ti ringrazio, caro Papa, per tutto il logos che ci hai donato e ci donerai sino al 28 febbraio, da Papa, ma anche per il logos che ci donerai dopo, nel silenzio che il mondo già chiama sconfitta, sotterfugio, fuga, e che è invece vittoria. Non mi sento più solo, perché ancora una volta mi hai aiutato a guardare all’unica cosa che conta, l’unica di cui c’è bisogno, il Logos stesso. Una sola cosa ti chiedo. Non dare le dimissioni dalla scrittura. Continua a nutrire la nostra fede con il tuo logos. Non farlo sarebbe dare le dimissioni da un talento e il Vangelo parla chiaro in merito... Con affetto
Caro
Papa,
manca un accento all’ultima lettera di questo tuo nome, Papa, e
verrebbe fuori un’altra parola. La parola che ogni figlio pronuncia
migliaia di volte nella vita e che un figlio di Dio ha la fortuna di
pronunciare molte più volte perché, alla fine, la vita cristiana è
imparare a dire abbà, papà, a Dio.
Alla notizia della tua rinuncia ho avuto paura. Ho provato lo stesso dolore per la morte di Giovanni Paolo II: allora avevo 28 anni e mi sentii orfano, piansi come chi ha perso un padre.
Lunedì mi è successo lo stesso. Mi sono sentito orfano. Tu avevi deciso di non essere più Papa. Un altro padre mi veniva meno. È il dolore di un figlio che ha ricevuto moltissimo. Ho seguito il tuo pontificato sin dal momento in cui ti sei affacciato per la prima volta dal balcone (abitavo a Roma allora). Ho letto i tuoi scritti, mi sono nutrito delle tue parole sempre profonde e stranamente semplici per un professore di teologia, perché fondate sul rapporto vero con Dio (quanto gelo nelle parole di alcuni pastori che capita di ascoltare...).
In questi anni in cui la fede è spesso messa alla prova, dileggiata, fraintesa, tu hai fatto da parafulmine a molte critiche. Le hai prese tutte su di te. Non te ne importava niente di essere colpito. Sono beati quelli che vengono colpiti a causa di Cristo e chissà quanta della sporcizia che c’è nella Chiesa è stata gettata su di te per il fatto di essere quel padre di famiglia che è il Papa. Tu hai sempre dimostrato e chissà con quanto dolore, dal discorso di Ratisbona a quello sul matrimonio, che l’unico consenso che ti interessa è quello di tuo Padre Dio, cioè della verità, del logos.
Per questo ho avuto paura quando hai annunciato la tua rinuncia. Sul momento mi è sembrato un tirarsi indietro. Se ti tiri indietro anche tu, che sei il Papa, che fine facciamo noi? Ho ripensato a una tua frase che mi porto nel cuore: «Fedeltà è il nome che ha l’amore nel tempo». Me la ricordo tutte le volte che il mio e l’altrui amore è messo alla prova e devo aggrapparmi con tutte le forze all’Amore che muove tutti gli altri amori, oltre che il sole e le altre stelle. In questi anni la mia fede si è rafforzata grazie a quel logos cortese, fermo e caldo che tu sai infondere alle parole che usi, come (tanto per fare un esempio) queste che ho letto qualche giorno fa: «Dio, con la sua verità, si oppone alla molteplice menzogna dell’uomo, al suo egoismo e alla sua superbia. Dio è amore. Ma l’amore può anche essere odiato, laddove esige che si esca da se stessi per andare al di là di se stessi. L’amore non è un romantico senso di benessere. Redenzione non è wellness, un bagno nell’autocompiacimento, bensì una liberazione dall’essere compressi nel proprio io. Questa liberazione ha come costo la sofferenza della Croce». Ripensando alla tua frase, leggendo queste parole, le tue 'dimissioni' mi sembravano incomprensibili e mi hanno gettato nello sgomento.
Mi sono sentito solo. A che serve difendere la propria fede se poi anche il Papa si tira indietro. Poi a poco a poco l’emotività ha lasciato lo spazio al logos appunto, alla verità, a Cristo, e una grande pace è tornata nel cuore. Dovevo andare oltre il codice di interpretazione soggettivo, emotivo, mondano. Rinunciare rappresenta un fallimento per il mondo, è un gesto di debolezza per il mondo, nel quale si 'è' solo se ci si afferma, a ogni costo. La logica della debolezza non è del mondo. Del mondo è la logica del potere e dell’egoismo. Per questo il tuo gesto è un gesto di libertà dall’io e non di fuga da Dio, nel quale ti vuoi rifugiare del tutto per continuare a sostenere la Chiesa più e meglio.
