martedì 7 settembre 2010

Catechisti e genitori

CATECHESI E GENITORI




Il discorso qui diventa, purtroppo, complesso: il contesto in cui viviamo nel mondo di oggi non porta gli uomini alla fede, anzi assistiamo sempre più ad un allontanamento dalla fede. Non si può dare per scontato che gli stessi che si professano cristiani siano cristiani consapevoli, lo sono per tradizione. Gli stessi fanciulli battezzati non hanno ricevuto una minima educazione cristiana nelle famiglie.



Il compito dei catechisti diventa più difficile, più arduo, non trovando spesso collaborazione nell’ambiente familiare: devono incominciare un periodo di evangelizzazione, una nuova evangelizzazione in cui inserire anche i genitori.



Il ruolo della comunità cristiana nell’attuazione di questo processo è fondamentale. Non ha senso il lavoro quasi solitario dei catechisti, se non fa parte di un dinamismo che interessa e coinvolge tutta la comunità, la parrocchia. Come non ha senso il lavoro dei singoli o dei gruppi vari se sono dei circoli chiusi e non fraternizzano, comunicano con la comunità: tutti dobbiamo costruire una comunità di fede.



Il parroco deve farsi carico di novità da proporre alla comunità, incominciando dall’esistente, dai vari gruppi, spesso sconosciuti ai più e che non incidono nella crescita della comunità chiamandoli a lavorare assieme, ascoltandoli, responsabilizzandoli; seguendo la formazione dei catechisti, che non è solamente preparazione della “lezioncina” di catechismo; dedicando tempo per motivare i genitori, sensibilizzandoli a interrogarsi sulla loro fede come componente vitale per i propri figli; offrire momenti di incontri e di conoscenza tra le famiglie e i catechisti: proporre esperienze di vita cristiana con un lavoro congiunto con i catechisti.



Una cosa è indispensabile, da tenere presente, se effettivamente amiamo la nostra chiesa comunità, popolo di Dio in cammino: avere cura della famiglia, piccola chiesa nella Chiesa.


Nella famiglia si incomincia a costruire la nuova chiesa che sogniamo e che spesso critichiamo. Nella famiglia, ne sono certo, non manca il senso religioso, bisogna riscoprirlo e coltivarlo per farlo riemergere. Riscoprire i rapporti umani e religiosi nella famiglia. Una volta in famiglia, (e chi no se lo ricorda?), si imparava il segno della croce, il Padre nostro, l’ Ave Maria, la Salve Regina, in un ambiente semplice e di una fede anch’essa semplice ma genuina.

Da numerosi decenni ogni parrocchia offre corsi di catechismo, il che spontaneamente riporta agli incontri dell'età del bambino e al massimo del ragazzo. La catechesi si rivolge anzitutto ai giovani e agli adulti cioè alle persone che liberamente dispongono della loro vita in rapporto alla chiamata alla fede. Per questo l'ordine delle voci non sale dai bambini agli adulti, ma scende dagli adulti ai bambini.


Dunque la catechesi è l'incontro di chiesa che mira ad arricchire e ad approfondire la personale adesione al Vangelo di Gesù Cristo.

 
E i bambini e i ragazzi? Il loro orientamento all'incontro col Signore deve essere mediato in modo essenziale dai genitori: sono essi i primi testimoni ed educatori dell'esperienza cristiana; sostenuti dalla chiesa,dalla comunità parrocchiale.


I genitori devono trasmettere ai propri figli soprattutto il gusto, il sapore della fede, la bellezza dell'affidare a Dio la propria vita. Dentro le esperienze quotidiane della famiglia, della preghiera, dell'amicizia, della scuola, del gioco, dell'aiuto al bambino meno fortunato o ammalato, della partecipazione alla Santa Messa, ecc.


I catechisti, operatori di catechesi, completano questa iniziazione, non limitandosi all’istruzione, cioè ad offrire nuovi elementi di conoscenza: la conoscenza deve unirsi all’amore, l’amore alla preghiera dialogo e incontro con Dio, la preghiera alla ricerca del bene nella vita quotidiana, individuale e collettiva

Significativo mi sembra questo tratto di intervista a Don Oreste Bensi di Alessio Zamboni, in occasione della pubblicazione del suo libro “Onora tuo figlio e tua figlia”, significativo perché, se anche velocemente diamo uno sguardo a molte situazioni del modo di oggi, vedremo e capiremo meglio l’importanza di impostare una nuova catechesi, valuteremo la necessità di un impegno maggiore in tutta la chiesa.


