giovedì 21 aprile 2011

Il calvario tre giorni dopo, di don Tonino Bello

Buona Pasqua: Il calvario tre giorni dopo

Se è lecito esprimere delle preferenze, quella che mi commuove di più è l’apparizione a Maria di Magdala, piangente accanto al sepolcro vuoto. Le si avvicina Gesù e le dice: “Perché piangi?”. Donna, le tue lacrime non hanno più motivo di scorrerti dagli occhi. A meno che tu non pianga per gioia o per amore.


Vedi: la collina del Calvario, che l’altro ieri sera era solo un teschio coperto di fango, oggi si è improvvisamente allagata di un mare d’erba. I sassi si sono coperti di velluto. Le chiazze di sangue sono tutte fiorite di anemoni e asfodeli. Il cielo, che venerdì era uno straccio pauroso, oggi è limpido come un sogno di libertà. Siamo appena al terzo giorno, ma sono bastate queste poche ore perché il mondo facesse un balzo di millenni.


No, non misurare sui calendari dell’uomo la distanza che separa quest’alba luminosa dal tramonto livido dell’ultimo venerdì. Non è trascorso del tempo: è passata un’eternità. Donna, tu non lo sai: ma oggi è cominciata la nuova creazione.


Cari amici, nel giorno solennissimo di Pasqua anch’io debbo rivolgere a ciascuno di voi la stessa domanda di Gesù: “Perché piangi?”


Le tue lacrime non hanno più motivo di scorrerti dagli occhi. A meno che non siano l’ultimo rigagnolo di un pianto antico.


O l’ultimo fiotto di una vecchia riserva di dolore da cui ancora la tua anima non è riuscita a liberarsi.


Lo so che hai buon gioco a dirmi che sto vaneggiando. Lo so che hai mille ragioni per tacciarmi di follia. Lo so che non ti mancano gli argomenti per puntellare la tua disperazione. Lo so.


Forse rischio di restare in silenzio anch’io, se tu mi parli a lungo dei dolori dell’umanità: della fame, delle torture, della droga, della violenza. Forse non avrò nulla da replicarti se attaccherai il discorso sulla guerra nucleare, sulla corsa alle armi o, per non andare troppo lontano, sul mega poligono di tiro che piazzeranno sulle nostre terre, attentando alla nostra sicurezza, sovvertendo la nostra economia e infischiandosene di tutte le nostre marce della pace.


Forse rimarrò suggestionato anch’io dal fascino sottile del pessimismo, se tu mi racconterai della prostituzione pubblica sulla statale, del dilagare dei furti nelle nostre case, della recrudescenza di barbarie tra i minori della nostra città.


Forse mi arrenderò anch’io alle lusinghe dello scetticismo, se mi attarderò ad ascoltarti sulle manovre dei potenti, sul pianto dei poveri, sulla miseria degli sfrattati, sulle umiliazioni di tanta gente senza lavoro.


Forse vedrai vacillare anche la mia speranza se continuerai a parlarmi di Teresa che, a trentacinque anni, sta morendo di cancro. O di Corrado che, a dieci, è stato inutilmente operato al cervello. O di Lucia che, dopo Pasqua, farà la Prima Comunione in casa perché in chiesa, con gli altri compagni, non potrà andarci più. O di Nicola e Annalisa che, dopo tre anni di matrimonio e dopo aver messo al mondo una creatura, se ne sono andati ognuno per la sua strada, perché non hanno più nulla da dirsi.


Queste cose le so: ma io voglio giocarmi, fino all’ultima, tutte le carte dell’incredibile e dire ugualmente che il nostro pianto non ha più ragione di esistere.


La Resurrezione di Gesù ne ha disseccate le sorgenti. E tutte le lacrime che si trovano in circolazione sono come gli ultimi scoli delle tubature dopo che hanno chiuso l’acquedotto.


Riconciliamoci con la gioia.


La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi e perfino la morte, dal versante giusto: quello del “terzo giorno”.


Da quel versante, il luogo del cranio ci apparirà come il Tabor. Le croci sembreranno antenne, piazzate per farci udire la musica del Cielo. Le sofferenze del mondo non saranno per noi i rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto.


E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani crocifisse, saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo!


BUONA PASQUA! – Don Tonino Bello

mercoledì 20 aprile 2011

Coraggio fratello che soffri. C'è anche per te una deposizione dalla croce.

