lunedì 13 giugno 2011

Genitori e figli: l'esempio che trascina


L’esempio che trascina



“ Orientare i figli al bene significa aiutarli a diventare persone buone, corrette ed oneste”

E’ opinione diffusa che, mentre la buona educazione e le buone maniere debbano essere insegnate ai figli dai genitori, l’educazione religiosa debba invece essere competenza di terzi: del parroco, delle catechiste, dagli animatori.

Il documento di programmazione dei prossimi dieci anni proposto dai vescovi italiani dal titolo “Educare alla vita buona del Vangelo” sottolinea questa preoccupante situazione.

Un’ora alla settimana non è sufficiente per far maturare nei bambini il desiderio di crescere nella fede. Anzi, tornando a casa e vedendo il disimpegno dei familiari, penseranno che quanto hanno appreso all’oratorio non è degno di essere approfondito e vissuto.



La trasmissione della fede è avvenuta per due millenni in stretta collaborazione tra la famiglia e la Chiesa. Senza l’aiuto della famiglia, la Chiesa può fare poco. In un contesto sociale e culturale ormai scristianizzato, le nuoce generazioni rischiano seriamente di crescere senza valori, perché non li hanno conosciuti.

A noi genitori spetta, quindi, una grande responsabilità. La nascita di un figlio trasforma l’esistenza del padre e della madre, invadendoli di una grande gioia, ma caricandoli anche, di doveri ben precisi. Perché questa paternità e maternità non diventino, però, un peso è necessario viverle nella prospettiva di una missione, dove amare i figli come Dio li ama, seguendoli e accompagnandoli  come Lui li segue, significa condividere con il Signore questa opera stupenda, aiutandoli a portare alla maturazione le loro enormi potenzialità e la loro  vera vocazione. I figli hanno nei loro genitori il punto di riferimento ed il modello a cui ispirarsi.



Pertanto, oltre all’attenzione per la formazione intellettuale e fisica, alle quali siamo tutti molto attenti e rigorosi, bisogna affiancare quella affettiva e morale. Educare a ricevere e donare amore, significa prepararli ad affrontare positivamente le vicende della vita; pena una fragilità psicologica e morale, di tragica attualità nella cronaca quotidiana.

Educare alla libera volontà significa, quindi, abituarli alla disciplina, all’applicazione ed alla rinuncia, per arrivare ad un bene più grande.



Tutti noi vorremmo avere la certezza che i nostri sforzi educativi producano dei frutti. Gesù, nella parabola del buon seminatore, ci ricorda però che, nonostante tutto il nostro impegno, il seme dei buoni insegnamenti non sempre viene accolto nel terreno dei figli.

Questo non ci deve scoraggiare perché, anche nell’insuccesso momentaneo, il bene rimane e può manifestarsi nei tempi e nei modi che il Signore vorrà. Orientare i figli al bene significa aiutarli a diventare persone buone, corrette ed oneste, guidati dalla coscienza, che è la voce di Dio nel cuore dell’uomo, nel praticare la giustizia e l’amore ed a fare opera di discernimento fra il bene e il male.



I bambini crescono bene se il contesto familiare è ricco di valori; il primo insegnamento è quindi l’esempio. I nostri figli ci osservano e ci ascoltano sempre, con grande attenzione, fin dai primi anni di vita, ed è perciò, attraverso il nostro amore di coppia, che possiamo alimentare la fiducia nel matrimonio e nella famiglia.

Succede, alle volte, che siano i nostri figli a costringerci a scuotere la polvere di dosso ed a uscire dalla mediocrità in cui ci siamo adagiati, stimolandoci con domande e riflessioni alle quali siamo in dovere di rispondere, anche con una buona dose di umiltà, ritrovando insieme il vero senso della vita che Dio ci ha donato. Parlare ai figli di Dio è un compito fondamentale dei genitori, partendo dalle bellezze del creato, per arrivare al loro cuore. La scoperta di Dio dentro di sé e l’apertura della porta ad un amico fedele che non li abbandonerà mai, è quanto di più bello possano regalare i genitori ai loro figli.



