sabato 28 gennaio 2012


“Chi è dunque costui,


che anche il vento e il mare


gli obbediscono?”.

   


Mc 4,35-41
“ In quel medesimo giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva».  E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena.
...Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia.
Poi disse loro: «Perché avete paura?
Non avete ancora fede?».  E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: "Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?”.


Uno scenario molto semplice: Venuta la sera Gesù si ritira con i suoi discepoli, sicuramente dopo una giornata molto faticosa, per un meritato riposo. Ma non tutto viene per caso. Una grande tempesta rovescia le onde sulla barca riempiendola d’acqua. Il panico prende il sopravvento sui discepoli di Gesù, non tutti erano pescatori e forse per questo la grande paura per la loro vita. Svegliano e rimproverano il Maestro: “Non t’importa che siamo perduti?”.
L’intervento miracoloso di Gesù calma la tempesta e gli animi. A questo punto Gesù con animo mite e comprensivo rimprovera i suoi: “Non avete ancora fede?”.
La domanda, il rimprovero di Gesù provoca la curiosità: “ Chi è dunque costui?”.

Siamo ancora all’inizio della predicazione di Gesù. I discepoli di Gesù lo avevano seguito senza tanti problemi: era il messia, colui che avrebbe instaurato definitivamente il regno di Israele, un condottiero che li avrebbe portati a cacciare i romani dalla Palestina…
Avevano assistito a tante guarigioni, avevano udito e apprezzato, per quanto potevano, le sue parole, le parabole, ma questo volta Gesù aveva superato se stesso, a lui “anche il vento e il mare obbedivano”.
L’evento eccezionale e il rimprovero di Gesù fanno sì che i suoi discepoli, per la prima volta, si interroghino sulla sua persona: Chi è veramente costui?
Non conosciamo la loro risposta a questo importane interrogativo: chi è veramente costui capace di cose grandiose e ci chiede fede in lui? Cosa si aspetta veramente da noi?
Non potevano ancora capire perché la loro mente era ferma in quella falsa aspettativa messianica che non dava spazio a capovolgimenti e a cambiamenti.

Noi sappiamo che Gesù pretendeva la fede in lui e in molte occasioni era la condizione per una guarigione o per un miracolo, fede che implica fiducia.
Questo brano interroga ognuno di noi, uomini e donne del ventunesimo secolo: abbiamo ancora la fede? Possiamo ancora, presi da tante fatiche, insoddisfatti per un mondo che vede solo profitti e cerca sempre di più di opprimere i più deboli, credere veramente?
Eppure se riflettiamo serenamente non è difficile avere una fede semplice, piccola come il seme di senape ma che sia fede, curata con piccole cose. Il brano che abbiamo letto e stiamo commentando non prova la fede dei discepoli di Gesù, non la possedevano ancora, seguivano il Messia... E' proprio in questo brano che si pongono il problema: chi è costui? Ognuno di noi ha avuto questo momento: chi sei, Gesù? Forse non necessariamente in un momento di paura o di necessità, anche coscientemente in un momento di dubbio o di voglia di capire la propria fede.
Dobbiamo prendere coscienza che non si crede una volta per tutte ma spesso è necessario tornare a quel momento, primo momento della nostra fede per confermarsi in essa perché quel primo momento è il più bel momento della nostra prima fede e fiducia in Dio, è stato l'inizio di un rapporto che deve essere portato avanti Quel momento fa parte della nostra storia e nella nostra storia dobbiamo trovare la forza per ricominciare o continuare. Gli apostoli si ricorderanno i momenti passati con Gesù senza rimpianti anzi... con Gesù fino alla morte senza la paura di un naufragio.........

