lunedì 31 maggio 2010

Dall'aiuto alla solidarietà, anni 80

Riporto un articolo di Mario Fornero scritto alcuni anni fa in una serie di approfondimenti sul volontariato dal 1980 al 2004. ( ne seguiranno altri di aggiornamento)


Di fronte ai problemi dei paesi poveri si è incominciato ad operare ormai da un quarto di secolo con "la lotta contro la fame" per passare poi all'azione per lo sviluppo; ora si è ritornati alla lotta contro la fame. Si è passati dall'elemosina all'impegno per la giustizia; si è sognato un Nuovo Ordine Economico Inernazionale e siamo ricaduti nell'aiuto alimentare.
Ci troviamo ancora una volta di fronte alla sfida di passare dall'aiuto alla solidarità, una strategia da realizzare sul piano pratico. Dobbiamo passare dalle enunciazioni di principio alle strategie d'intervento, alle metodologie, agli strumenti che utilizziamo. La prova che noi viviamo la solidarietà ci deve venire da quello che noi facciamo e come lo facciamo.

Quando parliamo di malsviluppo non vogliamo fare della teoria, intendiamo parlare dei problemi che toccano milioni di persone che nel mondo soffrono la fame, la malnutrizione, la mancanza di libertà, la tossico-dipendenza, la disoccupazione, la contaminazione dell'aria e dell'acqua.
Il malsviluppo è presente anche da noi, nelle nostre società industrializzate; il malsviluppo ha dimensioni planetarie e ne siamo tutti coinvolti.
E' su questa piattaforma comune che si devono basare i rapporti Nord-Sud e Est/Ovest; è da questa piattafroma comune che si deve sviluppare la solidarietà. Passare dall'aiuto alla solidarietà significa riconoscere l'altro e con l'atro rendersi conto che la solidarietà non è un dono ma è da creare nell'organizzazione della vita collettiva.

La richiesta dei partner:
E' soprattutto a partire dagli anni 1970-80 che si è sviluppata all'interno delle ONG una riflessione sul partenariato. Ed è in occasione del primo Seminario Internazionale sul volontariato internazionale che i nostri parteners ci hanno invitati a "decentrare" chiedendo di organizzare incontri con loro, non solo in Europa, ma anche in Africa.
Negli incontri di Bobo Dioulasso in Burkina Fasso dicembre 81) e Arusha in Tanzania (1984) i nostri parteners ci hanno invitati ad un cambiamento di mentalità e di linguaggio. Il modo di parlare dell'altro rivela come noi lo consideriamo e come ci rapportiamo a lui.
Un altro invito fattoci è quello di rivedere la nostra concezione di sviluppo e di sottosviluppo.
Lo sviluppo va inteso come uno sforzo permanente e continuo di una popolazione con lo scopo di prendersi in carico i suoi bisogni materiali, affettivi, sociali e spirituali: è questo un processo che non ha mai fine qualunque sia la popolazione sia al Nord che al Sud.
In questa prospettiva l'educazione allo sviluppo che facciamo in Italia non deve essere semplice informazione ma tener conto delle aspirazioni di un nuovo modo di vivere e di un diverso sviluppo, esigenza sempre più sentita dalle popolazioni europee. E' a partire da queste premesse che partecipare assieme allo sviluppo cessa di essere un discorso ideologico per diventare una realtà.
Un'altra richiesta che ci viene rivolta dai nostri partenes è quella che i progetti non siano più elaborati a tavolino in Europa ma che siano le popolazioni interessate a partecipare allo studio e alla impostazione dei progetti.

Il Volontariato:
oggi per quanto riguarda l'invio di volontari è in atto una evoluzione molto forte, in particolare per quanto riguarda la figura del candidato; quali sono le sue motivazioni? Di quali valori è portatore? Qual è la sua idea per quanto riguarda lo sviluppo?
Domande queste che ci richiamano alla premessa iniziale: la cosa migliore che possiamo fare per i paesi poveri è di chiarire le nostre idee su quello che è meglio fare per arrivare allo asviluppo.

Una componente importante nei nostri progetti sono le risorse umane cioè i volontari e il personale locale che opera nel progetto. Sono queste risorse che bisogna valorizzare e cercare di mettere in sintonia tra di loro. Il vvolontario deve sentirsi accolto, la sua presenza deve essere la risposta ad un bisogno reale.

Unaa richiesta che ci viene fatta dai da nostri parteners è quella di distinguere tra intervento e collaborazione: è un intevento l'insieme di attività che si intende sviluppare in una determinata realtà; è collaborazione l'insieme delle attività che si assumono all'interno di un progetto pensato e gestito dal partner.

Le metodologie d'intervento:

Il teologo africano Jean Marc Ela nel suo libro "L'Afrique des villages" scrive: "Nessuna operazione di sviluppo può riuscire senza la sensibilizzazione della popolazione..." e poi continua: " In alcune regioni nessun cambiamento può avvenire nella vita dei contadini se i capi tradizionali si oppongono, anche se i cambiamenti rispondono agli obiettivi del Piano di sviluppo del paese". Questo significa che nell'impostazione dei progetti dobbiamo tener conto del ruolo che gioca la popolazione.


Possiamo individuare tre strategie da applicare:

ASSISTENZIALISMO: noi siamo gli attori, i protagonisti, la comunità locale lo esegue.

SVILUPPISMO: operiamo con i nostri mezzi, con i nostri ritmi e la comunità
locale partecipa a livello esecutivo

AUTOSVILUPPO: La comunità locale è protagonista

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