martedì 11 gennaio 2011

Giovani oggi: le nostre lamentele sono giustificabili?

Forse tutti noi, genitori, insegnanti, politici e la Chiesa stessa, per prima, dovremmo saper ascoltare di più i giovani: possiamo cercare mille cause, cento altri motivi ma è necessario l’ascolto sensibile, il dialogo, il costruire insieme, l’indirizzare la parte umana prima con i suoi valori etici universali e successivamente con la sapienza religiosa modellare l’uomo nuovo secondo il messaggio cristiano.

Un incontro della Giornata mondiale della Gioventù potrebbe essere un fasto, una manifestazione folcloristica, una festa senza anima cristiana, un entusiasmo che oggi si vede e domani si torna ad essere come prima.


Non sarà il Papa a sconvolgere una mentalità, potrebbe essere un inizio; i veri cambiamenti, i giovani nuovi che vogliamo non li troveremo nella massa ma vicino a noi: nella parrocchia, nel quartiere, per la strada. Non aspettiamo che siano loro che vengano da noi, siamo noi che non conosciamo più loro, loro ci hanno messi da parte perché sicuramente non abbiamo saputo parlare nel modo giusto, avvicinarli ascoltandoli.


Le nostre lamentele da “adulti” ( lo siamo davvero?) sono ingiustificabili.






GIOVANI

di Armando Matteo riportato da Bollettino Salesiano, gennaio 2011



LA PRIMA GENERAZIONE INCREDULA



L’attuale generazione di giovani fatica a sillabare con l’alfabeto cristiano il suo bisogno di senso e di sacro e a sintonizzarsi alla parola di Gesù per rispondere a quella domanda che ogni uomo è a se stesso, che fatica a riconoscere nella prassi liturgica il luogo dove si impara a conoscere il Dio dell’amore e l’amore di Dio.


Una generazione che non si pone
contro Dio o contro la Chiesa di Gesù,
ma che sta imparando a vivere 
e a vivere anche la sua religiosità  
senza il Dio e la Chiesa di Gesù.
E questo non perché si sia esplicitamente
collocata contro Dio e contro la Chiesa,
 mamolto più elementarmente
perché nessuno ha testimoniato
aessa la convenienza della fede,
la forza della parola delVangelo
di illuminare le soglie e le domande della vita,
la bellezza di una fraternità nella comune sequela.


La domenica senza la Messa


A prima vista un tale rapporto sembra segnato da alcune paradossali contraddizioni. I nostri ventenni e trentenni, infatti, da una parte si tengono sempre più a distanza dalle pratiche di preghiera e di formazione proposte dalla Chiesa, ma dall’altra esprimono un generale apprezzamento per il valore dell’esperienza religiosa; da una parte si riconoscono vicini a molte delle posizioni assunte dal Santo Padre e dai Vescovi in relazione alla difesa della tradizione cristiana della cultura occidentale e dei suoi segni pubblici, dall’altra però manifestano un incredibile analfabetismo biblico.
 
Ancora qualche altro paradosso che viene dal mondo di internet: quasi nessuno ama parlare di fede nella rete e spesso, nei profili con cui descrivono loro stessi, i giovani si dichiarano agnostici (qualcuno anche ateo), eppure aumentano nella galassia del web i siti dove “lasciare una preghiera”, “accendere una candela”, “trascorrere momenti di pace”.


Ma il dato più rilevante è forse il fatto che moltissimi giovani, pur essendosi avvalsi dell’insegnamento della religione a scuola e pur provenendo da ambienti vitali di larga ispirazione cattolica, disertano con grande disinvoltura l’appuntamento settimanale con il Signore Gesù: la Messa della domenica, e non sembrano per nulla interessati a cammini di approfondimento della fede cristiana. Sono sempre più rari i cosiddetti “gruppi giovani”.


I genitori dei nostri ventenni e trentenni, d’altro canto, sono proprio coloro che hanno respirato a pieni polmoni l’aria di cambiamento del ’68 e le allora imperanti istanze di rifiuto della tradizione culturale e religiosa dell’Occidente.


Questi genitori, da parte loro, con il tempo hanno rallentato la pratica di preghiera e il legame di fede e, pur non impedendo che i figli andassero a catechismo o scegliessero l’insegnamento della religione cattolica a scuola, a casa non hanno testimoniato alcuna fiducia nel Vangelo, nell’esperienza ecclesiale e nella prassi della carità. Ecco il punto o, meglio, l’anello mancante: tra i giovani di oggi e l’esperienza di fede la cinghia di trasmissione si è interrotta a causa di quella testimonianza che il mondo degli adulti ha tralasciato di offrire.


Una catechesi blanda e tiepida


L’attuale cura che la comunità ecclesiale esprime per i giovani è molto al di sotto di quanto sarebbe necessario. Se nel passato l’educazione dei giovani alla fede poteva fare affidamento a tre punti d’appoggio, la chiesa, la famiglia e la società, oggi non è più così. Per questo, allora, non possiamo più limitarci alla semplice preparazione, celebrazione e narrazione delle GMG. Non possiamo più limitare la frequenza della vita parrocchiale a una catechesi molto blanda e tiepida. Non possiamo più propriamente ritenere lo spazio ecclesiale semplice luogo di esercizio della fede.


Dobbiamo pensarlo, strutturarlo e renderlo sempre di più come luogo di generazione della fede, luogo in cui non solo si prega ma nel quale si impara anche a pregare, luogo nel quale non solo si crede ma nel quale si impara anche a credere.


Una tale società sta infatti riservando ai giovani solo le briciole dei suoi investimenti e delle sue attenzioni. Si pensi alle inique distribuzioni della spesa sociale. Questa nostra società sta lentamente consumando il suo – e a maggior ragione quello dei giovani – futuro. E quando il futuro appare più una minaccia che un orizzonte di speranza, allora sono aperte le porte al nichilismo.


Una Chiesa veramente attenta ai giovani, che prende in carico la loro incredulità e la loro situazione di disagio, riscopre così non solo il suo volto missionario ma assume anche una carica profetica in grado di orientare il cammino della città degli uomini.






IL LIBRO

Armando Matteo

La prima generazione incredula (Rubbettino)

Un libro utilissimo che mette a fuoco il rapporto che oggi intercorre tra giovani e fede, con particolare riferimento alla fascia d’età 18-29.

L’ipotesi di fondo del volume è che siamo costretti ad ammettere che per molti giovani del nostro tempo e della nostra parte del pianeta l’esperienza della fede non rappresenti un principio che qualifica la propria prospettiva sul mondo: ma solo qualcosa legato al mondo dell’infanzia, del catechismo, dell’oratorio, ma che non c’entra più nulla con le scelte, con le decisioni, con il progetto di studio e di vita.

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