La quaresima, tempo di attesa della Pasqua è quasi finito. Abbiamo riflettuto sulla passione e morte di Gesù, sulla nostra vita di credenti, ci siamo confrontati con la Parola che ci è pervenuta tramite Gesù. Ci siamo chiesti sicuramente se siamo stati capaci di portare la nostra croce come Gesù ci chiede.
Forse la croce più difficile da protare è quella della sofferenza. Forse non ci siamo soffermati a riflettere che la sofferenza, qualunque essa sia, non può durare per sempre, che atraverso di essa saremo chiamati "beati": la risurrezione di Gesù ci dà questa garanzia.
Guardando la croce, il Crocifisso e la sua passione, bisogna abituarsi a pensare alla Risurrezione.
Con questo articolo, che propongo all nostra riflessione, don Tonino Bello ci invita a tirare fuori dalla nostra anima tutto il coraggio per non disperarare, non angosciarci, vivere di fede ponendo tutta la nostra fiducia in Gesù: anche per noi ci sarà "una deposizione dalla croce", la fine dei nostri "guai".



COLLOCAZIONE PROVVISORIA



"Nel Duomo vecchio di Molfetta c'è un grande crocifisso di terracotta. L'ha donato, qualche anno fa, uno scultore del luogo. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l'ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: “collocazione provvisoria”.


La scritta che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell'opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso da lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito.


Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce, non solo quella di Cristo. Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato su una carrozzella. Animo, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell'abbandono. Non ti disperare, madre dolcissima, che hai partorito un figlio focomelico. Non imprecare, sorella, che ti vedi distruggere giorno dopo giorno da un male che non perdona. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi amici.


Non angosciarti, tu che per un tracollo improvviso vedi i tuoi beni pignorati, i tuoi progetti in frantumi, le tue fatiche distrutte. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Non abbatterti, fratello povero, che non sei calcolato da nessuno, che non sei creduto dalla gente e che, invece del pane, sei costretto a ingoiare bocconi di amarezza. Non avvilirti, amico sfortunato, che nella vita hai visto partire tanti bastimenti, e tu sei rimasto sempre a terra.


Il calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio. Anche il vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della croce. Coraggio. La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre è sempre "collocazione provvisoria".


Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia: "Da mezzanotte fino alle tre di pomeriggio, si fece buio su tutta la terra". Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell'uomo. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell'orario, c'è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio. 

Coraggio fratello che soffri. C'è anche per te una deposizione dalla croce. C'è anche per te una pietà sovrumana. Ecco già una mano forata che schioda dal legno la tua. Ecco un volto amico, intriso di sangue e coronato di spine, che sfiora con un bacio la tua fronte febbricitante. Ecco un grembo dolcissimo di donna che ti avvolge di tenerezza. Tra quelle braccia materne si svelerà, finalmente, tutto il mistero di un dolore che ora ti sembra un assurdo. Coraggio. Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali e il sole della pasqua irromperà tra le nuvole in fuga .

+Don Tonino Bello


martedì 19 aprile 2011

Tra il sì e il no ci sei di mezzo...tu

MESSAGGIO A UN GIOVANE

di don Carlo Terraneo, bollettino salesiano aprile 2011


Tra il sì e il no ci sei di mezzo...tu


Premetto: ho una strana percezione nell’avventurarmi a parlare del sì e del no come espressione della nostra identità. Il sì e il no sono i battiti di uno stesso cuore: il coraggio di dire no per la gioia di poter dire sì. Guardandomi attorno e vedendo quello che succede, ho la sensazione che il sì e il no siano stati costretti ad emigrare. Sono stati esiliati dall’anima nostra, dalla nostra sensibilità di fronte all’ingiustizia, alla corruzione. Al loro posto la sfrontatezza, l’entrata in campo di ogni altra realtà che non sia l’educazione, il bon ton, il pudore, la decenza, il rispetto.


Il sì e il no devono tornare a casa. Sì all’amore, alla famiglia, ai figli. Sì al futuro. Sì all’impegno, al dono di sé, alla vita.
Sìiiiiiiiiiiiiiiii.
Ho tanta voglia di vivereeeeeeeeeee.


No alla violenza, al malaffare, alla menzogna. No alle carte truccate,
al gossip.
Noooooooooo.
Non voglio vivere in qualche modo. Voglio amareeeeeeeeeee.


Dire no è liberatorio. Dire sì è creativo.


Il sì e il no sono il filo conduttore della nostra vita e della nostra identità. Sono la messa a terra per scaricare l’alta tensione delle nostre emozioni. Il sì e il no non vanno messi uno contro l’altro, il voltaggio emotivo è molto alto e a rischio, se non interviene il no e il sì.


