lunedì 28 novembre 2011

Se mi fosse concesso la notte di natale...aggirarmi per le strade...





Buon Natale: da uno scritto di don Tonino Bello





Se mi fosse concesso di lasciare nella mezzanotte il trasognato rapimento della liturgia, e aggirarmi per le strade della città, e bussare a tutte le porte, e suonare a tutti i campanelli, e parlare a tutti i citofoni, e dare una voce sotto ogni finestra illuminata, vorrei dire semplicemente così:

Buon Natale, gente! Il Signore è sceso in questo mondo disperato. E all'anagrafe umana si è fatto dichiarare con un nome incredibile: Emmanuele! Che vuol dire: Dio con noi. Coraggio! Ai tempi di Adamo, «egli scendeva ogni meriggio nel giardino a passeggiare con lui» (Gn 3,8). Ma ora ha deciso di starsene per sempre quaggiù, perché non si è ancora stancato di nessuno e continua a scommettere su di noi.


                    Mi chiedo, però, se questi auguri,
                     formulati così, magari all'interno di un piano-bar,
                     o di una sala-giochi, o di una discoteca,
                     o di un altro tempio laico dove la gente,
                      tra panettoni e champagne e luci psichedeliche
 sta trascorrendo la notte santa, siano capaci di reggere il fastidio degli atei, lo scetticismo degli scaltri, il sorriso dei furbi, la praticità di chi squalifica i sogni, il pragmatismo di chi rifiuta la poesia come mezzo di comunicazione.
Mi domando se gli auguri di Natale formulati così, magari all'interno della Stazione Centrale dove tanta gente alla deriva trova riparo dal freddo notturno nella sala d'aspetto (ma senza che aspetti più nulla e nessuno)..., faranno rabbia o tenerezza, susciteranno disprezzo o solidarietà, provocheranno discredito o lacrime di gioia.
Mi interrogo come saranno accolti questi auguri dalla folla dei nuovi poveri che il nostro sistema di vita ignora e perfino coltiva. Dagli anziani reclusi in certi ospizi o abbandonati alla solitudine delle loro case vuote. Dai tossico-dipendenti prigionieri di una insana voluttà di autodistruzione. Dagli sfrattati che imprecano contro il destino. Dagli ex carcerati che non trovano affetto. Dai dimessi degli ospedali psichiatrici che si aggirano come larve. Dagli operai in cassa integrazione senza



prospettive.
Dai disoccupati senza speranze.
Da tutta la gente, insomma, priva dell'essenziale: la salute,
la casa, il lavoro,
l'accesso alla cultura, la partecipazione.

Mi domando che effetto faranno gli auguri di Natale, formulati così, su tanta gente appiattita dal consumismo, resa satura dallo spreco, devastata dalle passioni. Sulla moltitudine di giovani incerti del domani, travagliati da drammi interiori, incompresi nei loro problemi affettivi. Sulle folle di terzomondiali che abitano qui da noi e ai quali ancora, con i fatti, non abbiamo saputo dimostrare di esser convinti che Gesù Cristo è venuto anche per loro.

Mi chiedo per quanti minuti rideranno dinanzi agli auguri di Natale, formulati così,
coloro che si sono costruiti idoli di sicurezza:
 il denaro, il potere, lo sperpero, il tornaconto,
 la violenza premeditata, l'intolleranza come sistema,
il godimento come scopo assoluto della vita.


E allora? Dovrei abbassare il tiro? Dovrei correggere la traiettoria e formulare auguri terra terra, a livello di tana e non di vetta, a misura di cortile e non di cielo?
No. Non me la sento di appiattire il linguaggio. Sono così denutrite le speranze del mondo, che sarebbe un vero sacrilegio se, per paura di dover sperimentare la tristezza del divario tra la formulazione degli auguri e il loro reale adempimento, mi dovessi adattare al dosaggio espressivo dei piccoli scatti o dovessi sbilanciarmi sul versante degli auspici con gli indici di prudenza oggi in circolazione.



Andiamo fino a Betlemme
Anzi, se c'è una grazia che desidero chiedere a Gesù che nasce, per me e per tutti,
è proprio quella di essere capace di annunciare,
con la fermezza di chi sa che non resteranno deluse,
speranze sempre eccedenti su tutte le attese del mondo.





Andiamo fino a Betlemme, come i pastori. Il volto spaurito degli oppressi,
la solitudine degli infelici, l'amarezza di tutti gli uomini della Terra,
sono il luogo dove Egli continua a vivere in clandestinità.
A noi il compito di cercarlo.
Mettiamoci in cammino senza paura. L'importante è muoversi.
E se invece di un Dio glorioso, ci imbattiamo nella fragilità
di un bambino, non ci venga il dubbio di aver sbagliato il percorso.
Il volto spaurito degli oppressi, la solitudine degli infelici,
l'amarezza di tutti gli uomini della Terra, sono il luogo dove Egli continua
a vivere in clandestinità.
A noi il compito di cercarlo.
Mettiamoci in cammino senza paura.
( Mons, Tonino Bello)

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