Provare la bellezza nel riscoprire la propria fede, non tenendola per sé, ma assieme agli altri nella comunità. Qui la fede s’impara, cresce, si solidifica. …. Sono i momenti forti della Chiesa durante un battesimo, quando i nostri bambini ricevono la prima comunione o quando diventano adulti nella Cresima e soprattutto anche nel dolore, nella sofferenza, nella preghiera in cui avvertiamo il desiderio di credere di più e meglio o in due parole di essere più buoni… in cui sentiamo di prendere Gesù con noi, come gli apostoli che “congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca”.
La presenza del Maestro sulla stessa barca dei discepoli però, non trasmette loro tranquillità di fronte al pericolo, non li esime dalla paura della morte.  Così è un po’ per noi, meditiamo la sua Parola significa che anche noi abbiamo fatto salire Gesù sulla nostra “barca”… lo abbiamo fatto già entrare nella nostra vita e lo vogliamo come nostro compagno di viaggio. In altre parole, lo abbiamo scelto. Ci siamo fidati della sua promessa: «io sarò con voi tutti i giorni».
La paura ci è spesso compagna di vita, fa parte della nostra precarietà. Ma non dobbiamo avere paura della paura, possiamo opporci ad essa con le parole e lo stimolo che riceviamo dal Vangelo.  Certo questa non è una vittoria che si conquista una volta per tutte, ma è un continuo tornare a Dio per ricevere da Lui la forza di attraversare il mare, certi che abbiamo a che fare con un Dio paziente e misericordioso, Padre amoroso.

(Risultato di una riflessione di CHAT, in Pastorale&Spiritualità)


venerdì 27 gennaio 2012

Un bambino voleva conoscere Dio



Dio è giovane e ha un bel sorriso      
  

Una sera, apro la posta elettronica e fra le tante e-mail vedo quella di un amico che non sentivo da tempo. Sapevo che stava vivendo un periodo difficile, ma dalla storia che mi ha raccontato, ho capito che aveva trovato il modo di uscirne.
La storia è di Laurie Kunkel, ed è tratta dalla sua raccolta Meeting God. Eccola.

Un bambino voleva conoscere Dio. Sapeva che era un lungo viaggio arrivare dove abita Dio, ed è per questo che un giorno mise nel suo cestino dei dolci, della dolce marmellata e bibite e cominciò la sua ricerca.
Dopo aver camminato per trecento metri circa, vide un’anziana seduta su una panchina nel parco. Era sola e stava osservando alcune colombe.
Il bambino le si sedette vicino e aprì il suo cestino. Stava per bere la sua bibita, quando gli sembrò che la vecchietta avesse fame, ed allora le offrì uno dei suoi dolci. La vecchietta riconoscente accettò e sorrise al bambino. Il suo sorriso era molto bello, tanto bello che il bambino le offrì un altro dolce per vedere di nuovo il suo sorriso. Il bambino era incantato! Si fermò molto tempo mangiando e sorridendo.
Al tramonto, il bambino, stanco, si alzò per andarsene, però prima si volse indietro, corse verso la vecchietta e la abbracciò. Ella dopo averlo abbracciato, dette il più bel sorriso della sua vita.
Quando il bambino arrivò a casa sua aprì la porta, la sua mamma fu sorpresa e gli chiese:
“ Figlio, cosa hai fatto che sei tanto felice?".
Il bambino rispose:
“ Oggi ho fatto merenda con Dio!”.
E prima che sua mamma gli chiedesse qualche cosa aggiunse:
“ E sai? Ha il sorriso più bello che ho mai visto!”.
Anche la vecchietta arrivò a casa raggiante di felicità. Suo figlio restò sorpreso per l’espressione di pace stampata sul suo volto e le domandò:
“ Mamma, cosa hai fatto oggi che ti ha reso tanto felice?".
La vecchietta rispose:
“ Oggi ho fatto merenda con Dio, nel parco!”.
E prima che suo figlio rispondesse, aggiunse:
“ E sai? E’ più giovane di quel che pensavo!”.
Lo sapete? Dio è più giovane di quel che pensate e ha un sorriso splendido…