Parliamo del NO
È complicato dirlo, ma va detto. Una palla di neve diventa una valanga se la lasci scendere da un alto pendio. A fine corsa, fermarla è impossibile.
è antipatico dire no? Ci facciamo aiutare da altre parole che fanno da contrafforte e ti aiutano per la rincorsa: assolutamente, no; nel modo più assoluto, no. è categorico, no.
Se il sì ti rende felice, il no ti permette di esserlo. Se dici sì all’amore devi dire no a tutto quello che viaggia in senso contrario. Il sì è sempre preceduto da qualche no.
Per dire sì – mi confidava un giovane prima di entrare in Seminario – ho dovuto dire in una sola volta tre no.
No ai soldi. No al sesso. No al successo.
Non puoi conquistare una vetta se non riesci a negarti la pigrizia, l’ozio, il quieto vivere.


E il Sì?
Il sì ha confini precisi, articolati, chiari. Non puoi scantonare. Fa parte di un lessico ideale, luminoso; a prima vista indica forza, carattere. Appartiene ai progetti. Benvenuto quando bussa alla nostra porta. Bentornato quando ad accoglierti trovi il no che ti ha permesso di entrare senza incontrare ostacoli di sorta.


Il sì e il no sono il testa e croce di una stessa moneta: il primo è succedaneo al secondo.


Il no è il sasso nella fionda per abbattere il gigante a te ostile.


Il sì è la freccia per andare a bersaglio e fare centro.



Ricordati che tra il sì e il no ci vai di mezzo TU.

mercoledì 13 aprile 2011

Una catechista a Gesù: me la posso filare?

Gesù, me la posso filare?di Tonino Lasconi "Doppio clic sulla catechesi".




Caro Gesù, ascoltami!


Ho promesso ai bambini e ai ragazzi che mi sono affidati
di servirli meglio con la mia catechesi.
Però...


L'anno scorso non ho combinato niente.
I bambini non mi sono mai stati a sentire,
mi hanno fatto urlare tutto il tempo.
Non ho potuto mai portare a termine ciò che avevo programmato.


Il parroco non mi ha aiutato come aveva promesso.


Gli altri catechisti...
si era detto di lavorare insieme,
invece ognuno se ne è andato per conto suo.


Caro Gesù, ascoltami!
Me la posso filare?
Posso lasciare il mio posto a qualcun altro
probabilmente più preparato e capace di me?


"Caro catechista, ti ho ascoltato.
E adesso cosa dovrei fare?"


" Beh, caro Gesù, mi pare chiaro.
Dovresti darmi il coraggio di dire al parroco che, quest'anno,
per il catechismo si trovi qualcun altro".


" Ho capito.
Senti un po'!
Ricordi quale fu il bilancio del mio catechismo
dopo tre anni di...catechismo?"


" Da quel che ricordo
non mi pare fosse meglio del mio. Anzi..."


" E tu credi che io possa darti il coraggio di fare quialcosa
per la quale non ho avuto il coraggio di chiedere al Padre
che desse a me il coraggio di farla?"


"Gesù, che cos'è un indovinello?
Non ho capito niente".


"Pensa, capisci e poi torna a pregare".

Lettera di un bambino ai genitori: ricomincia il catechismo

Cari genitori, di Antonino Lasconi "Doppio clic sulla catechesi"




Posso chiedervi una cosa?
Ve la chiedo: "Non mi mandate al castechismo!"
Non mi piace che...mi mandiate,
...In nessun posto!
Né al catechismo, né in quel paese.


Cari genitori, non mi portate al catechismo.
Non sono un pacco che si può portare da una parte o dall'altra.


Allora cosa vuoi?


Ve lo dico subito: "Accompagnatemi al catechismo".
No, non fate i sapientoni! Accompagnare non è la stessa cosa che mandare, o portare.
Accompagnarmi significa camminare insieme a me, starmi vicino in questa esperienza.
No, non vi chiedo di fermarmi con me all'incontro di catechismo: sarebbe imbarazzante e pesante.
Vi chiedo di interessarvi a quello che faccio
a quello che mi viene proposto, che mi fanno fare.


Vorrei che mi chiedeste come mi sono trovato,
se ho capito, se mi va bene la catechista, se...
Per farla breve, vorrei che voi mi chiedeste tutto,
almeno come fate per la scuola.


E se voi non siete cristiani non importa.
Io non sono una fotocopia vostra.
Io sono io.


Se mi volete bene, datemi tutte le opportunità,
catechismo compreso, di essere io.
Di crescere intelligente, informato
e capace di scegliere il meglio.