Con questo gesto fai trionfare una logica diversa, un logos diverso. Quello di chi sa che la sua preghiera silenziosa vale tanto quanto la sua azione, e lascia quest’ultima a chi può meglio di lui portarla avanti. Doveva suonare allo stesso modo, fastidiosa e inspiegabile, la frase di Cristo ai suoi: «È bene che io me ne vada perché venga a voi un altro consolatore».
Anche Cristo sembra tirarsi indietro, ma così vince: lascia lo spazio alla potenza dello Spirito, non si lascia legare neanche dalla sua condizione umana, dà tutto, anche quella, si espropria di tutto se stesso, perché come tu hai spiegato nel tuo libro più bello 'essere cristiani' è 'essere per'. Egli pone nelle mani dei suoi il compito di continuare le sue opere e afferma che ne faranno anche di più grandi delle sue. Ti ringrazio, caro Papa, per tutto il logos che ci hai donato e ci donerai sino al 28 febbraio, da Papa, ma anche per il logos che ci donerai dopo, nel silenzio che il mondo già chiama sconfitta, sotterfugio, fuga, e che è invece vittoria. Non mi sento più solo, perché ancora una volta mi hai aiutato a guardare all’unica cosa che conta, l’unica di cui c’è bisogno, il Logos stesso. Una sola cosa ti chiedo. Non dare le dimissioni dalla scrittura. Continua a nutrire la nostra fede con il tuo logos. Non farlo sarebbe dare le dimissioni da un talento e il Vangelo parla chiaro in merito... Con affetto
Alessandro D’Avenia
www.avvenire.it © riproduzione riservata
lunedì 11 febbraio 2013
Benedetto XVI ci lascia
Il Papa lascia il pontificato dal 28 febbraio. Lo ha annunciato personalmente, in latino, durante il concistoro per la canonizzazione dei martiri di Otranto.
''Un fulmine a ciel sereno''. Con queste parole il decano del collegio cardinalizio, cardinal Angelo Sodano ha commentato la decisione di Benedetto XVI di lasciare il pontificato.
Il Papa ha spiegato di sentire il peso dell'incarico di pontefice, di aver a lungo meditato su questa decisione e di averla presa per il bene della Chiesa
Quella che segue è la
trascrizione integrale della dichiarazione con cui Benedetto XVI ha
annunciato le sue dimissioni. La dichiarazione è stata rilasciato oggi,
durante il Concistoro per tre canonizzazioni.
vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino.
Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l'elezione del nuovo Sommo Pontefice. Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l'amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti.
Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell'eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio".
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martedì 5 febbraio 2013
Il Cristiano non è un privilegiato
Il cristiano davanti a Dio non è un privilegiato
Il
cristiano davanti a Dio non è un "privilegiato", un capitalista di
Dio: è lui, anzi, che appartiene a Dio come a tutti gli uomini.
Non è neppure un capitalista di virtù umane: molti uomini possono essere umanamente più virtuosi di lui.
Non è neppure un capitalista di virtù umane: molti uomini possono essere umanamente più virtuosi di lui.
Un cristiano è "caricato" - nel senso in cui lo si dice di una pila elettrica - di una vita. Questa vita gli è donata da Dio per il mondo, è un dono fatto da Dio al mondo attraverso di lui.
La redenzione di Cristo non è stata affidata ai cristiani come a persone perfette, ma come a uomini che si sanno peccatori, chiamano il peccato con il suo nome, cercano di evitarlo, ma riconoscono il male che commettono.
Sono
uomini che, sapendosi contagiati dal male come tutti e come tutti chiamati a
guarirne, hanno la consapevolezza che le loro sofferenze portano a compimento
nel mondo la redenzione di Cristo e immettono nel mondo la guarigione da lui
portata.
I cristiani nel mondo sono "conduttori" - nel senso di un filo elettrico - di ciò che il mondo non può cavar fuori da sé.
E quanto più i cristiani hanno una forte "carica" per il mondo, tanto più sono predestinati al mondo. La loro croce normale è una tensione spinta al massimo tra la loro intima appartenenza al mondo e la loro funzione, che li situa nel cuore del mondo, ma da "stranieri" nel mondo.
(Madeleine Delbrel)
Fonte: "Indivisibile amore. Pensieri di una cristiana
controcorrente", di Madeleine Delbrel, Piemme Edito
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