«Onora tuo figlio e tua figlia»: un titolo provocatorio, don Oreste. La scelta è stata tua o dell’editore?


«La scelta è stata mia».


Come mai? Il quarto comandamento non è più attuale?

«Ho pensato che non è più sufficiente in un’epoca in cui i genitori hanno dissacrato la famiglia. Sono 50 mila in Italia i bambini e gli adolescenti che ogni anno sono straziati dalla divisione dei loro genitori. Pensiamo poi al dilagare della prostituzione, alla confusione sui modelli di famiglia. Si sta creando una civiltà in cui i figli sono un bene di consumo di cui si può disporre a piacimento. È necessario rifondare la famiglia ripartendo dai figli, soprattutto quelli sotto i dieci anni. Sono loro che hanno la concezione vera della famiglia e a loro i politici dovrebbero affidare il compito di fare le leggi sulla famiglia».

 
Viviamo in un’epoca che esalta sempre più le libertà individuali, il diritto all’autodeterminazione della persona. C’è chi vorrebbe legalizzare l’eutanasia e tu sostieni addirittura che il divorzio non è un diritto. In che senso?

 
«Oggi i giovani sono spinti a vivere solo di emozioni; non esiste più il “del tutto” e il “per sempre”. È così perché anche i loro genitori sono eterni adolescenti. Il divorzio è una regressione dell’adulto alla fase egocentrica».

 
Parlando delle tendenze degli adolescenti di oggi, affermi un principio: ogni essere vivente si dirige verso ciò che lo attira. Perché i nostri ragazzi, dopo aver ricevuto la Cresima, si allontanano dalla Chiesa? Non c’è più niente che li attira?

 
«L’approccio a Cristo proposto oggi da molte realtà ecclesiali è incomprensibile per gli adolescenti. Il bisogno di assoluto però è presente e quando i ragazzi incontrano qualcuno che fa fare loro un incontro simpatico con Cristo rimangono affascinati. Lo dimostra l’adesione ai movimenti cattolici, come la stessa Comunità Papa Giovanni XXIII, in cui ci sono tantissimi giovani disposti a dare la vita per Cristo».


«Per fare nuova evangelizzazione – si legge nel capitolo dedicato agli “appuntamenti con Dio” – non basta scrivere nuovi libri, occorre scrivere nuove vite». Cosa intendi dire?

 
«Il 90% dei giovani non va più in chiesa, ma il senso del sacro è presente. Per questo si diffondono le sette, che danno l’illusione di rispondere a questo bisogno. Per attirare alla fede occorrono testimoni credibili ma è soprattutto necessario recuperare il senso di popolo, un popolo nuovo capace di cambiare la storia. Se c’è la devozione senza rivoluzione, i giovani se ne vanno. Anche dai gruppi giovanili».


Torniamo ai genitori. Nell’ultima parte del libro parli di allattamento, di vomito, di anoressia... non ti sembrano questioni da pediatra o da psicologo più che da prete?


«Anche un prete è un padre e quando vede questi fenomeni si chiede perché. Scopre allora che quel vomito del bambino è un vomitare anche la madre, o la maestra. E allora cerca soluzioni che vadano oltre la semplice cura del sintomo, intervenendo sulla relazione».



Una questione che da sempre cruccia i genitori: quando un figlio sbaglia è giusto punirlo? E quand’è che una punizione si può definire giusta?


«Dietro lo sbaglio di un figlio spesso si nasconde un grido: “Non ti accorgi che ci sono anch’io?”. Che si esprime magari con parole che feriscono, come quelle di Alice che urla: “Mamma, sei brutta!”. Per definire giusta una punizione, occorre prima capire cosa si intende per giustizia nell’infanzia. È ascoltando i nostri figli che scopriamo come camminare da adulti».









Nessun commento:

Posta un commento