Cari genitori, vi chiedo di essere miei compagni di strada in tutto
anche nel catechismo.


E' troppo?
Non è troppo.
Vi chiedo né più né meno di essere dei genitori.

martedì 12 aprile 2011

O catechista, mio catechista!!

Preghiera accorata, di Tonino Lasconi




O catechista, mio catechista,
non farmi diventare antipatico Gesù.


Vedi, mio catechista,
quando sento parlare di Gesù in televisione
o quando vedo i film su di lui,
ho l'impressione che Gesù
deve essere stato grandissimo,
fortissimo, ganzissimo.


Quando invece me ne parli tu al catechismo
mi annoio, non riesco a interessarmi,
non rimango per niente affascinato.


Anzi, mio catechista, a essere sincero,
quando tu mi parli di Gesù
mi si forma in mente l'immagine
di una persona lontana, noiosa,
che non gli sta bene niente di quello che piace a me.


O catechista, mio catechista,
ti prego fai di tutto per farmi conoscere Gesù
per quello che immagino:
egli è stato grandissimo, fortissimo, ganzissimo.


Mio catechista, ho sentito dire che Gesù
ha cambiato la storia,
che dopo di lui niente è più come prima.


E' vero? Se è vero, Gesù non può
non essere stato grandissimo,
fortissimo, gnazissimo.


Mio catechista,io non so cosa devi fare
per riuscire in quello che ti chiedo.


Ma so che devi riuscire.


Perché se Gesù è grande, è unico,
come sento dire, io non posso annoiarmi
a sentire parlare di lui.


O catechista, mio catechista,
ti prego fammi innamorare di lui.

La solitudine: aiuta a saper vivere?

La vera solitudine ci aiuta a saper vivere con gli altri.


Ci sono diversi tipi di solitudine : quella imposta dagli eventi della vita e quella ricercata volontariamente. La prima se non viene accettata positivamente è causa di tristezza ed angoscia, la seconda genera gioia se dona equilibrio e pienezza al proprio esistere quotidiano.


Chi cova dentro di sé conflitto di desideri detesta la solitudine. Se ricerca il potere vuole stare in mezzo agli altri con il fine di dominarli, se è avido di denaro gli altri vengono da lui strumentalizzati per il proprio tornaconto, se vuole il prestigio si aspetta dalla folla applausi e consensi. Se è psicolabile ed instabile ricerca attenzioni ed affetto, senza essere in grado di donarli disinteressatamente. Chi è afflitto da nevrosi cerca nelle persone sicurezza e garanzie ed ha una tremenda paura della solitudine. Vi sono molte persone che non vogliono stare sole e costituiscono un vero tormento per chi gli sta intorno.


Non si può essere in perfetta solitudine, però, se dentro di noi c'è il tumulto delle preoccupazioni o il clamore della folla. Quando uno crede di riuscire a trovare spazi di auto-isolamento ma non sa utilizzare il tempo a favore della vera evoluzione interiore si illude. In questo caso vive una solitudine spaziale, ma nella sua mente fermentano progetti, vanità, illusioni che lo porteranno a ripetere gli stessi errori causando molti guai nella società in cui vive. Questo perché non ha imparato a conoscersi attraverso un sano processo di auto-consapevolezza che si può acquisire maggiormente nel silenzio spazio-temporale, ascoltando se stesso e l'ambiente che lo circonda in un clima di meditazione e preghiera.


Nella vera solitudine impariamo ad osservare il flusso dei nostri pensieri e a percepire le vibrazioni più interiori. Abbiamo anche la possibilità di renderci conto del nostro grado di fragilità e delle nostre reali potenzialità che metteremo a servizio degli altri con più efficacia nell'umiltà.


Tutti i mali del mondo derivano dal fatto che la maggior parte degli uomini non sanno starsene tranquilli in una stanza - sosteneva Pascal. Probabilmente intendeva sostenere che quando non conosciamo le nostre più segrete inclinazioni ed intenzioni con coraggio rischiamo di agire con molta superficialità e questa genera guai sociali devastanti.


Il filosofo indiano Krishnamurti sosteneva che bisogna essere molto intelligenti per desiderare e vivere bene la solitudine.


La cultura di massa odierna le cui ideologie hanno condotto a disastrose ingiustizie sociali a danno di tanti individui, è il frutto della paura di dover pensare individualmente, con la propria mente e liberi dai condizionamenti.