 don  Antonio Mazzi, in “Le parabole di un Pierino” ELLEDICI









domenica 22 gennaio 2012

Fede e coscienza: binomio indivisibile

 Formare una coscienza conforme alla fede ricevuta che ci fa Chiesa





La cosa peggiore che possa fare un cristiano, uomo di fede, è chiudersi in se stesso, convincersi di essere sempre da parte della ragione ovvero pensare di fare e che il suo fare è sempre giusto.
Così facendo non troverà mai il tempo di amare veramente gli altri, e invece di essere testimone sarà un giudice del prossimo. Non tocca a noi questo compito.
Fede e coscienza è un binomio indivisibile. Riconoscendo che la fede è un dono è compito nostro educare, formare una coscienza conforme alla fede ricevuta che ci fa Chiesa, chiesa che cammina, si ferma, che prega. Cammina nel mondo perché il mondo è il suo terreno da coltivare, irrigare per farlo crescere in armonia e pace.
Si ferma, non ha mai premura, perché ogni incontro gli appartiene, risveglia  interesse per l’altro perché così gli è stato ordinato. Si ferma per ascoltare, riflettere, pregare e operare, curare,guarire, confortare, creare un incontro personale, diventare amico, sapendo che sta seguendo l’esempio del Maestro Gesù.
Su questo esempio un poco alla volta il cristiano forma, educa la sua coscienza.
Riflettendo sul vangelo di Marco,le prime pagine,  mi sono soffermato ad osservare il comportamento di Gesù al suo metodo nell’incontrare la gente.
Sono le prime uscite allo scoperto. Insegna nella sinagoga, guarisce e predica, entusiasma la gente che si meraviglia per la novità di un insegnamento nuovo. Frena l’entusiasmo facile  proibendo di parlare di ciò che fa. Ha compassione del lebbroso, perdona i peccati, corregge ciò che nella legge di Mosè era considerato inamovibile, guarisce l’indemoniato, gli spiriti impuri lo annunciano come Figlio di Dio, gli spiriti impuri…
Gesù più che predicare il Regno, incontra la gente si interessa a loro, senza rinunciare a nessuno, nemmeno gli scribi e i farisei. La sua azione suscita meraviglia e odio. Semina, semina: sa che sarà punto di riferimento e di contraddizione, prepara gli incontri successivi quando le sue parole saranno rivelazione di vita eterna.
Questa è la coscienza cristiana, questa è la chiesa , questa è (permettetemi il riferimento a Ernesto Olivero e al suo libro “ Per una chiesa scalza”)la coscienza della propria fede e del suo operare nel mondo: rispetto, amore per l’altro, preferenza per l’altro, per il diverso, punto di inizio della  nostra testimonianza evangelica, una chiesa priva di pregiudizi, ma che nel silenzio ama, che rifugge dall’individualismo, che non parla di sé e opera nel silenzio ed “esce dal buio perché la luce esiste”.
Successivamente, come avviene per Gesù, sarà l’altro a credere e saremo noi, come Gesù, a costatare la sua conversione e la sua fede. Sarà la Chiesa comunità dei credenti, le piccole o grandi comunità prive di interessi personali ma strapiene di amore a cantare inni di gioia, di lode, di ringraziamento al Padre: come Gesù che prega e ringrazia il Padre per i suoi e per coloro che verranno per mezzo loro.
Il realizzo delle beatitudini deve essere la tappa iniziale della nostra fede e della nostra coscienza.

Mt 25,35-39
 Perché avevo fame, e voi mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato dell'acqua, ero straniero e mi avete ospitato nella vostra casa,
  ero nudo e mi avete dato dei vestiti, ero malato ed in prigione e siete venuti a trovarmi!"
 Queste persone giuste risponderanno: "Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere?
 Quando mai eri straniero e ti abbiamo aiutato? O eri nudo e ti abbiamo dato degli abiti?
 E quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti? 







       Lo riconobbero nello spezzare il Pane

venerdì 13 gennaio 2012

“Lo voglio, sii purificato”






Vangelo Mc 1, 40-45
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito, la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».

Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.


Un fatto molto semplice a prima vista: Gesù guarisce un lebbroso che lo supplica in ginocchio chiedendo la guarigione. E, “Lo voglio,sii purificato!”, e la lebbra scompare.
Poi Gesù ammonisce severamente il miracolato, lo caccia via con l’ordine di non dire niente a nessuno, ma di andare dai sacerdoti e fare la sua offerta come prescriveva la legge di Mosè.
Il lebbroso guarito fa tutto il contrario, sicuramente sarà andato dai sacerdoti e fatto la sua offerta e ottenere il certifica della guarigione.