Anche nel campo dell’educazione sessuale la famiglia ha un ruolo fondamentale. L’esempio dei genitori nel vivere la fedeltà, la tenerezza e la purezza, insegnerà ai figli il rispetto del loro corpo e quello degli altri, imparando poco alla volta, la difficile “arte di amare”. Infine nel giusto e corretto utilizzo dei mass media, dalla televisione alla navigazione su internet, occorre una vigilanza continua, perché i figli, soprattutto durante l’adolescenza, sono aperti a tutti gli influssi, sia positivi che negativi.



Spegnere un po’ la televisione e pregare con tutta la famiglia è un dono ed un momento di grande grazia per tutti i componenti. Questo dialogo con Dio va continuamente alimentato: come il nostro corpo ha bisogno di  nutrirsi, così la nostra anima, per alimentare la sua forza spirituale, non può fare ameno della preghiera.

Per leggere la Bibbia non c’è bisogno di studi particolari, sono sufficienti i commenti introduttivi delle varie edizioni; c’è bisogno invece, di buona volontà soprattutto dello Spirito Santo, da invocare sempre nella preghiera, affinché ci indichi la giusta comprensione e ci aiuti a fare cerniera tra la nostra vita quotidiana ed il percorso di conversione a cui siamo chiamati ogni giorno…



Nel cammino di fede non dobbiamo nascondere ai nostri figli che la via del bene, come ci ha insegnato Gesù stesso, a prima vista sembra la più difficile, perché è stretta ed in salita e richiede un po’ di sacrificio, ma in compenso è l’unica via che fa di noi delle persone buone e giuste e ci fa sentire tanta gioia e pace nel cuore.

Per questo vale la pena metterci in gioco, tutti insieme, Chiesa, genitori e figli, ricordando sempre il detto latino: “Le parole insegnano, gli esempi trascinano”.



Corrado e Nicoletta Demarchi, responsabili dell’ufficio diocesano per la pastorale familiare della diocesi di Pinerolo (TO). Pubblicato da “Vita diocesana”Pinerolese 03 aprile 2011





Voglio sinceramente sperare che la Chiesa tutta si muova presto e diligentemente nel piano decennale che la CEI ha emanato col documento “ Educare alla vita buona del Vangelo”. Non sarà una passeggiata, ci vorrà tanta buona volontà e pazienza , costanza e fiducia : le parrocchie sono chiamate in prima linea a lavorare sodo coinvolgendo le famiglie, gli operatori di catechesi. Al bando lo scoraggiamento, c’è una Chiesa da ringiovanire, renderla più presente e attiva in un mondo che vediamo sempre meno cristiano e poco presente.

Pensaci: tocca a me, a te farsi avanti!







sabato 11 giugno 2011

Dio, nostro Padre. Preghiera di Giovanni Paolo II, beato

Dio, nostro Padre

D
io, nostro Padre,
manda il tuo Spirito
e rendici testimoni ardenti
del messaggio di salvezza del Vangelo
per condividere con gli altri
la carità che alimenta la vita,
la fede che professa l'amore,
la speranza che consola ogni cuore.

F
acci comprendere
che vale la pena di donare
interamente la vita per te
e per l'umanità
che invoca solidarietà e pace,
verità e amore.

T
i preghiamo, Padre buono,
dona a noi la tua benedizione
perchè possiamo contribuire
alla costruzione della civiltà dell'amore
nella piena attuazione della giustizia,
della libertà e della pace.


Beato Giovanni Paolo II, pubblicato da Pastorale &Spiritualità

giovedì 9 giugno 2011

Il Maestro buono






Il Maestro buono
GESU` PREDICA INSEGNA E CURA

Giuseppe Tanzella-Nitti
Astronomo e ordinario
di teologia fondamentale
Pontificia Università della Santa Croce


Nel Nuovo Testamento Gesù è chiamato con frequenza Maestro, rabbì o didáskalos, in ebraico o in greco. Un maestro per la verità un po’ speciale perché non possiede una scuola residenziale, come gli altri rabbini, bensì una scuola itinerante, nella quale insegna partendo dall’esperienza di vita, giudicando gli avvenimenti e svelando i pensieri dei cuori. Un maestro che si trattiene volentieri a spiegare le cose in famiglia, attorno ad una tavola, o seduto sull’erba.