La vera solitudine conduce a pensare, a meditare, a diventare degli autentici "ascoltatori" di se stessi e degli altri, relativizzando molti pregiudizi. Essa è espressione della ricchezza interiore. Chi la ama significa che sta bene con se stesso. Ma deve praticarla con un certo distacco.


Una persona abbastanza equilibrata sta bene con se stessa sia nella solitudine che nella folla. Anzi, la solitudine ben sfruttata crea una riserva energetica spirituale per essere in grado di affrontare con spirito oblativo qualsiasi tipo di folla.


Nella vera solitudine non ci si isola dagli altri per perderli, ma per ritrovarli con uno sguardo più puro e libero dai condizionamenti, sguardo che ci fa riconoscere in ogni essere umano l'unicità e l'irripetibilità divine, in quanto ogni uomo è fatto a immagine e somiglianza del suo Creatore.


Pier Angelo Piai, Riportato da friulicrea.it

Non ho tempo, ovvero il morbo dell'indifferenza

Indifferenza e superficialità :Il morbo dell'indifferenza




Molte persone sono colpite dal morbo dell'indifferenza, agli occhi delle quali manca lo stupore della vita.
Non ho tempo! E' preoccupante il modo con cui affrontiamo la vita odierna.


Molta gente che incrociamo lungo il cammino di questa vita e con la quale riusciamo a malapena intrattenerci per un frettoloso scambio di informazioni ed idee, ci fa intuire di essere colpita dal morbo dell'indifferenza. "Ho molto da fare" -"Non ho tempo per leggere", per esempio, sono le dichiarazioni più comuni.


E' strano che non si riesca a capire che la nostra vita ha un senso che si può cogliere solo nel silenzio, nella riflessione e nella meditazione quotidiana. Si trova sempre uno spazio per i programmi televisivi, per il bar, per il calcio, per la lettura dei quotidiani e settimanali di tutti i tipi, soprattutto sportivi, per la grigliata o i vari momenti di socializzazione.


Quando si comincia ad affrontare qualche argomento esistenziale, nel quale si riflette seriamente sul perché della nostra vita e sull'interiorità...molte persone spesso esternano disagio o stizza. Provate ad invitare conoscenti, colleghi di lavoro e amici alla presentazione di un vostro libro che tratta i grandi interrogativi dell'esistenza per il quale avete speso molti anni di fatiche e risorse e che ha richiesto tantissimo tempo, raccoglimento e solitudine. La risposta è quasi per tutti la stessa : "Mi dispiace, ma non ho tempo".


E' proprio un paradosso: nella società della "cronolatria" ( il culto del tempo), non si trova più " tempo" per fermarci e riflettere sul perché di quello che facciamo e sul reale senso della nostra vita.
Forse abbiamo smesso di interrogarci? O forse ci nascondiamo dietro a dei pretesti per soffocare nell'attivismo più esteriore il vuoto interiore che ci perseguita!


La mia preoccupazione più sincera è che si diventi ogni giorno più superficiali e ciò comporta anche la freddezza nei rapporti umani e l'indifferenza verso lo Spirito che può agire solo là dove trova il buon terreno dell'umiltà e della disponibilità interiore.


Penso che solo la radicale conversione interiore di ogni uomo, che porti ad una reale e sincera apertura verso lo Spirito potrà salvare questa povera umanità dalla "catastrofe inaudita" che lo stesso Italo Svevo profetizzava nel finale della "Coscienza di Zeno" : "Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie".


Pier Angelo Piai, riportatato da friulicrea.it
                       
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domenica 10 aprile 2011

Genitori e figli: Che cosa devo fare, Dio?

Da che parte devo stare?


Mio padre dice
che la mamma è una bugiarda,
che ha sempre ingannato
e che non è quella che dice di essere.
Mio padre è un uomo allegro e buono,
quando mi abbraccia mi sento al sicuro
e so che mi vuole bene.


Mia madre dice
che papà non è affidabile,
che non fa quello che promette
e che con lui è impossibile ragionare.
Mia madre è molto bella,
sa come consolarmi quando sono a terra
e vorrebbe vedermi felice.
Mia madre dice: vieni a stare con me.

Che cosa devo fare, Dio?
Da che parte devo stare?
Tu che sei Padre e Figlio e Spirito ,
certamente sai come districarti
in questo caos.


Vuoi sapere cosa voglio io?
Voglio che papà e mamma si parlino,
si guardino negli occhi,
si prendano per mano.


Invece si mandano messaggi
attraverso di me
solo per dirsi cattiverie.
Si guardano negli occhi
solo nei miei occhi,
si stringono la mano
solo attraverso le mie mani.