Strano questo Gesù, perché  vuole che il miracolato taccia, perché lo caccia via? Ha forse paura di qualcuno o di qualcosa?

Gesù è all’inizio della sua predicazione, non vuole fare scalpore, creare entusiasmi facili, ma contemporaneamente si avvicina alla gente, parla, guarisce: Gesù cerca l’uomo, gli uomini, donne che vanno da lui per la novità di cui hanno sentito parlare, la novità del parlare e agire diversi, non come gli altri, la novità di un uomo che parla con autorità. Cercare l’uomo è il suo lavoro, il compito che il Padre gli ha assegnato
Nel brano che abbiamo letto, come in altri avvenimenti narrati dai vangeli, l’uomo guarito da Gesù ottiene una doppia guarigione; quella del corpo e quella dell’anima, un corpo sano e la fede in Lui.
Sono due cose che spontaneamente suscitano nella persona sentimenti di meraviglia, stupore, di lode e di ringraziamento, di voglia di fare sapere a tutti ciò che è successo: non facciamo anche noi lo stesso per un famigliare guarito dopo una brutta e lunga malattia? A tutti facciamo sapere della guarigione e forse, non sempre, parliamo anche del medico che l’ha curato.
Così fa il nostro ex lebbroso e fa tanto chiasso che Gesù stesso se ne meraviglia, ha il timore di tornare in città, non è ancora arrivato il tempo di tanti Osanna e di scalpore di popolo, non è ancora conosciuto abbastanza. Gesù attende tempi più maturi.
E come spesso farà dopo una giornata lunga e faticosa si ritira in luoghi appartati per pregare.

Ma la gente, sempre curiosa dinanzi a fatti eclatanti, vuole vedere, sentire la voce di Gesù: non aspetta che Gesù vada in città , lo va a cercare per vedere di persona Gesù, per magari…ottenere qualcosa.

Il lebbroso insegna: nella sua miseria aveva bisogno di tutto e di tutti, ma gli era proibito avvicinarsi nelle zone popolate pena la morte. Rompendo ogni indugio si fida di Gesù, crede in lui, va da lui…
Ritorna trasformato nel corpo e nello spirito. Diventa annunciatore di Gesù, tramite lui tanti altri crederanno in Gesù, Messia Redentore.




Forse noi ci sentiamo autosufficienti quando
abbiamo salute e di che vivere:

siamo tra coloro che pensano che Gesù non è venuto per noi?
 
Salute, vita sono doni di Dio,
la nostra fede è un dono di Dio:

come il lebbroso abbiamo tanto da gioire ,
ringraziare e

far sapere agli altri di Lui.


   

mercoledì 11 gennaio 2012

erano stupiti del suo insegnamento:

 Mc 1, 21-28

 In quel tempo,
Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafarnao, ] insegnava. Ed egli, infatti, insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.
Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».
La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.



Gesù inizia la sua vita pubblica: come altre volte avrà fatto, da vero israelita, entra di sabato nella sinagoga di Cafarnao. Questa volta però non è uguale alle altre: insegnava e stupiva, insegnava con autorità, con quella autorità che gli arriva dal Padre, difatti delle cose del Padre avrebbe dovuto interessarsi, come aveva detto a dodici anni a sua madre e a Giuseppe, suo padre putativo.
Sono presenti oltre a Gesù e ai presenti, forse degli Scribi e un uomo particolare posseduto dal demonio, che inveisce contro Gesù e contemporaneamente afferma di conoscere Gesù, il Santo di Dio che è venuto a rovinarli: una legione di demoni o un insieme di gente malvagia che rifiuta o rifiuterà la novità di Gesù che si sentirà in difetto nel futuro? Forse l’uno e l’altro.
Gesù taglia corto imponendo il silenzio a quell’uomo e liberandolo dal demonio: e tutti furono presi da timore, sorpresi anche dalla novità di comportamento e dall’insegnamento di Gesù.
E’ meraviglioso questo brano. Gesù è il protagonista, l’Uomo nuovo, degno di essere ascoltato, ammirato, di essere pubblicizzato.
Sì, perché la gente, quella semplice, che ha l’intuito, come i bambini, di carpire la semplicità e la verità in chi è semplice e veritiero, è il secondo vero protagonista di questo fatto che Marco ci ha tramandato.
Rimane stupita, finalmente Uno che parla come si deve, insomma uno che sa il fatto suo, che ha autorità: ci si può fidare di lui!
Meravigliata per un nuovo insegnamento, per un nuovo modo di essere di un uomo, Gesù, mai visto prima.
Presa da timore, che non è paura ma sentimento di fiducia, di consenso, di accettazione…
Presa da entusiasmo per Gesù, a tal punto che sente la necessità di farlo conoscere ad altro tanto che… La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