In una di queste circostanze, un giovane ricco, diremmo oggi apparentemente soddisfatto di quanto la vita gli ha dato, si rivolge a Gesù chiamandolo “Maestro buono” e gli chiede cosa debba fare per ottenere la vita eterna (cfr. Mc 10,17-20). È ben nota la risposta di Gesù. Questi gli propone una donazione totale a Dio e agli altri che spiazza il giovane, il cui attaccamento alle ricchezze gli impedisce, almeno in quel momento, di seguirlo. Egli si allontana con tristezza, facendo resistenza al proprio cuore che forse vorrebbe espandersi nella generosità e nel dono di sé. Nella lettera che indirizzò ai giovani il 31 marzo 1985, Giovanni Paolo II commenta questo episodio. «Cristo risponde al suo giovane interlocutore nel Vangelo — affermava il Papa in quell’occasione — dicendo: “Nessuno è buono, se non Dio solo”. Abbiamo già sentito che cosa l`altro aveva domandato: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Come agire, affinché la mia vita abbia senso, pieno senso e valore? Noi potremmo tradurre così la sua domanda nel linguaggio della nostra epoca.

In questo contesto la risposta di Cristo vuol dire: solo Dio è il fondamento ultimo di tutti i valori; solo lui dà il senso definitivo alla nostra esistenza umana. Solo Dio è buono, il che significa: in lui e solo in lui tutti i valori hanno la loro prima fonte e il loro compimento finale […]. Senza il riferimento a Dio, l`intero mondo dei valori creati resta come sospeso in un vuoto assoluto. Esso perde anche la sua trasparenza, la sua espressività. Il male si presenta come bene e il bene viene squalificato. Non ci indica questo l`esperienza stessa dei nostri tempi, dovunque Dio sia stato rimosso oltre l`orizzonte delle valutazioni, degli apprezzamenti, degli atti?».

Non basta essere maestri, ma occorre che chi insegna lo faccia ad immagine di Dio che è l’unico Buono, avendo il coraggio, in quanto maestro, di ancorarsi alla Verità con la maiuscola, non temendo di far riflettere i suoi discepoli sulle domande importanti. 

Domande che forse feriscono perché scomode; eppure, le uniche che contano perché aiutano a chiarire ciò che rende felice, distinguendolo da ciò che abbaglia o seduce ma poi svanisce. E proprio perché buono, il maestro deve fare in modo che la Carità informi tutto ciò che trasmette, una carità con la maiuscola perché non si riferisce solo alla condivisione materiale, ma indica anche la partecipazione spirituale di quanto l’intelletto ha maturato con sforzo, onestà e applicazione.
Gli unici maestri che a distanza di anni ricordiamo sono quelli i cui insegnamenti sapevano coniugare verità e carità, maestri buoni, immagine, talvolta perfino inconsapevole, di colui che è Buono. Sono coloro che insieme alle nozioni (ormai in buona parte dimenticate) non hanno temuto di trasmetterci anche orientamenti di vita, giudizi di valore, posizioni esistenziali di fronte alle domande più importanti, magari mostrandoci con intelligenza che ogni disciplina, anche quelle in apparenza “meno umanistiche”, suscitano sempre interrogativi che rimandano al mondo dell’umano, e pertanto al mondo di Dio.

Come fare perché anche oggi il maestro sappia riferire il discepolo a questa Bontà che dà fondamento ad ogni sapere, rimuovendo la quale — come affermava Giovanni Paolo II — l’intero mondo dei valori creati sprofonda nel vuoto assoluto?


Chi voglia imitare Gesù in questo compito, difficile ma entusiasmante, troverà nei Vangeli tre verbi sempre insieme, i tre verbi di azione che più di altri hanno Gesù come soggetto: predicare, insegnare, curare (cfr. Mt 4,23). Gesù predica, insegna, cura. Insegna con un’autorità che i suoi contemporanei associano alla sua coerenza di vita e non solo al ruolo di rabbi (cfr. Mt 7,28-29). Gesù cura, sana. Oggi il maestro deve avere il coraggio di chinarsi sul discepolo e di curarlo dai condizionamenti e dalle seduzioni, dalla debolezza della libertà e dalla superficialità dei giudizi, dagli inganni di ciò che non è buono e non è vero. Omettere di farlo, non sarebbe agire come maestro buono.
Giuseppe Tanzella-Nitti  da PiùVoce.Net

mercoledì 8 giugno 2011

Preghiere allo Spirito Santo

Domenica 12 giugno celebriamo e ricordiamo il dono di Gesù dopo la sua dipartita dalla terra: lo Spirito Santo, inviato per farci ricordare e spiegare tutto quello che Gesù ha fatto e detto per la nostra salvezza. A chi lo invoca Lo Spirito Santo, che rimarrà con noi fino alla fine dei secoli, con i suoi doni e consigli lo condurrà senz'altro al tanto sospirato atteso Regno dei cieli.