E allora me ne sto qui, caro Dio,
a piangere nella mia camera
(la musica al massimo
…non voglio farmi sentire)


Perché io vorrei stare con tutti e due
e non con uno solo.
Perché io voglio una famiglia vera.
Però non riesco a farmi capire.


Ci vuoi provare Tu?
Parla a loro come Padre e come Madre,
come marito e come moglie,
come figlio e come figlia


Metticela tutta, caro Dio,
io sto dalla tua parte.


Mary L. pubblicato da “Vita diocesana pinerolese” diocesi di Pinerolo

sabato 9 aprile 2011

Orientare i figli al bene: l'esempio che trascina

L’esempio che trascina
“ Orientare i figli al bene significa aiutarli a diventare persone buone, corrette ed oneste”


E’ opinione diffusa che, mentre la buona educazione e le buone maniere debbano essere insegnate ai figli dai genitori, l’educazione religiosa debba invece essere competenza di terzi: del parroco, delle catechiste, dagli animatori.


Il documento di programmazione dei prossimi dieci anni proposto dai vescovi italiani dal titolo “Educare alla vita buona del Vangelo” sottolinea questa preoccupante situazione.
Un’ora alla settimana non è sufficiente per far maturare nei bambini il desiderio di crescere nella fede. Anzi, tornando a casa e vedendo il disimpegno dei familiari, penseranno che quanto hanno appreso all’oratorio non è degno di essere approfondito e vissuto.


La trasmissione della fede è avvenuta per due millenni in stretta collaborazione tra la famiglia e la Chiesa. Senza l’aiuto della famiglia, la Chiesa può fare poco. In un contesto sociale e culturale ormai scristianizzato, le nuoce generazioni rischiano seriamente di crescere senza valori, perché non li hanno conosciuti.
A noi genitori spetta, quindi, una grande responsabilità. La nascita di un figlio trasforma l’esistenza del padre e della madre, invadendoli di una grande gioia, ma caricandoli anche, di doveri ben precisi. Perché questa paternità e maternità non diventino, però, un peso è necessario viverle nella prospettiva di una missione, dove amare i figli come Dio li ama, seguendoli e accompagnandoli come Lui li segue, significa condividere con il Signore questa opera stupenda, aiutandoli a portare alla maturazione le loro enormi potenzialità e la loro vera vocazione. I figli hanno nei loro genitori il punto di riferimento ed il modello a cui ispirarsi.


Pertanto, oltre all’attenzione per la formazione intellettuale e fisica, alle quali siamo tutti molto attenti e rigorosi, bisogna affiancare quella affettiva e morale. Educare a ricevere e donare amore, significa prepararli ad affrontare positivamente le vicende della vita; pena una fragilità psicologica e morale, di tragica attualità nella cronaca quotidiana.
Educare alla libera volontà significa, quindi, abituarli alla disciplina, all’applicazione ed alla rinuncia, per arrivare ad un bene più grande.


Tutti noi vorremmo avere la certezza che i nostri sforzi educativi producano dei frutti. Gesù, nella parabola del buon seminatore, ci ricorda però che, nonostante tutto il nostro impegno, il seme dei buoni insegnamenti non sempre viene accolto nel terreno dei figli.
Questo non ci deve scoraggiare perché, anche nell’insuccesso momentaneo, il bene rimane e può manifestarsi nei tempi e nei modi che il Signore vorrà. Orientare i figli al bene significa aiutarli a diventare persone buone, corrette ed oneste, guidati dalla coscienza, che è la voce di Dio nel cuore dell’uomo, nel praticare la giustizia e l’amore ed a fare opera di discernimento fra il bene e il male.


I bambini crescono bene se il contesto familiare è ricco di valori; il primo insegnamento è quindi l’esempio. I nostri figli ci osservano e ci ascoltano sempre, con grande attenzione, fin dai primi anni di vita, ed è perciò, attraverso il nostro amore di coppia, che possiamo alimentare la fiducia nel matrimonio e nella famiglia.


Succede, alle volte, che siano i nostri figli a costringerci a scuotere la polvere di dosso ed a uscire dalla mediocrità in cui ci siamo adagiati, stimolandoci con domande e riflessioni alle quali siamo in dovere di rispondere, anche con una buona dose di umiltà, ritrovando insieme il vero senso della vita che Dio ci ha donato. Parlare ai figli di Dio è un compito fondamentale dei genitori, partendo dalle bellezze del creato, per arrivare al loro cuore. La scoperta di Dio dentro di sé e l’apertura della porta ad un amico fedele che non li abbandonerà mai, è quanto di più bello possano regalare i genitori ai loro figli.