Noi uomini di oggi, forse non sentiremo mai parlare Gesù direttamente: per questo lui ha voluto tramandarci le sue parole e i suoi atti in modo che ci sentissimo beati perché, pur non avendo sentito e visto, abbiamo creduto.
Anche noi possiamo in qualsiasi momento ascoltare e abbracciare le parole e il sentire di Gesù, stupirci, meravigliarci, essere presi da timore, entusiasmarci per fare propria la novità di Gesù sempre attuale e sempre nuova; sentire la necessità di fargli “pubblicità”, annunciare e testimoniare il suo Vangelo.


lunedì 9 gennaio 2012

La lampada del corpo è il tuo occhio

Nessuno accende una lampada per metterla sotto il moggio

Lc 11 33-35 “ Nessuno accende una lampada e poi la mette in un luogo nascosto o sotto il moggio, ma sul candelabro, perché chi entra veda la luce.
La lampada del corpo è il tuo occhio. Quando il tuo occhio è semplice, anche il tuo corpo sarà luminoso; ma se è cattivo, tutto il tuo corpo è tenebroso. Bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra”.


Quando ero ragazzo, sentivo dire spesso che “ gli occhi sono lo specchio dell’anima”. Nei nostri occhi gli altri leggono la nostra anima, il nostro essere uomini buoni o cattivi; il nostro sguardo attento o distratto, presente o lontano, sguardo che sa ascoltare, sguardo stanco o annoiato, sguardo che si illumina ovvero spento, sguardo che ama o che odia. Chi di noi non fatto questa esperienza?

Gli occhi sono luce che il nostro corpo emana e rivela il nostro essere, luce che guida tutto il nostro corpo, le sue azioni fisiche e il nostro spirito.
Il nostro sguardo può essere offuscato o illuminato, può indicare bene o male dipende da dove lo puntiamo, cosa guardiamo, cosa vogliamo. Gi occhi sono uno specchio di quello che abbiamo dentro di noi, gli occhi parlano di noi.
Con gli occhi noi trasmettiamo noi stessi, gli occhi sono il nostro primo biglietto da visita.

“La lampada del corpo è l’occhio”: gli occhi sono una spia che si può accendere o spegnere; gli occhi vedono, ma soprattutto attraverso gli occhi si vede, si può trasmettere luce, occhi che irradiano e invitano ad un sorriso, occhi che si chiudono che nascondono qualcosa, rimangono nel buio.

“Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!”: un abisso che nascondiamo dentro di noi, una luce fatta morire, una strada da percorrere al buio che non possiamo vedere o mostrare. La luce avvicina, la tenebra allontana. Gli occhi che non lasciano entrare la luce sono specchio di un’anima che non ama.

“ Se il tuo occhio è semplice tutto il tuo corpo sarà luminoso”: occhi che trasmettono luce, che illuminano la strada da percorrere, da indicare ad altri. Gli occhi che permettono di fare entrare la luce sono specchio di un’anima che ama, che irradia.

Cosa vuol dirci Gesù usando questa parafrasi di luce e tenebra? E’ un invito a guardarci dentro e specchiarci verso l’esterno. Chi siamo, cosa trasmettiamo, da dove attingiamo luce o tenebra? Quale la nostra scelta?
L’apostolo Giovanni ci dice che Gesù è la luce che illumina ogni uomo…in Lui è la vita e la vita è la luce degli uomini. Gesù si propone all’uomo, lo invita a seguire la Luce, Dio amore.
Ci invita ad essere luce da far vedere, mostrare, testimoniare, luce che non va nascosta, luce che è e dà vita, luce che dà, comunica e condivide amore. Amore che ama altri fratelli, che fa crescere la comunità sull’esempio di Gesù che da dodici, diventano settantadue, poi migliaia e…continua a crescere.