Spirito Santo
Contemplarti, vuol dire immergere il nostro sguardo nell'invisibile, nella profondità del mistero di Dio.
Tu non hai un volto umano come il Cristo del Vangelo né le sembianze del Padre; ma rinunciando a raffigurarti in qualche modo, noi vogliamo aderire a te con tutte le nostre forze.
Tu non hai volto perché sei il fuoco dell'amore, che unisci il volto del Padre e del Figlio, per formarne uno solo in una fusione sublime.
Tu vivi nei volti altrui, quasi fossi la loro vita più segreta, e sei tu che ci riveli il volto autentico del Salvatore come pure quello del Padre Celeste.
Tu sei un abisso di profondità, abisso inafferrabile e inesprimibile, che non può essere raffigurato con lineamenti definiti.
Tu sei il soffio che emana dal Padre e dal Figlio e viene ad animare il nostro spirito per dare la sua impronta alla nostra fisionomia spirituale.
Tu sei il respiro dell'anima nostra, la scintilla del nostro pensiero, l'impulso della nostra volontà, lo slancio del nostro amore.
Tu sei la vita divina che viene a farci vivere di Cristo, che invade il nostro essere per trasfigurarlo.
Tu sei così infinitamente superiore a noi; non risiedi in una lontananza astratta, ma nel palpito concreto della nostra esistenza.
Contemplarti vuol dire lasciarsi penetrare da questa onda d'amore che invade e afferra tutta la nostra persona umana.
 

(autore sconosciuto)





martedì 7 giugno 2011

Lettera aperta ai bambini del terzo mondo, di Don Tonino Bello

Unicef rovesciato

 E quegli occhi immensi...si spalancherebbero...



Cari bambini,

 che aspettate a costituire un organismo internazionale che raccolga fondi a favore degli adulti occidentali?
Sì, una specie di UNICEF rovesciato,
in cui protagonisti siate voi
e destinatari siano i grandi.

Perché, vedete, la televisione ci mostra ogni tanto i corpi denutriti dei bambini di Etiopia. Ci presenta le membra di tanti innocenti disfatti dalla miseria.
Pretende di commuoverci con le immagini di innumerevoli creature scarnificate dalla malattia.
Ci ferma la digestione con le sequenze di fanciulli devastati dalla fame nel Sudan o nell'Amazzonia, nel
Bangladesh o nello Sri lanka.
Ma se ci fossero gli strumenti adatti per portare sullo schermo le piaghe dell'anima adulta, sono certo che sareste voi a muovervi a pietà. E quegli occhi immensi, l'unica cosa splendida che vi è rimasta sul corpo martoriato, si spalancherebbero ancora di più in un raptus di compassione.

Fate presto, bambini,
inventate una specie di UNICEF  a favore degli adulti.
Finanziate per noi, con una questua di valori umani, un programma di emergenza alimentare, di cui siano companatico la tenerezza e la giustizia.
Raccogliete gli scampoli superflui della vostra innocenza, i ritagli della vostra limpidezza, gli spezzoni eccedenti della vostra voglia di vivere. Ne avete tanta!
Fate una colletta dei vostri sogni impossibili.
Raccattate i residui delle vostre illusioni.
E inviateci subito il pacco dono della vostra misericordia. A noi adulti è più necessario di quanto non siano necessari a voi i contenitori confezionati delle nostre proteine.
Perché voi, bambini del Terzo Mondo, avete bisogno delle nostre calorie.
Ma noi grandi, figli dell'opulenza e inquilini di uno squallido Terzo Mondo morale, abbiamo bissogno del vostro calore.

Fate presto, perché qui si muore.