Anche nel campo dell’educazione sessuale la famiglia ha un ruolo fondamentale. L’esempio dei genitori nel vivere la fedeltà, la tenerezza e la purezza, insegnerà ai figli il rispetto del loro corpo e quello degli altri, imparando poco alla volta, la difficile “arte di amare”. Infine nel giusto e corretto utilizzo dei mass media, dalla televisione alla navigazione su internet, occorre una vigilanza continua, perché i figli, soprattutto durante l’adolescenza, sono aperti a tutti gli influssi, sia positivi che negativi.
Spegnere un po’ la televisione e pregare con tutta la famiglia è un dono ed un momento di grande grazia per tutti i componenti. Questo dialogo con Dio va continuamente alimentato: come il nostro corpo ha bisogno di nutrirsi, così la nostra anima, per alimentare la sua forza spirituale, non può fare ameno della preghiera.


Per leggere la Bibbia non c’è bisogno di studi particolari, sono sufficienti i commenti introduttivi delle varie edizioni; c’è bisogno invece, di buona volontà soprattutto dello Spirito Santo, da invocare sempre nella preghiera, affinché ci indichi la giusta comprensione e ci aiuti a fare cerniera tra la nostra vita quotidiana ed il percorso di conversione a cui siamo chiamati ogni giorno…
Nel cammino di fede non dobbiamo nascondere ai nostri figli che la via del bene, come ci ha insegnato Gesù stesso, a prima vista sembra la più difficile, perché è stretta ed in salita e richiede un po’ di sacrificio, ma in compenso è l’unica via che fa di noi delle persone buone e giuste e ci fa sentire tanta gioia e pace nel cuore.


Per questo vale la pena metterci in gioco, tutti insieme, Chiesa, genitori e figli, ricordando sempre il detto latino: “Le parole insegnano, gli esempi trascinano”.


Corrado e Nicoletta Demarchi, responsabili dell’ufficio diocesano per la pastorale familiare della diocesi di Pinerolo (TO). Pubblicato da “Vita diocesana”Pinerolese 03 aprile 2011


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Voglio sinceramente sperare che la Chiesa tutta si muova presto e diligentemente nel piano decennale che la CEI ha emanato col documento “ Educare alla vita buona del Vangelo”. Non sarà una passeggiata, ci vorrà tanta buona volontà e pazienza , costanza e fiducia : le parrocchie sono chiamate in prima linea a lavorare sodo coinvolgendo le famiglie, gli operatori di catechesi. Al bando lo scoraggiamento, c’è una Chiesa da ringiovanire, renderla più presente e attiva in un mondo che vediamo sempre meno cristiano e poco presente.
Sono convinto che le chiese senza il coinvolgimento delle famiglie faranno ben poco: bisognerà far lavorare parecchio lo Spirito Santo.

martedì 5 aprile 2011

Preghiere del catechista per se' e....

Da Preghiere del catechista per se', per i suoi ragazzi, per i genitori
di Cecilia F

Ragazzi in preghiera.

Si ricomincia!
Siamo di nuovo qui,
in massa davanti alla chiesa.


I genitori ci lasciano i bambini
con un pizzico di ansietà:
"Come andrà questo
nuovo anno catechistico?".
Siamo di nuovo qui.
Nella nostra sala di catechismo,
ci troviamo insieme
con una punta di ansietà:
"Come riusciremo a crescere insieme?".


Siamo di nuovo qui,
guidati dallo Spirito di Dio,
e il nostro pizzico di ansietà,
nei nostri cuori, è diventato Pace.



Grazie, Signore!


Per tutta la felicità
che i bambini finora
mi hanno fatto provare,
grazie, Signore!


Per tutta la gioia
che abbiamo condiviso,
grazie, Signore!


Per tutto l’amore
vissuto in équipe,
grazie, Signore!


Per questo nostro desiderio
di ritrovarci presto
pieni di gioia e di amore,
grazie, Signore!


Claudia, catechista


Chiamati ad amare i figli

con il cuore di Dio


I vostri bambini sono figli di Dio.
 Dio Padre li ama di un amore infinito ed eterno.
Egli, l'Invisibile,
vuole comunicare a loro il suo amore attraverso il vostro amore.


Dio non ha occhi,
ha solo i vostri occhi per contemplare
i vostri bambini e farsi riconoscere da loro.


Dio non ha mani,
ha solo le vostre mani per accarezzarli,
e far sentire a loro il calore della sua tenerezza.