Gesù che
“ venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio”Giov 1,11-12.)
Gesù si rivolge all’uomo, a tutto l’uomo, spirito e corpo, all’uomo libero di scegliere il bene come il male, di abbracciare la luce o la tenebra, di amare o odiare, e di conseguenza a tutta la persona e con la persona il senso e la direzione profonda della vita: una vita luminosa o una vita tenebrosa, farsi affascinare dalla luce o dall’inganno delle tenebre?

“Se un tempo eravate tenebre, ora siete luce del Signore, comportatevi perciò come figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre. Ma piuttosto condannatele apertamente… Per questo sta scritto: “Svegliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà” (Ef 5,8-14).

Ci affascini la Parola, la luce, l’Amore che rapisce e trascina.

Il Caso Castellucci


"Sul concetto di Volto nel Figlio di Dio": Giustamente il popolo cristiano risponde alla provocazione di Romeo Castellucci!




Non bisogna farne una crociata, né da una parte né dall'altra.

Però trovo strano chiamare chi protesta, perché ferito nella propria fede, chiamarlo integralista.

Gli altri, come possiamo chiamarli?

Chi protesta e chi oltraggia non hanno allora gli stessi diritti?

 Dove sta la verità, la libertà o ciò che è lecito per alcuni per altri non lo è?



O il cristiano, secondo alcuni deve sempre tacere, sopportare?  Siamo stati chiamati dalla stampa  “integralisti”, da giornalisti che forse non conoscono  il cristianesimo se non per sentito dire e vogliono a qualunque costo fare scoop, vendere le loro parole: questo sì è aberrante!
Chiedo agli autori: perché non provate a fare qualcosa del genere sull’Islam o Maometto? Allora ci sarebbe da...
Ma forse la colpa è anche di noi cristiani che non sappiamo mostrare, testimoniare quel Gesù Cristo che diciamo di seguire, di amare profondamente. Protestiamo pure, ma prima chiediamoci se siamo disposti a morire per la nostra fede.
Non invoco la guerra, ma un esame di coscienza da una parte e dall'altra.

Forse questo polverone che si è sollevato non è del tutto giustificabile. E' lecito intervenire, ma prima forse bisognerebbe documentarsi meglio.
Certe immagini possono essere discutibili forse da condannare apertamente, ma il contenuto?
Mi pare di aver capito ( mi piacerebbe vedere lo spettacolo) da una frase finale "Tu non sei il mio pastore"che qualcosa l'autore ha voluto trasmettere.

L'ebreo dell'antico testamento dimostra un bisogno di Dio o di altre divinità per necessità temporali, per giustizia e perdono, ma tra alti e bassi segue Dio.
L'uomo di oggi non sente questo bisogno. Il cristiano, forse per ignoranza o noncuranza, lascia da parte Dio, l'Uomo-Dio: ha altro a cui pensare, a Dio o agli dei sostituisce gli idoli, cose umane molto appetibili...
Cosa potrebbero essere questi idoli, abbracciati dal cristiano di oggi, se non tutto quel putridume che Castellucci butta addosso all'uomo Gesù, negando così la guida del Pastore, del Figlio dell'uomo?

Castellucci avrebbe potuto, se questo era il suo messaggio, fare di meglio. Ciò che ha fatto non induce certamente a pietà ma a sdegno: ma questo sdegno è corrisposto da una coscienza retta e pia?

Per correttezza, non avendo visto lo spettacolo) trascrivo questa presentazione in una locandina che ho trovato su internet (www.teatrocasaleccio.it): sarà la chiave di lettura dello spettacolo?

