giovedì 9 giugno 2011

Il Maestro buono






Il Maestro buono
GESU` PREDICA INSEGNA E CURA

Giuseppe Tanzella-Nitti
Astronomo e ordinario
di teologia fondamentale
Pontificia Università della Santa Croce


Nel Nuovo Testamento Gesù è chiamato con frequenza Maestro, rabbì o didáskalos, in ebraico o in greco. Un maestro per la verità un po’ speciale perché non possiede una scuola residenziale, come gli altri rabbini, bensì una scuola itinerante, nella quale insegna partendo dall’esperienza di vita, giudicando gli avvenimenti e svelando i pensieri dei cuori. Un maestro che si trattiene volentieri a spiegare le cose in famiglia, attorno ad una tavola, o seduto sull’erba.

In una di queste circostanze, un giovane ricco, diremmo oggi apparentemente soddisfatto di quanto la vita gli ha dato, si rivolge a Gesù chiamandolo “Maestro buono” e gli chiede cosa debba fare per ottenere la vita eterna (cfr. Mc 10,17-20). È ben nota la risposta di Gesù. Questi gli propone una donazione totale a Dio e agli altri che spiazza il giovane, il cui attaccamento alle ricchezze gli impedisce, almeno in quel momento, di seguirlo. Egli si allontana con tristezza, facendo resistenza al proprio cuore che forse vorrebbe espandersi nella generosità e nel dono di sé. Nella lettera che indirizzò ai giovani il 31 marzo 1985, Giovanni Paolo II commenta questo episodio. «Cristo risponde al suo giovane interlocutore nel Vangelo — affermava il Papa in quell’occasione — dicendo: “Nessuno è buono, se non Dio solo”. Abbiamo già sentito che cosa l`altro aveva domandato: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Come agire, affinché la mia vita abbia senso, pieno senso e valore? Noi potremmo tradurre così la sua domanda nel linguaggio della nostra epoca.

In questo contesto la risposta di Cristo vuol dire: solo Dio è il fondamento ultimo di tutti i valori; solo lui dà il senso definitivo alla nostra esistenza umana. Solo Dio è buono, il che significa: in lui e solo in lui tutti i valori hanno la loro prima fonte e il loro compimento finale […]. Senza il riferimento a Dio, l`intero mondo dei valori creati resta come sospeso in un vuoto assoluto. Esso perde anche la sua trasparenza, la sua espressività. Il male si presenta come bene e il bene viene squalificato. Non ci indica questo l`esperienza stessa dei nostri tempi, dovunque Dio sia stato rimosso oltre l`orizzonte delle valutazioni, degli apprezzamenti, degli atti?».

Non basta essere maestri, ma occorre che chi insegna lo faccia ad immagine di Dio che è l’unico Buono, avendo il coraggio, in quanto maestro, di ancorarsi alla Verità con la maiuscola, non temendo di far riflettere i suoi discepoli sulle domande importanti. 

Domande che forse feriscono perché scomode; eppure, le uniche che contano perché aiutano a chiarire ciò che rende felice, distinguendolo da ciò che abbaglia o seduce ma poi svanisce. E proprio perché buono, il maestro deve fare in modo che la Carità informi tutto ciò che trasmette, una carità con la maiuscola perché non si riferisce solo alla condivisione materiale, ma indica anche la partecipazione spirituale di quanto l’intelletto ha maturato con sforzo, onestà e applicazione.
Gli unici maestri che a distanza di anni ricordiamo sono quelli i cui insegnamenti sapevano coniugare verità e carità, maestri buoni, immagine, talvolta perfino inconsapevole, di colui che è Buono. Sono coloro che insieme alle nozioni (ormai in buona parte dimenticate) non hanno temuto di trasmetterci anche orientamenti di vita, giudizi di valore, posizioni esistenziali di fronte alle domande più importanti, magari mostrandoci con intelligenza che ogni disciplina, anche quelle in apparenza “meno umanistiche”, suscitano sempre interrogativi che rimandano al mondo dell’umano, e pertanto al mondo di Dio.

Come fare perché anche oggi il maestro sappia riferire il discepolo a questa Bontà che dà fondamento ad ogni sapere, rimuovendo la quale — come affermava Giovanni Paolo II — l’intero mondo dei valori creati sprofonda nel vuoto assoluto?


Chi voglia imitare Gesù in questo compito, difficile ma entusiasmante, troverà nei Vangeli tre verbi sempre insieme, i tre verbi di azione che più di altri hanno Gesù come soggetto: predicare, insegnare, curare (cfr. Mt 4,23). Gesù predica, insegna, cura. Insegna con un’autorità che i suoi contemporanei associano alla sua coerenza di vita e non solo al ruolo di rabbi (cfr. Mt 7,28-29). Gesù cura, sana. Oggi il maestro deve avere il coraggio di chinarsi sul discepolo e di curarlo dai condizionamenti e dalle seduzioni, dalla debolezza della libertà e dalla superficialità dei giudizi, dagli inganni di ciò che non è buono e non è vero. Omettere di farlo, non sarebbe agire come maestro buono.
Giuseppe Tanzella-Nitti  da PiùVoce.Net

Nessun commento:

Posta un commento