Dio non ha braccia,
ha solo le vostre braccia per stringerli al petto 
e far sentire il suo cuore che batte per loro.


Dio non ha labbra,ha solo le vostre labbra per baciarli
e trasmettergli l'infinita dolcezza del suo amore.


Dio non ha bocca,
ha solo la vostra bocca per sorridere
e comunicare la sua gioia.


Dio non ha voce,


ha solo la vostra voce per parlare con loro
e dire quanto è grande il suo amore per loro.


Voi, genitori cristiani, siete chiamati
ad amare i vostri figli con il cuore di Dio.


(da B. Bartolini, Il mio primo libro di preghiera, Elledici).



Caro Dio, io sono qui


Ogni minuto di questa giornata resta con me, Signore!
Ogni giorno di questa settimana, resta con me, Signore!
Ogni settimana di quest’anno, resta con me, Signore!
Ogni anno di questa mia vita, resta con me, Signore!


Così i giorni, le settimane e gli anni della mia vita
siano legati su una corda d’oro.
E tutto proceda in dolce armonia, fino alla tua venuta, Signore!


da "Le preghiere dei bambini e dei ragazzi", Elledici


Coniughiamo la fraternità
IO sono un catechista e mi piace camminare insieme ai ragazzi.
TU sei il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo
in Te troviamo forza e coraggio
LUI è un bambino che, accanto agli altri, deve trovare sostegno e amicizia.


NOI siamo dei testimoni dell’amore, del perdono e della condivisione.

VOI siete ortodossi o protestanti, ebrei o musulmani
e volete la Pace.


ESSI sono cristiani di ieri e di oggi.
Come loro, anche noi seguiamo le orme di Gesù.
Io, tu, egli, noi, voi, essi… così differenti e tuttavia così vicini,
perché tutti fratelli e figli di Dio.


Tutti insieme preghiamo.





lunedì 4 aprile 2011

Amicizia? di don Tonino Lasconi

Ama i tuoi amici


Tutti vi dicono: «Tenetevi cari i vostri amici, perché altrimenti potrete rimanere soli!» Ma io vi dico: «Fatevi sempre nuovi amici, così tanti non saranno più soli!»


Tutti vi dicono: «State attenti ai compagni cattivi, perché vi possono creare fastidi!» Ma io vi dico: «Createvi dei fastidi per i compagni cattivi. Il bene deve essere diffuso».


Tutti vi dicono: «Mettetevi insieme a quelli bravi, a quelli intelligenti, a quelli educati». Ma io vi dico: «State vicino a quelli più in difficoltà, ai più timidi, ai più poveri, a quelli presi in giro da tutti».


Tutti vi dicono: «Non andate con chi non conoscete». Ma io vi dico: «Fate che nessuno sia per voi uno sconosciuto». Solo così ci sarà più gioia.



AMICIZIA?


Signore, cos’è l’amicizia?
Amicizia significa stima, aiuto, confronto e conforto.
Significa capire, arrabbiarsi, abbracciare, comprensione.
Amicizia vuol dire gioire insieme, piangere insieme,
pregare, parlare e crescere insieme.
Però a volte amicizia significa anche usare,
assecondare, mentire, piegare e tacere.


Signore cammina sempre al fianco della nostra “Amicizia”,
perché ogni litigio e pianto abbia come risultato
uno scalino in più nella scala della crescita umana.


Proteggi la nostra amicizia e rendila forte
anche davanti ai pericoli del mondo in cui viviamo.



I soliti fessi
Signore, noi siamo i "soliti fessi".
Quelli che "al dunque" non si tirano indietro.
Quelli che non sanno mai trovare la scusa per dire "Non sono potuto venire"
Quelli che dicono: "Ormai ci siamo impegnati, non possiamo tirarci indietro".
Quelli che si ritrovano "sempre gli stessi" a lavorare, a sgobbare.
Quelli che devono inghiottire amari bocconi perché gli altri oltre a non lavorare ti prendono anche in giro.


Signore, è duro.
Siamo sempre in tanti ad avere idee, a progettare, a programmare.
Ma poi, a lavorare, chi scappa di qua, chi fugge di là, chi non può,
chi non si ricorda...


E noi siamo i "soliti fessi".


Ci arrabbiamo, diciamo che questa è l'ultima volta; che non ci cascheremo mai più...
Ma sappiamo che non è vero.
Perché non siamo soli. Ci sei Tu. Tu non hai mai tagliato la corda.
Aiutaci a stare in tua compagnia: anche Tu ci sei sempre!