“Romeo Castellucci si rivolge ancora una volta a un’icona apicale della storia umana: Gesù. Nella performance “Sul concetto di Volto nel figlio di Dio” il ritratto di Gesù parte dalla pittura rinascimentale e in particolare nel momento topico dell’Ecce Homo. In questo preciso istante la tradizione vuole che il Cristo guardi negli occhi lo spettatore in un potente effetto di coinvolgimento drammatico di interrogazione. In questa confusione calcolata di sguardi che si toccano e si incrociano, il ritratto del Figlio di Dio diventa il ritratto dell’uomo, di un uomo, o perfino dello spettatore stesso. E così, nello spettacolo, lo sguardo di Cristo diventa una sorta di luce che illumina una serie di azioni umane, buone, cattive; schifose o innocenti”.


sabato 7 gennaio 2012

L'attimo dura solo un attimo... di Ernesto Olivero


L’attimo dura solo un attimo ma quell’attimo…
Di Ernesto Olivero, da “ Per una Chiesa scalza”.







“Penso ad un’altra visita, questa volta in carcere. Una ragazza molto giovane con un accappatoio bianco – arriva dalla doccia – mi si pianta davanti: vuole parlarmi. Non ho tempo per lei, perché devo andare ad un appuntamento. In quell’istante decido e do la precedenza all’incontro che ho davanti. Per far capire a quella ragazza che è tutto per me, giro l’orologio. E lei apre il cuore. A dodici anni è stata violentata, una storia incredibile la sua. A un certo punto si prende la testa fra le mani e mi dice: ” Ma che cavolo dico! Non ho mai raccontato a nessuno la mia vita, perché devo raccontarla a te?”.
Le rispondo: “ L’hai voluto tu, non sono io che ti ho fatto domande”.Lei ribatte: “ Già, tu avevi tempo per me, tu non guardavi l’orologio”. Quella frase mi cambiò la vita. Mi fece capire il valore di un minuto, l’importanza immensa dell’attimo presente.

L’attimo che hai davanti non è bello o cattivo, è l’attimo che diventa quello che tu veramente vuoi. L’attimo che hai davanti è sempre l’occasione per fare la rivoluzione, l’occasione per cambiare, l’occasione per capire una cosa nuova, l’occasione per chiedere scusa, l’occasione per volare.
E’ sempre un’occasione positiva, è sempre un ponte, non è mai una rottura. Non esiste la notte o il giorno, esiste il sì che prende vita in quel momento, esiste il sì che incoraggia in quel momento, quel sì che non indietreggia mai.

Se viviamo il momento presente con gli occhi di Dio, con gli occhi dei poveri, allora scopriamo che nel momento presente può esserci l’indicazione di chi si ama, di dove vogliamo andare. Il momento presente è l’incontro che ho con il Signore, col progetto che lui mi ha regalato, con l’umanità, con la natura. Ogni tempo è tempo di Dio, e ogni tempo è un’occasione perché Dio possa essere contento di noi.
Quando sono debole, qualcuno intorno a me può essere forte; quando uno sbaglia, qualcuno di noi può non giudicare; quando uno cade, qualcuno può soccorrere; quando uno è odioso, può avere qualcuno intorno che copre le odiosità.
Ogni tempo è un tempo in cui Dio può dire: “Sono contento dei miei figli, perché si stanno amando, si stanno aiutando e hanno fatto un passo in profondità che li avvicina di più a me e ai miei pensieri”.
Ogni tempo, anche il più apparentemente malvagio, può essere il tempo in cui Dio ci sta chiedendo qualcosa, ci sta facendo vedere qualcosa.

                                                        . . . . . . . . . . . . . . .. . . . .

Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Ernesto Olivero, tutti lo chiamano Ernesto. Ero andato ad una serata di preghiera presso L’arsenale della Pace a Torino. Avevo una gran voglia di parlargli, sentire la sua voce. Il salone era pieno zeppo. Molti si avvicinavano a lui per salutarlo, chiedere qualcosa.
Quando arrivò il mio turno feci come per andarmene ma qualcosa mi trattenne e mi feci coraggio. Mi presentai dicendo il motivo della mia presenza: la voglia di conoscerlo e di pregare assieme ai suoi ragazzi e i tanti giovani presenti quella sera.
Mi guardò, ascoltò. Poi, mi apparve molto timido e con voce bassa mi disse: “ C’è Dio qui, portalo sempre con te”.
Posso testimoniare che Ernesto è così come scrive, persona umile, semplice, uomo di molta fede.
Ho avuto l’impressione quella sera di avere stretto la mano ad un santo, tanta fu la mia commozione.

mercoledì 4 gennaio 2012


Io la vela, Tu il vento di Ernesto Olivero




La vela che vuole catturare il vento sta sempre in  alto aperta, distesa

e non importa se mostra i buchi di qualche incertezza o di qualche

infedeltà. Va avanti e non indietro.


La forza degli Arsenali ruota intorno al sì di migliaia di persone. Sono le decine di migliaia di persone disposte a dare tempo, denaro, professionalità. Tanti sì che si uniscono a quelli di chi ha donato tutta la vita. Nella Fraternità del Sermig c’è chi ha detto sì da giovanissimo.
A volte qualcuno mi chiede come sia possibile, come mai la nostra avventura continui ad affascinare tante persone. Anche io sono incantato a vedere certi sì. Sono incantato a pensare che certi amici, tanti amici, non hanno mai detto di no durante la vita. In tante occasioni mi sono accorto del sì di un amico che, pur stando male, era al suo posto e faceva il suo dovere, con la stessa grinta, con la stessa disponibilità come se fosse in piena forma. Non ci sono tante spiegazioni, se non una: le avventure di Dio si allargano, vanno là dove devono andare, perché i sì si uniscono ad altri sì. I sì per sempre diventano una vela e più la vela è larga più il vento la porta là dove vuole.

Un giorno, ricordo che vennero da me alcune persone a parlarmi di vocazione. Le aspettavo con gioia, ma mi accorsi subito di come, piuttosto che prendere il largo, stessero cercando di indirizzarsi verso un ormeggio: per esempio, un problema. Non ne ero sorpreso. Capita spesso che rimandiamo una chiamata che ci riguarda perché c’è un problema che ci frena. I problemi ci sono, inutile negarlo, fanno parte della vita, fanno parte della vocazione di ognuno, ma non sono la vocazione. Spesso nascono da egoismi non smascherati, dall’illusione che ci stiamo già consumando per Dio. Con la nostra intelligenza dovremmo smascherare queste nostre bugie e riderci sopra.

La vela che vuole catturare il vento sta sempre in  alto aperta, distesa e non importa se mostra i buchi di qualche incertezza o di qualche infedeltà. Va avanti e non indietro.
Sovente disponiamo la nostra vela in modo che il vento non la possa alimentare e preferiamo dare spazio ancora una volta all’illusione.

Per me la vita è amore. L’amore vero spinge sempre, l’amore vero fa ricominciare anche quando è appesantito dalla stanchezza e dalle delusioni. Per l’amore come per la vita la vela è importante. Se non c’è la vela il vento non ci porta al largo: Dio è il vento, io la vela. Da parte sua, l’amore resta sempre amore, come la vela resta sempre la vela. Bisogna difenderla perché, senza vela, il vento non ci porterà né al largo né a casa.

Con questa certezza, ogni uomo può cambiare attraverso il sì che ha detto. Nella mia esperienza, ho visto ragazzi qualunque diventare giganti. Ho visto impegni di due ore alla settimana portati a cento: novantotto ore in più di conoscenza, di riflessione, di amore. Una trasformazione che porta a scoprire la bellezza del dono di sé, della possibilità di alleviare una fatica, di consolare una persona triste. Una trasformazione che ti fa salvare un ragazzo solo perché lo hai conosciuto e gli hai dato una speranza per non uccidersi. Una trasformazione che ti fa vedere con chiarezza che nella solitudine non c’è un ponte, ma la strada della tua vita. Una trasformazione impossibile, umanamente parlando. Possibile, solo perché il sì è detto a Dio. Non a se stessi, ma alla felicità di fare felici gli altri”. da “Una chiesa scalza”.




Una trasformazione che ti fa vedere

con chiarezza

che nella solitudine

non c’è un ponte,

ma la strada della tua vita.